TRABALLESI, Giuliano
Nacque a Firenze il 2 novembre 1727 da un umile falegname di nome Agostino, secondo quanto riferito da Ignazio Fumagalli, il funzionario dell’Accademia di belle arti di Milano che redasse il primo elogio commemorativo del pittore (1839, pp. 7 s.), ma l’assenza del nominativo nei registri battesimali dell’Opera del duomo fiorentino fa pensare che Giuliano sia nato al di fuori delle mura cittadine. Contraddittorie sono le notizie sulla sua formazione: Fumagalli riferisce che il ragazzo si emancipò dalla professione paterna grazie al precoce talento nel disegno e che divenne allievo del pittore fiorentino Francesco Conti (ibid.), mentre lo stesso Traballesi ricordò Agostino Veracini quale suo primo maestro in alcune lettere inviate tra il marzo e l’aprile del 1764 all’abate Carlo Innocenzo Frugoni, allora segretario dell’Accademia di belle arti di Parma (Bandera Viani, 1988a, p. 130 nota 8); la prima opera attestata di Giuliano, l’affresco databile al 1758 con Dio Padre in gloria nella chiesa domenicana di S. Caterina a Livorno (ibid., pp. 120-122, fig. 8), sebbene sia stata alterata da ridipinture ottocentesche, conserva affinità stilistiche e compositive con un lavoro tardo di Veracini come la Visione di s. Giovanni Evangelista a Patmos nella volta di S. Giovannino degli Scolopi a Firenze.
Entro la metà degli anni Cinquanta il giovane Traballesi dovette applicarsi allo studio della prospettiva, condividendo insieme al futuro architetto Niccolò Gaspero Maria Paoletti la frequentazione dello studio dello scultore Vincenzo Foggini (Follini, 1813), e forse entrò in contatto con Antonio Galli Bibiena, come si evince da un gruppo di fogli al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi con scorci architettonici e fregi ornamentali tradizionalmente attribuiti a Giuliano e contraddistinti da tagli obliqui che ricordano la «veduta per angolo» messa a punto dagli architetti e scenografi bolognesi (Bandera Viani, 1988a, pp. 120 s., figg. 1-6). Il 31 gennaio 1760 fu ammesso all’Accademia delle arti del disegno di Firenze (Lenzi Iacomelli, 2012, p. 175 nota 117) grazie all’appoggio del marchese Andrea Gerini, allora luogotenente in carica, che ingaggiò l’esordiente pittore per la decorazione del proprio palazzo cittadino, all’interno del quale restano alcuni soffitti affrescati con Giove dormiente tra le braccia di Giunone, il Trionfo di Diana e Aurora che scaccia la Notte, dipinti da Giuliano entro il 1761 insieme alle perdute Fatiche di Ercole e ai Ritratti dei coniugi Carlo e Maria Camilla Gerini, ancora conservati all’interno della dimora di via Ricasoli (Lenzi Iacomelli, 2015).
Negli anni immediatamente successivi il pittore si dedicò allo studio della pittura emiliana del Cinquecento e del Seicento, che divenne un riferimento costante del suo stile: tra il 1764 e il 1767 tradusse in incisione alcuni dei dipinti più celebri di Parmigianino, Ludovico e Agostino Carracci, Guido Reni, Guercino, realizzando una serie di tavole che suscitarono l’apprezzamento del noto collezionistica Pierre-Jean Mariette (Bottari - Ticozzi, 1822) e che furono raccolte in un album pubblicato a Milano nel 1796 con il titolo Venticinque quadri di maestri eccellenti incisi da Giuliano Traballesi (Bandera Viani, 1988a, p. 120).
Nel 1764 il pittore partecipò a un concorso internazionale indetto dall’Accademia di belle arti di Parma, l’istituzione fondata nel 1752 per volere del sovrano Filippo di Borbone ed esemplata sugli indirizzi culturali dell’Académie Royale di Francia, e risultò il vincitore della classe di pittura con il dipinto raffigurante Furio Camillo libera Roma dai Galli Senoni, un soggetto tratto dalle Storie di Tito Livio che s’inseriva, quale exemplum virtutis, nel filone del ritorno al grand genre inaugurato dalla coeva pittura di storia francese (ibid., pp. 120-123). La composizione pausata del Furio Camillo, oggi alla Galleria nazionale di Parma, rivela una precoce adesione al classicismo austero di matrice poussiniana che avrebbe trovato una compiuta elaborazione nelle opere della maturità di Traballesi, mentre i plastici effetti chiaroscurali, l’impostazione teatrale e le figure monumentali si pongono in continuità con la corrente della pittura fiorentina settecentesca rappresentata da Francesco Conti e Giovanni Domenico Ferretti.
Nel biennio 1765-67 si collocano due opere andate perdute, l’Educazione della Vergine per la chiesa di S. Maria del Soccorso a Prato, trafugata nel 1997, e il Parnaso realizzato insieme al collega Tommaso Gherardini e al quadraturista Giuseppe del Moro nel locale teatro dell’Accademia dei Semplici (Lenzi Iacomelli, 2006). Ma fu grazie alla risonanza suscitata dalla vittoria al concorso parmense che Giuliano ottenne il primo incarico ufficiale da parte del granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena. Dopo il suo insediamento a Firenze nel 1765, il giovane sovrano aveva eletto la Villa del Poggio Imperiale quale sua residenza prediletta e aveva delegato all’architetto Niccolò Gaspero Maria Paoletti i lavori di ampliamento: la prima fase, avviata nel 1767, prevedeva la costruzione di un nuova ala rivolta a ponente, e composta da stanze affacciate sul giardino e tra loro comunicanti, nelle cui volte fu dispiegato un ciclo allegorico ispirato all’antichità classica. I pittori coinvolti furono i sopracitati Gherardini, autore dell’Allegoria dell’origine dell’Impero romano nel soffitto della prima delle sale e del Trionfo del Cristianesimo al tempo di Costantino in quello della terza, e Del Moro, che decorò tutti e tre i vani con pitture illusive classicheggianti sopra le quali poggiano le scene citate (Bandera Viani, 2009, pp. 122 s.). Traballesi attese all’affrescatura del soffitto della seconda stanza tra il novembre 1769 e il giugno 1770 raffigurandovi Ottaviano Augusto che celebra un sacrificio per la pace dell’Impero (pp. 126 s.), una composizione orchestrata su arditi scorci prospettici in cui i vigorosi personaggi paludati all’antica sono disposti su fasce diagonali e tendono a raggrupparsi alla base dello sfondato, secondo un orientamento d’ispirazione classicista ancora memore dei modelli secenteschi. Lo stesso indirizzo connota il coevo affresco con Venere che intercede presso Giove in favore di Enea, commissionato a Giuliano dal marchese Lorenzo Niccolini in una delle sale al piano terreno del palazzo di famiglia in via de’ Servi, dove le finte architetture di gusto antiquario spettano ancora a Del Moro (Lenzi Iacomelli, 2012).
Il successo riscosso con l’affresco del Poggio Imperiale, che venne lodato da Anton Raphael Mengs durante il soggiorno fiorentino del 1771, fu foriero per Traballesi di importanti commissioni a Siena e nel territorio di Livorno: nell’estate del 1770 egli si apprestò a dipingere le Storie della Vergine e la Gloria di Maria nella volta a botte della chiesa senese di S. Maria della Sapienza, l’edificio sede del locale Studio, il cui interno venne rinnovato a partire dal 1767 secondo il progetto dell’architetto Giovanni Battista Marchetti. L’intervento nella chiesa senese, dove Giuliano diresse il lavoro dei quadraturisti locali Giovanni Bartalucci e Principio Principi, si concluse l’anno successivo (Roncucci, 2013), in concomitanza con i lavori nel santuario della Madonna delle Grazie di Montenero: il 24 marzo 1771 Traballesi stipulò un contratto con i padri teatini per l’affrescatura della cupola, impresa che portò a termine nel 1774 e che lo vide impegnato insieme al collega livornese Giuseppe Maria Terreni, il quale aveva precedentemente lavorato nel cantiere leopoldino del Poggio Imperiale. Nella calotta Giuliano mise in scena la complessa iconografia dell’Incoronazione di Maria da parte della Trinità, un tema raffigurato nel secolo precedente dal Volterrano nella volta della Cappella Niccolini in S. Croce e nella cupola del coro della SS. Annunziata a Firenze, e creò una figurazione dinamica, ruotante su cerchi concentrici, attingendo ancora una volta alla grande tradizione prospettica del Cinquecento e del Seicento, dal Correggio del duomo di Parma al Lanfranco di S. Andrea della Valle a Roma (Bandera Viani, 2009, pp. 128 s.).
Tra il 1771 e il 1772 Giuliano attese con Giuseppe del Moro al risarcimento di tre delle diciassette campate che erano state devastate dall’incendio scoppiato nell’agosto 1762 nel corridoio di ponente della Galleria degli Uffizi: al pennello di Traballesi spettano le parti figurative centrali delle volte contigue raffiguranti rispettivamente l’Allegoria della Filosofia, della Politica e della città di Cortona, insieme alle figure nelle campate dedicate a Livorno, all’Agricoltura e all’Accademia, che egli realizzò nel settembre 1775 in concorso con i quadraturisti Terreni e Del Moro (Bastogi, 2009). Dopo aver visto vanificare la commissione per l’affrescatura dello «stanzone» nella regia galleria, il vano in seguito adibito a sala della Niobe, in quello stesso 1775 Giuliano affrescò il medaglione nella volta del nuovo oratorio edificato a partire dal 1772 dall’architetto Zanobi del Rosso nell’ala destra del complesso fiorentino di S. Filippo Neri, raffigurandovi una monumentale e solenne Assunzione della Vergine in cui rielaborò in controparte la composizione di medesimo soggetto impiegata alla Sapienza di Siena (Bandera Viani, 2009, pp. 135-137). Gli ultimi lavori prima della partenza per Milano gli furono affidati dalla corte e lo videro impegnato a palazzo Pitti, dove partecipò con i celebri stuccatori ticinesi Giocondo e Grato Albertolli alla decorazione di una delle stanze destinate alla granduchessa Maria Luisa di Borbone, il cosiddetto salotto rotondo, dipingendovi le Tre Grazie nella volta, i quattro sovrapporta con i Baccanali e le figurette di Danzatrici incastonate tra gli stucchi alle pareti; il 18 ottobre 1775 ricevette il saldo per aver dipinto i putti volteggianti nel soffitto della stanza centrale del Kaffeehaus nel Giardino di Boboli, il casino progettato da Zanobi del Rosso su commissione del granduca Pietro Leopoldo, le cui pareti furono decorate illusionisticamente ‘a boschereccia’ dal versatile Del Moro (ibid., pp. 138 s.).
Il 9 dicembre 1775 Traballesi accettò l’incarico che gli venne offerto da uno dei ministri di Maria Teresa d’Austria su interessamento dell’architetto e ispettore generale delle Fabbriche lombarde Giuseppe Piermarini, e alcuni giorni più tardi, in seguito all’ottenimento di un apposito rescritto da parte di Pietro Leopoldo, si trasferì a Milano, dove divenne professore di disegno presso la neoistituita Accademia di belle arti (Bandera Viani, 1988b, pp. 177, 188 s., note 65-66). Oltre al ruolo accademico, che detenne fino al 1808, svolse un’intensa attività di frescante a cominciare dalle nuove sale dell’odierno Palazzo Reale, che vennero decorate tra il 1776 e il 1780 secondo il programma approntato dal poeta Giuseppe Parini e incentrato su temi allegorici che alludevano all’unione tra gli arciduchi Ferdinando d’Asburgo e Maria Beatrice d’Este: vi erano raffigurate scene con Aurora che scaccia la Notte, i Riposi di Giove, Amore e Psiche, il Trionfo d’Igea, che sono andate perdute nei bombardamenti del 1944 (rimane il bozzetto dell’Aurora in deposito alla Soprintendenza milanese e le fotografie storiche pubblicate ibid., pp. 178-181, figg. 29-33). Similmente distrutti sono gli affreschi che il pittore realizzò tra l’ottavo e il nono decennio nei palazzi nobiliari milanesi, quali il Giudizio di Paride (1775) nella Galleria di Palazzo Moriggia e le favole mitologiche nelle dimore Negroni Prati, mentre della scena con Giunone che comanda a Eolo di distruggere la flotta di Enea (1784) in palazzo Serbelloni resta un’incisione realizzata dallo stesso Traballesi nel 1794 (ibid., pp. 182 s.). Le opere superstiti si riducono ai quattro sovrapporta a monocromo facenti parte della decorazione realizzata insieme al giovane allievo Andrea Appiani in palazzo Fontana Silvestri, al fregio che corre lungo la sala grande della villa reale di Monza (1776-80), all’Assunta (ante 1787) nella chiesa di S. Gottardo a Palazzo, alla piccola Trasfigurazione su rame (1801) appartenuta al collezionista milanese Giacomo Melzi, all’Autoritratto che Giuliano donò all’Accademia nel 1805, e che è oggi alla Pinacoteca di Brera. I nuclei più considerevoli del cospicuo corpus grafico, che comprende bozzetti, disegni e incisioni, sono divisi tra la Pinacoteca Ambrosiana, il Museo del Castello Sforzesco e il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (ibid., pp. 184-186).
Dopo aver svolto un’onorata carriera anche nella veste di perito per conto del governo austriaco e durante la Repubblica Cisalpina, Traballesi si spense a Milano il 14 novembre 1812 (Fumagalli, 1839, p. 20).
V. Follini, Elogio di Niccolò Maria Gaspero Paoletti architetto fiorentino, Firenze 1813, p. 5; G.G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura e architettura, V, Milano 1822, pp. 413 s.; I. Fumagalli, Elogio del professore emerito di pittura G. T., in Discorso letto nella grande aula dell’imperiale regio palazzo delle scienze e arti, Milano 1839, pp. 7 s., 20; M.C. Bandera Viani, Profilo di G. T. – I, in Arte cristiana, LXXVI (1988a), pp. 119-138; Ead., Profilo di G. T. – II, ibid., 1988b, pp. 177-196; C. Lenzi Iacomelli, Prato e le arti, in Storia delle arti in Toscana. Il Settecento, a cura di R.P. Ciardi - M. Gregori, Firenze 2006, p. 214; M.C. Bandera Viani, G. T. tra la villa di Poggio Imperiale e palazzo Pitti, in Fasto di corte, IV, L’età lorenese: la Reggenza e Pietro Leopoldo, a cura di R. Roani, Firenze 2009, pp. 122-139; N. Bastogi, L’intervento decorativo nelle volte della Galleria degli Uffizi, ibid., pp. 167-182; C. Lenzi Iacomelli, Il palazzo dei marchesi Niccolini, in Fasto privato, I, Quadrature e decorazione murale da Jacopo Chiavistelli a Niccolò Contestabili, a cura di M. Gregori - M. Visonà, Firenze 2012, pp. 175 s.; S. Roncucci, Tra rococò e gusto neoclassico. La decorazione interna di Santa Maria della Sapienza a Siena, in Paragone, LXIV (2013), 755, pp. 64-85; C. Lenzi Iacomelli, Le trasformazioni al tempo dei marchesi Andrea e Carlo Francesco, e oltre, in Fasto privato, II, Dal tardo Barocco al Romanticismo, a cura di M. Gregori - M. Visonà, Firenze 2015, pp. 120-126.