CANAL, Giulio Ascanio
Nato a Trieste il 9 ag. 1815 da Nicolò, negoziante, e da Marianna Civilo, nel 1828 era entrato nel collegio superiore della Marina di Venezia, dove ebbe compagno E. Bandiera, uscendone quattro anni dopoper imbarcarsi sulla fregata "Guerriera", poi sul brigantino "Delfino", quindi sulla corvetta "Adria" e infine, come cadetto, sulla "Maria Anna". Promosso nel 1838 alfiere di vascello, l'anno seguente otteneva il congedo, mantenendo il grado, per aiutare il padre nei suoi affari commerciali di socio tacito della ditta di Fortunato Sogliani. Il C. aveva aderito alla società segreta Esperia, fondata da A. e E. Bandiera tra il 1839 e il 1840, con lo scopo dell'indipendenza nazionale italiana, nella forma politica - pur accettandosi un eventuale gradualismo - unitaria e repubblicana. L'Esperia, nella seconda metà del 1842, si era collegata, da un lato, con G. Mazzini e la Giovine Italia, dall'altro, con N. Fabrizi e la Legione Italica; la sua diffusione, dapprima lenta, aveva incontrato maggior successo tra gli equipaggi e specie gli ufficiali veneti della Marina austriaca a partire dal 1843. Scoperta la società segreta, il C. fu coinvolto come complice nella fuga dei due Bandiera.
Il piano dei Bandiera, che differiva dai progetti elaborati dal Mazzini nel gennaio del '43, non veniva attuato per il mancato arrivo dei fondi necessari. Nel novembre E. Bandiera lasciava la squadra del Levante per far ritorno a Venezia, destinato ad assumere l'incarico di aiutante di bandiera dell'ammiraglio Paolucci: egli compì il viaggio fino a Trieste sul piroscafo del Lloyd "L'imperatore", al comando del capitano dalmata Tomaso Gelcich, e a questo prima, e agli amici triestini poi, rivelò il piano rivoluzionario. Mentre attendeva istruzioni dal fratello Attilio, T. V. Micciarelli, che era stato inviato da Mazzini in Levante per avvicinare i cospiratori e si era associato all'Esperia, li denunciò al console austriaco di Smime. Emilio, che il 17 dicembre era venuto a Trieste per consegnare al Gelcich una lettera da far recapitare ad Attilio, ritornato a Venezia si accorse di essere sospettato, e ne ebbe la certezza quando aprì un dispaccio riservato del Radetzky al Paolucci che concerneva la cospirazione nella squadra navale del Levante. Decise allora di disertare e di mettersi in salvo. Fattasi rilasciare una licenza per 48 ore, il Bandiera con poco bagaglio si portò a Trieste, dove giunse nel pomeriggio del 17 febbr. 1844, con l'intenzione di imbarcarsi su un piroscafo di linea per le isole Ionie. Egli prese alloggio alla locanda del Pellegrino e la sera si incontrò con un sarto, tale Angelo Valerio, col collega Luigi Fincati, venuto apposta per incontrarlo da Pirano, e forse con un altro cospiratore, Alberto Nugent. Fu visto girare in divisa per la città, ma non andò come di consueto presso gli amici Bincker; finse poi di essere ammalato per poter ritardare il rientro a Venezia. Riuscì intanto ad avere una lettera del fratello Attilio attraverso il Gelcich, in cui gli si annunciava il tradimento del Micciarelli e l'opportunità di rifugiarsi a Corfù. Così egli decise di partire con la stessa nave che gli aveva portato la lettera, qualche giorno dopo. In questo senso E. Bandiera si accordò con il C. e con il padre di questo, che gli furono prodighi di aiuti. Il C. prestò all'amico 50 fiorini e gli procurò, attraverso l'agente commerciale Angelo Consigli, un passaporto intestato a quest'ultimo, che doveva poi fingere d'esserne stato derubato. La sera del 22 febbraio il bagaglio del Bandiera fu ritirato nascostamente dall'albergo e riposto dal C. in un magazzino della ditta Sogliani; la mattina del 23 E. Bandiera lasciò l'albergo asserendo di rientrare a Venezia, e invece passò la giornata e la notte successiva ospite del C., il quale gli procurò pure il visto inglese sul passaporto e il biglietto di viaggio. Solo la mattina del 24 egli partì da Trieste, ma ancora il 25 e il 27 il C. fece partire per Venezia sue lettere dirette ai familiari. Il Bandiera a bordo fu riconosciuto; protetto però dal capitano Gelcich, poté sbarcare felicemente a Corfù la notte tra il 27 e il 28 febbraio, proprio quando anche suo fratello Attilio si rifugiava ad Atene, poi a Malta e infine a Corfù.
Soltanto il 9 marzo la direzione di polizia di Venezia incominciò ad assumere informazioni sul soggiorno triestino di E. Bandiera: furono interrogati il Fincati e il Valerio. Quando giunse la notizia della diserzione di Attilio, la faccenda si aggravò e caddero i primi sospetti sul Gelcich e sul C., che tuttavia il direttore di polizia di Trieste, de Call zu Rosenburg, continuava a ritenere innocente e alieno da mene politiche, giovane com'era e sposato da appena un mese a Clementina Koepl. Ma le notizie raccolte dal console austriaco a Corfù aggravarono la sorte del C. e del Gelcich che, dietro ordini severi giunti da Vienna, vennero arrestati. Gli interrogatori del 6 aprile del C. e del Consigli non portarono elementi sufficienti all'accusa, ma quando il Consigli svelò il complotto, il 16 aprile il C. dovette confessare d'aver aiutato l'amico disperato a partire, addossando tutte le colpe su di sé pur di evitare guai al padre anch'egli arrestato. Il Gelcich venne licenziato dal Lloyd, e il C. inviato sotto scorta a Venezia per il processo militare sulla diserzione dei fratelli Bandiera.
Rinchiuso il 21 maggio 1844 nel carcere di Venezia, in una cella sordida e buia, caldissima e priva di aria, mentre gli interrogatori e le indagini continuavano, il C. si ammalò gravemente di tisi.
Intanto i Bandiera e i congiurati da loro raccolti fallirono, nel tentativo di sollevazione della Calabria e vennero fucilati presso Cosenza. Il 29 luglio al C., gravemente ammalato, venne consentito di passare agli arresti domiciliari nella casa della madre, che viveva a Venezia separata dal marito. Ma, nonostante le cure, le condizioni del C. non migliorarono. Suo padre rivolse all'imperatore Ferdinando domanda di grazia per lui (9 settembre), indotto a commettere un reato "solo per generosa amicizia". Venne permesso il trasporto del moribondo a Trieste, nella casa paterna. Qui il 28 novembre gli nacque una bambina, cui fu imposto, il nome di Giulia. Meno di due mesi dopo, il 24 genn. 1845, il C. morì vittima dei maltrattamenti subiti, e la grazia sovrana giunse per lui troppo tardi.
Bibl.: Per un quadro generale, si rimanda alla biografia, ed alle relative fonti e bibliografia, di Bandiera Attilio, in Diz. Biogr. d. Ital., V, pp. 681-685. Si veda inoltre: A. Comandini, L'Italia nei cento anni del sec. XIX..., II, Milano 1907, alla data 14 genn. 1845, dove è detto che il C. morì in carcere a Venezia; A. Tamaro, Storia di Trieste, Roma 1924, II, pp. 306 s.; C. Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell'unità d'Italia, II, Milano 1934, p. 848; III, ibid. 1936, p. 75, dove sono riprodotti due ritratti con notizie biografiche inesatte; G. Stefani, Il Lloyd Triestino, Verona 1938, pp. 258 ss.; P. Sticotti, Un episodio triestino della tragedia dei fratelli Bandiera: il sacrificio di G.A.C., in Archeografo triestino, s. 4, X-XI (1946), pp. 71-111 (con documenti e bibliografia); Id., Il triestino G.A.C. ed i fratelliBandiera, Trieste 1948.