BIANCANI, Giulio Antonio
Nacque a Milano nel 1699, mentre la madre si trovava in Castello presso il marito, Pietro, fatto arrestare dal Senato su richiesta del proprio padre.
Questi, speculatore avveduto e fortunato, era ricorso al tribunale per porre fine alla vita dissipata del figlio, che, in seguito alla reclusione, si arrese ai suoi desideri e, diventato banchiere, continuò ad aumentare le ricchezze familiari con abilità sorprendente, che seppe trasmettere anche al figlio, destinato a sanzionare l'ascesa della famiglia con l'ammissione alle cariche pubbliche e con l'acquisto del titolo nobiliare.
Dopo un'educazione in tutto consona agli ambiziosi progetti fatti su di lui, il B., appena ventenne, divenne segretario del Senato e poco dopo contrasse un matrimonio vantaggioso con Marianna Lomazzi, un'orfana nobile e ricchissima. Nel 1732 la morte del padre lo rese erede di una notevole fortuna - più di trecento ettari di terreno in zona irrigua, oltre ai capitali liquidi impiegati in imprese commerciali - che, unita alla dote della moglie, avrebbe potuto permettergli il ritiro dagli affari e garantirgli l'immediato consolidamento della posizione sociale e della carriera statale; ma egli non era uomo da rinunciare a cimentarsi nell'attività finanziaria in anni in cui gli avvenimenti politici e le richieste del governo offrivano allo speculatore, rotto al rischio, straordinarie occasioni di guadagno. Egli scelse perciò di continuare gli affari paterni, sicuro di ottenere un titolo e una carica più importante con l'offerta di sussidi alla corte.
L'anno precedente suo padre aveva stretto un contratto privato con i finanzieri genovesi, a cui la Repubblica aveva concesso il Rimplazzo di Corsica, ma il B. volle occuparsi direttamente dell'appalto e, divenuto amministratore generale e cassiere della società, ne trattò ufficialmente il rinnovo con i rappresentanti del governo. L'indipendenza con cui portò a termine l'operazione gli attirò i sospetti dei soci, che gli intentarono causa accusandolo di "essersi arrogato tutto l'assunto"; pochi mesi dopo però essi rinunciarono all'azione legale, lasciandogli la direzione dell'appalto fino al termine del contratto. Solo le sue capacità diplomatiche e l'appoggio dell'autorità austriaca poterono ottenere dalla Signoria genovese il rimborso delle spese sostenute dalla società durante l'appalto, ma i compagni, per nulla disposti, in grazia dell'abilità dimostrata, a concedergli una parte maggiore di utili, gli contestarono il compenso che pretendeva. Egli dovette perciò scendere a patti con loro.
L'impresa di Corsica, in cui il B. aveva debuttato come operatore economico, mostrando tanto le sue doti quanto la sua spregiudicatezza, ebbe per lui risultati molto più importanti del guadagno: gli assicurò infatti il favore del governo austriaco, che da allora lo considerò il finanziere più capace ed onesto. Naturale perciò ch'egli potesse trovare campo aperto alle speculazioni nel Milanese. Durante la guerra contro i Franco-Sardi gli fu assegnato l'appalto delle munizioni per l'esercito imperiale e poté associarsi a tutti gli appalti parziali del Rimplazzo concessi successivamente nelle zone interessate alle operazioni militari. Nonostante le spese enormi che comportavano queste forniture belliche, per cui si era già indebitato fino al punto di dover cedere molti carati di interessenza per far fronte agli impegni presi, egli non rinunciò ad entrare in società per assumere l'amministrazione delle regalie, che la Camera affittava a compagnie private. Nel 1734 con Molo e Bernascone ottenne la Ferma del sale e la provvista economica di esso per il ducato per il periodo di quattro anni: nel 1736 assunse la Ferma del sale per il Mantovano per la durata di otto anni; nel 1738 le imprese della mercanzia e del tabacco dello Stato di Milano. Il governo lo preferì agli altri aspiranti per le condizioni generose che aveva proposto: per la Ferma del sale aveva offerto l'affitto di L. 3.470.000 e l'85% degli utili; per quella della Mercanzia e del tabacco l'affitto di L. 1.762.002 e il 70% degli utili oltre alla libera circolazione all'interno dello Stato delle manifatture locali e il libero ingresso delle materie prime necessarie all'industria della seta e della lana.
Questi contratti sono tra i più lauti che la Camera abbia ottenuto durante tutto il Settecento. Tanta liberalità farebbe supporre che il B. avesse concesso una cifra superiore a quella che avrebbe proposto, se avesse preso in seria considerazione il gravissimo rischio a cui si esponeva. Invece egli era mosso da un sottolissimo calcolo e da una fiducia smisurata nella sua abilità e nella sua fortuna; sapeva che la Camera, oberata dai debiti, avrebbe scelto il partito più vantaggioso senza altre considerazioni, che solo sugli utili di quelle imprese poteva ottenere il rimborso dei crediti degli appalti del Rimplazzo, e che concedendo facilitazioni al commercio secondo il desiderio dell'imperatore, se ne sarebbe procacciato il favore e la protezione. Inoltre, si rendeva conto, probabilmente più di chiunque altro, che le regalie in mano di un amministratore scaltro potevano trasformarsi in miniere d'oro. Il problema di dover far fronte ad impegni molto gravosi verso i sovventori non lo preoccupava: li considerava semplici pedine del suo piano finanziario e non dubitava di poterli spingere a transazione nel caso in cui la rendita degli appalti fosse stata insufficiente. D'altra parte egli non mirava più soltanto al guadagno e alla soddisfazione di speculare in imprese più importanti e più rischiose del consueto, ma riteneva fosse giunto il momento di esercitare le sue doti e la sua pratica finanziaria nell'amministrazione statale.
Il B. già si era assicurato il titolo di conte durante la guerra, acquistando dal Confalonieri i feudi d'Azate e Dobbiate e compiendo le formalità necessarie per l'uso del titolo appena i tribunali su istanza imperiale gliele imposero. Aveva inoltre intrapreso una vita da gran signore, aprendo alla migliore società milanese un magnifico palazzo in città e le splendide ville di Sant'Angelo Lodigiano e di Cernusco Asinario. Nei rapporti mondani s'impose come gentiluomo colto e brillante, tanto da poter diventare uno degli assidui del salotto intellettuale più celebre del momento, quello della contessa Borromeo del Grillo. Ora, a coronamento della sua ascesa sociale, sperava che Carlo VI, tenendo conto dei suoi meriti di devoto sovventore della Camera, gli concedesse una piazza di questore soprannumerario nel Magistrato ordinario per 30.000 fiorini, ma le sue rinnovate istanze a Vienna non ebbero risposta.
Solo nel 1741, dopo la ripresa della guerra, Maria Teresa prese in considerazione il desiderio del B., spinta dalla situazione critica in cui si trovavano le finanze imperiali. Ella avrebbe voluto da lui un prestito di 200.000 fiorini, il cui rimborso fosse assicurato sopra una rendita milanese: in cambio gli avrebbe concesso il sospirato questorato. L'imprenditore non aderì alla proposta, o, meglio, non poté farlo: le rischiose speculazioni fatte fra il 1733e il 1739, quando gli appalti si erano accumulati nelle sue mani insieme con le forniture per l'esercito, avevano assorbito tutto il suo capitale liquido e nel 1740il vano tentativo di ottenere il rinnovo della Ferma del sale aveva compromessa la sua posizione di fronte ai sovventori, per cui gli era impossibile prendere a prestito la somma richiesta dall'imperatrice; ma l'estrema necessità in cui si trovava il governo e la sua fama di finanziere intelligentissimo giocarono a suo favore; più volte Maria Teresa, attraverso il marchese di Villasor, pregò il governatore, conte di Traun, di convincere il B. ad aderire alla sua richiesta ed in ultimo, su proposta dello stesso Traun, accettò di concedergli la piazza soprannumeraria per i soli 30.000fiorini di cui il B. disponeva.
Il governatore, grande ammiratore delle doti del finanziere, era riuscito a persuadere la sovrana che quest'ultimo avrebbe potuto svolgere in Magistrato un'attività molto vantaggiosa per il governo, anche se la sua abilità, capacità e intelligenza sarebbero state inevitabilmente esposte alla gelosia e all'animosità degli altri ministri. Poco tempo dopo il B. ebbe la carica effettiva per la morte del conte Pietro Quirina, ma si trovò nella spiacevole situazione di non poter svolgere appieno quell'attività di ministro che era stata al culmine delle sue aspirazioni e che ora gli spettava di diritto, perché il Senato non gli voleva riconoscere il titolo di questore che l'imperatrice gli aveva concesso con procedura d'urgenza e perciò senza le solite formalità, come l'interinazione. Nel 1744 non poté far parte del Tribunale di Sanità, anzi dovette chiedere di essere dispensato da tale incarico per non correre il rischio che il Senato invalidasse la sua ormai abituale presenza in Magistrato. Fu perciò costretto a supplicare l'imperatrice di liberarlo da una situazione così critica, ma, sebbene rinnovasse più volte i suoi ricorsi a Vienna, non ebbe risposta da Maria Teresa, assillata dai problemi più urgenti della guerra. Il B. non voleva aspettare la fine delle ostilità, né tollerare per tanto tempo una posizione di inferiorità, che restringeva il campo della sua attività, e cercò quindi il modo di acquistarsi la riconoscenza della sovrana. A questo scopo assunse l'appalto delle vettovaglie per l'esercito che combatteva in Italia al comando del Traun, appalto che costituiva una costante preoccupazione per il governatore, poiché nessuno aveva il coraggio di sobbarcarselo per la penuria e per il prezzo elevatissimo del grano, se non a patti proibitivi per la Camera milanese.
Solo un uomo senza scrupoli e rotto a tutte le situazioni, come il B., poteva pensare a cuor leggero ad un'impresa così rovinosa sapendo per esperienza quali espedienti adottare per ammortizzare le inevitabili perdite. Egli accumulò ingenti provviste di grano nella sua casa di Sant'Angelo, introducendolo di contrabbando dal Veneto, dove l'aveva potuto acquistare per una cifra minore, non solo per rifornire l'esercito senza una perdita troppo rilevante, ma per rivenderne una parte ad acquirenti privati al prezzo milanese.
Queste manovre, che dovevano esser state al B. abituali durante la guerra precedente, quando egli si era meritato per la sua dedizione la riconoscenza imperiale e l'ammirazione del Traun, ora, data la sua notorietà e la sua nuova dignità di ministro, non sfuggirono al Magistrato straordinario, sovraintendente all'Annona, che fece confiscare tutto il grano ammassato. Il B. ricorse allora al Traun, al quartier generale di Bonporto, protestando che il tribunale aveva confiscato le provviste da lui raccolte con tanta fatica per l'esercito. Il governatore ingiunse al Magistrato di restituire immediatamente il grano e di astenersi dal giudicare l'operato del conte, delegando a questo scopo una commissione speciale di ministri. Il tribunale, però, offeso che il Traun avesse limitato la sua autorità, inviò a Bonporto due delegati, che fecero una convincente relazione del modo illegale con cui si era condotto il B., tanto che il governatore dovette ricredersi, ingiungere al conte di "non andarlo ad inquietare ulteriormente" e permettere al tribunale di procedere contro di lui. Abbandonato alla giustizia locale, da cui aveva tutto da temere, il finanziere supplicò l'imperatrice di concedergli la grazia di recarsi a Vienna agiustificarsi, ma i suoi ricorsi non poterono che ritardare la conclusione del processo.
In apparenza la posizione del B. era rimasta inalterata: il Magistrato ordinario non aveva ritenuto necessario sospenderlo dall'ufficio durante l'istruttoria; ma egli era troppo intelligente ed acuto per non capire che, perso il favore dell'imperatrice e del governatore, la sua condanna era sicura, tanto più che dal suo passato non potevano che emergere fatti compromettenti, e che quindi quella carriera, al cui conseguimento aveva impegnato tutta la sua abilità, era perduta per sempre. Approfittando della circostanza che il Magistrato l'aveva dispensato dalle sedute per l'assegnazione dell'appalto della mercanzia e del tabacco, poiché era amico del Luvoni, il maggior offerente, lasciò Milano e si recò nella sua villa di Sant'Angelo, ben deciso a sottrarsi ad una sentenza infamante. Qui, forse consigliato da un fautore degli Spagnoli, il conte Antonio Bolognini, feudatario di Sant'Angelo, certamente spinto da quell'audacia senza limiti che aveva sempre accompagnato le sue decisioni più arrischiate, decise di cercare nella guerra non solo la salvezza, ma la possibilità di acquistare presso il nemico la posizione vantaggiosa persa presso l'imperatrice. Per assicurarsi la riconoscenza dell'infante invitò il duca di Viafuil a occupare il territorio di Sant'Angelo, suggerendogli il modo di sorprendere l'esercito austriaco e dandogli a questo scopo come guida i suoi contadini. La riuscita del piano spinse il finanziere a presentarsi immediatamente a Casal Maggiore per raccogliere il frutto del successo. Don Filippo lo accolse con tutti gli onori e, sapendo ch'egli era esperto di finanze e di rifornimenti militari, lo elesse sopraintendente al patrimonio regio: doveva riscuotere le imposte sul territorio occupato e provvedere le truppe di viveri.
In questa veste il B. seguì l'avanzata spagnola ed entrò con l'infante in Milano, dove rimase fino al momento in cui gli Austriaci riuscirono a rioccupare la città. La sovrana ordinò la confisca immediata di tutti gli stabili, mobili, ragioni e crediti del B. con quelli dei maggiori partigiani degli Spagnoli; vennero delegati due ministri ad istruire contro di lui il processo per tradimento. Il 1º apr. 1746 la giustizia milanese arrestò il suo agente d'affari per interrogarlo sulla responsabilità del padrone e dei suoi dipendenti nei confronti dell'insidia tesa all'esercito austriaco tra Sant'Angelo e San Colombano, ma l'occupazione spagnola del Lodigiano impedì la necessaria indagine in loco. Il futuro del finanziere era dunque legato alla fortuna dell'esercito spagnolo verso cui era responsabile dei viveri. Per questo, nonostante il pericolo a cui sapeva di esporsi, volle recarsi a Venezia per comprare il grano necessario alle truppe, il cui rifornimento gli Inglesi impedivano bloccando il porto di Genova. Il generale austriaco Roth, a cui era giunta la notizia del tentativo che egli si apprestava a fare, ne ordinò la cattura durante il passaggio dal territorio lombardo in quello veneto. Arrestato per la denuncia di un albergatore di Crema e portato presso il generale Botta, il B. fu subito inviato a Firenzuola al Cristiani. All'autorità spagnola, che aveva protestato per l'arresto illegale su territorio neutrale del proprio provveditore generale, era stato risposto che si era arrestato in Lombardia un magistrato milanese colpevole di tradimento verso la sovrana.
Trasferito a Parma fuori della portata dei nemici, il B. fu interrogato sul luogo dai giudici inviati appositamente da Milano. Nell'agosto, quando gli Spagnoli ripiegarono abbandonando il Lodigiano, il notaio Sebregondi ricostruì i movimenti del B. all'epoca della sorpresa spagnola all'esercito austriaco; alla fine del mese fu tradotto a Milano e chiuso in Castello. Conclusa l'istruttoria, fu delegata una giunta di ministri a pronunciare la sentenza. Il B. ottenne di poter ricevere gli avvocati, ma poté avere solo un riassunto degli atti del processo, e la sentenza fu prorogata di soli quindici giorni. Il 22 nov. 1746, dopo una definitiva relazione del Casellas, l'imputato fu condannato alla decapitazione e alla confisca dei beni. Il B. affrontò con coraggio e serenità la morte, il 24 nov. 1746 sul palco in corso di Porta Tosa. La sua rovina, provocata dall'audacia con cui aveva usato del malcostume affaristico come di una tecnica finanziaria assolutamente legale, era una palese denuncia della necessità di una radicale riforma nel settore finanziario e nell'amministrazione statale.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano,Finanze Confische, cc. 441, 441bis. 442,passim; Uffici regi, c. 69,passim, e c. 698 passim; Araldica, p.a., c. 53; Vienna, Biblioteca Nazionale, ms. n. 5805: G. Gorani,Histoire de Milan, IV, pp. 71-73; Mercure historique et politique, La Haye 1746, pp. 51-53; Tableau de la guerre de la pragmatique sanction en Allemagne et en Italie, Berne 1784, II, 1, pp. 108-109, 162-165; P. Verri,Scritti ined., Londra 1825, p. 18; Id., Memorie sugli avvenimenti del 1733 e della dominazione gallo-sarda nel Milanese in forma di Cronaca, in Arch. stor. lombardo, VI(1879), p. 646; Id.,Consideraz. sul commercio dello Stato di Milano, a cura di C. A. Vianello, Milano 1939, p. 72; M. Benvenuti,Come facevasi giustizia nello stato di Milano dall'anno 1471 al 1763. Registro dei giustiziati della nobilissima scuola di S. Giovanni Decollato…, in Arch. stor. lombardo, IX(1882), p. 474; S. Pugliese,Condiz. econ. e finanz. della Lombardia nella prima metà del sec. XVIII, Torino 1924, pp. 194 s., 207 s.; A. Annoni,Gli inizi della dominazione austriaca, in Storia di Milano, Milano 1959, XII, pp. 235-238; M. Romani,L'econ. milanese nel settecento,ibid., pp. 502, 509.