MANCINO (Almanchino), Giuliano
Non si conosce la data di nascita di questo scultore originario di Carrara, figlio di Simone "del Manchino" che, come si ricava dal suo testamento (1519), deteneva proprietà anche in Sicilia (Di Marzo, II, p. 36, doc. XXIX). Il M. si stabilì a Palermo in data imprecisata, ma certamente prima del 1501, anno del suo primo incarico documentato. Menzionati quali "habitatores urbis Panormi", nell'agosto di quell'anno il M. e lo scultore suo conterraneo Bartolomeo Berrettari, con cui avrebbe stretto un duraturo sodalizio d'affari, stipularono il contratto per la realizzazione di una custodia marmorea per la chiesa di S. Nicolò alla Kalsa, poi trasferita nella vicina chiesa di S. Maria della Catena (Meli).
I libri della parrocchia di S. Nicolò registrano al 6 dic. 1504 l'atto di battesimo di un figlio del M. e di sua moglie Iacopella o Giovannella, figlia dello scultore lombardo Gabriele di Battista, in Sicilia già nel 1472, presso la cui avviata bottega il M. aveva intrapreso la sua prima attività (Di Marzo, I, pp. 103 s. n. 2). La presenza nell'isola del M., di cui è ignota un'attività precedente, è da porsi in relazione con quel documentato fenomeno di immigrazione massiccia in Sicilia nella seconda metà del XV secolo di scultori provenienti per lo più dalla Toscana e dalla Lombardia, menzionati nel 1487 nel Privilegium pro marmorariis et fabricatoribus di Palermo (ibid., II, pp. 4-7, doc. IV). La sua produzione si svolge all'interno del repertorio formale e tipologico della scultura rinascimentale siciliana, che si data a partire dall'arrivo nell'isola tra il sesto e il settimo decennio del Quattrocento di D. Gaggini e F. Laurana, entrambi reduci dal cantiere dell'arco di Castelnuovo a Napoli, ai quali si deve l'innovazione delle principali tipologie della scultura monumentale e della statuaria di soggetto mariano, ancora largamente diffuse in Sicilia per tutto il XVI secolo.
Il 9 giugno 1503, citato come "magister Julianus de Almanchino", il M. si impegnava insieme con Berrettari a scolpire per i confrati di S. Barnaba a Sciacca - dove sarebbe giunta via mare da Palermo l'anno seguente - una statua in marmo della Madonna del Soccorso, oggi nella chiesa madre (ibid., p. 24, doc. XIX).
Espressione di quel "lauranismo tardivo" che caratterizzò l'opera del M. nel contesto del manierismo locale, è la Madonna della Catena nella chiesa madre di Sciacca (ibid., p. 24 n. 4; Accascina, G. M., 1959, pp. 326-329, fig. 9. L'opera, in precedenza riferita allo stesso Laurana, di cui ripete il modello della Madonna conservata nella cattedrale di Palermo, si pone a capo di una serie di statue di Madonna con Bambino formalmente conseguenti: da quelle del santuario di Chiaramonte Gulfi (Mauceri, 1914) e della chiesa di S. Maria di Gesù di Randazzo (Id., 1906) a quella del 1508 documentata nella chiesa madre di Polizzi Generosa, per la quale ricevette anche la commissione per una custodia in marmo, eseguita solo molto più tardi da Berrettari con aiuti (Di Marzo, I, p. 111). Quest'ultima era originariamente ubicata nella nicchia centrale del polittico eseguito nel 1504 da A. Crescenzio, poi smembrato e disperso (Abbate, 1992, pp. 71 s.).
Tra il 1504 e il 1512 ancora a Sciacca i due soci realizzarono la "cona", monumentale pala d'altare in marmo, della chiesa di S. Margherita, per la quale eseguirono forse (Patera, 1992) anche il rilievo con S. Margherita nella lunetta del portale settentrionale, realizzato nel 1468 da Laurana e Pietro de Bonitate, e successivamente rimaneggiato dai due scultori carraresi (Navarra). Al giugno del 1504 risale l'incarico per la cona del duomo di Termini Imerese, collocatavi da Berrettari soltanto molti anni più tardi.
Nei primi anni del secolo continua a essere attestata l'attività del M. a Palermo - tra il 1501 e il 1505 in S. Martino delle Scale (La Barbera); alla fine di luglio 1504, data del contratto stipulato dai due soci, nella chiesa del convento di S. Agostino per l'esecuzione di diversi lavori in marmo, dispersi alla fine del Seicento in occasione del rifacimento dell'edificio (Di Marzo, II, p. 28, doc. XXII) - attività culminata nel "monumentum marmoreum" con un sarcofago "cum coperchu cum una donna morta sculpita et relevata" documentato per la cappella degli Spadafora in S. Francesco d'Assisi l'8 nov. 1508 (ibid., p. 30, doc. XXIII).
L'opera fu collocata nello stesso edificio dove più di quarant'anni prima Gaggini aveva realizzato il Monumento Speciale nella cappella di famiglia, prototipo dei monumenti funebri rinascimentali dei maggiori esponenti della nuova classe dirigente palermitana, e in cui Laurana, con Pietro de Bonitate, aveva portato a termine la decorazione della cappella Mastrantonio (1468-69) introducendo uno schema innovativo nel genere. Il tipo decorativo proposto dal M. nella cappella Spadafora, con grande arco classicheggiante a tutto sesto, pilastri istoriati a bassorilievo e altare marmoreo all'interno, fu nuovamente adottato negli stessi anni, a Palermo, nella cappella non più esistente di don Carlo d'Aragona, barone di Avola (1508), nella chiesa di S. Maria di Gesù fuori le Mura (ibid., p. 31, doc. XXV), e in quella di don Carlo Villaraut, signore di Prizzi (1509), nella chiesa della Gancia (ibid., p. 32, doc. XXVI). Per la medesima chiesa di S. Francesco d'Assisi il M. ricevette, tra il 1508 e il 1509 la commissione per la decorazione della cappella Notarbartolo, completata nel 1517 da Berrettari e Francesco del Mastro.
Tra il 1510 e il 1513 si collocano la commissione per la grandiosa ancona marmorea della chiesa madre di Erice, con Madonna, figure di santi e rilievi con scene della Passione (1510) e quella per la statua della Madonna con Bambino nella chiesa madre di Caltavuturo, nel 1513, quando si registra anche la vendita di una statua raffigurante S. Caterina alla chiesa madre di Castanea (Di Marzo, I, p. 120 n. 1; II, p. 34, doc. XXVII).
Accanto alla fiorente e più impegnativa produzione di scultura monumentale la bottega era impegnata in un'attività minore di lavori ornamentali, quali partiture architettoniche, cornici di finestre, colonnine in marmo con capitelli, come le sei colonne marmoree "cum earum capitellis" eseguite per il palazzo Chiaramonte, detto lo Steri, di Palermo, testimoniate da una serie di pagamenti tra febbraio e aprile 1513 (Gabrici - Levi; Di Marzo, I, p. 118 nn. 1-3). Come altri suoi conterranei, il M. esercitò con profitto una parallela attività di piccolo commercio, esportando generi alimentari e acquistando nella sua città natale, per il tramite del compaesano e socio in affari Lotto di Guido, marmo grezzo che poi rivendeva ai marmorari residenti in Sicilia (ibid., pp. 125 s.).
Dalle numerose procure emesse per la riscossione dei crediti maturati "in toto Regno Siciliae" (ibid., p. 120 e n. 1) si evince la larga diffusione dei manufatti usciti dalla prolifica bottega dei due soci. Tra le tante opere attribuite al M. si ricordano, nell'area madonita, il S. Giovanni Battista e la Pietà nella chiesa madre di Petralia Soprana, l'Annunciazione nella chiesa di S. Giuseppe a Caltavuturo (Accascina, G. M., 1959, pp. 328 s., 333); nel Trapanese, ad Alcamo, la Madonna del Soccorso, nella chiesa omonima, il S. Giovanni Battista e la Madonna con Bambino (1513 circa) nella chiesa di S. Maria di Gesù (Di Marzo, I, p. 126 nn. 1 s.); a Marsala, nella chiesa madre, il Sepolcro di Antonio La Liotta (morto nel 1512), con la figura del defunto giacente sul coperchio del sarcofago (ibid., p. 155) affine a quella del Sarcofago di gentildonna della chiesa palermitana di S. Maria di Gesù (Accascina, G. M., 1959, p. 331). A Modica si ascrivono al M. la statua della Madonna della Neve nella chiesa di S. Giorgio (atto del 1511: Belgiorno; Accascina, G. M., 1959, p. 335 n. 22) e un Presepio, datato 1511, nella chiesa di S. Giuseppe (Patera, 1994). Gli studiosi - che non hanno mancato di rilevare come l'opera del M. si differenzi stilisticamente da quella, di più modesta qualità, del socio Berrettari per il composto gusto classicheggiante sostenuto da grande perizia tecnica, in cui la ricercata saldezza dei volumi semplificati è resa con pieno e levigato modellato delle forme - hanno altresì evidenziato i limiti di una maniera fredda e ripetitiva, più scoperta nella produzione tarda, e in parte conseguenza di un sistema di produzione delle opere di tipo seriale (Accascina, G. M., 1959, pp. 327-330).
Tra le ultime opere documentate, risalenti al 1515, sono il retablo della chiesa di S. Tommaso a Enna (Di Marzo, I, p. 128 n. 1) e quello della chiesa madre di S. Leone ad Assoro, attribuito al M. con il precedente Monumento funebre dei fratelli Ponzio e Vitale Valguarnera (1513), nella stessa chiesa (Patera, Francesco Laurana e la cultura, 1980). Le due grandi cone marmoree ripetono lo schema dei polittici monumentali rinascimentali, in pietra o marmo, di ascendenza toscana, modello largamente diffuso nella Sicilia occidentale, il cui prototipo è ancora una volta da ricercare nel tipo ideato da Laurana per la cappella Mastrantonio nella chiesa di S. Francesco a Palermo.
Il 19 ott. 1517 si scioglieva la società con Berrettari; e di comune accordo i due scultori si divisero le commesse restate in sospeso (Di Marzo, II, p. 35, doc. XXVIII). Nel maggio del 1519 lo spagnolo Francesco Torres, residente a Malta, commissionò al M. per Palermo una ancona marmorea che probabilmente non riuscì a realizzare a causa della morte, di cui tuttavia non si conosce con esattezza la data.
Nel testamento del 30 giugno 1519 dispose di essere sepolto in S. Francesco d'Assisi, dinanzi alla cappella dei Quattro santi Coronati, dove erano sepolti gli scultori e marmorari di Palermo. Lasciava eredi di tutti i suoi beni i figli Simone e Marcantonio - altra figlia citata nei documenti è Lorenza o Lorenzella - che non seguirono il padre nel mestiere di scultore e morirono di lì a breve in giovane età: Marcantonio prima del 1524, anno della morte di Simone (ibid., p. 36, doc. XXIX).
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