BENEDETTI, Giulio (Arrigo come nome d'arte dal 1933)
Nacque a Lucca il 10 giugno 1910, da Luigi, rappresentante di commercio e Linda Agatoni; la madre, donna forte e volitiva, contava tra i suoi antenati Ildefonso Nieri, autore dei Racconti popolari lucchesi. Fino a ventisette anni abitò al centro della città, in una vecchia casa della parrocchia S. Michele dalle cui finestre seguì i primi grandi avvenimenti del secolo: le dolorose conseguenze della guerra mondiale, il passaggio dei profughi scappati dal Veneto dopo Caporetto; poi "la vittoria, con la festa notturna, cominciata la sera del 4 novembre e protrattasi fino a mezzanotte"; più tardi, assistette "alle spedizioni fasciste contro la camera dei lavoro e agli scontri in piazza San Michele, durante i quali scoppiarono bombe" (cfr. Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E. F. Accrocca, Venezia 1960, p. 61). La guerra pensata come festa e avventura dalla trasfigurante memoria infantile, la frequenza delle elementari in un castello delle Mura, a S. Pietro ("stanze comodissime e per noi scolari piacevolissime, avendo poco di scolastico"), la inquieta, esuberante fanciullezza come membro dell'associazione Ragazzi fascisti, e la ribellione al padre, aspirante musicista, borghese, riformato in guerra, politicamente disimpegnato: tutti questi ricordi "vivi", dovuti a forti impressioni del momento o a discorsi ascoltati in seguito, vengono espressi nei paragrafi giovanili di Tempo di guerra (in diciannove puntate su Il Selvaggio di M. Maccari, 1932-33; quindi raccolti in volume, Roma 1933) e di Anni inquieti (sedici puntate su L'Italia letteraria di Roma, 16 aprile-6 agosto 1933).
Dopo il liceo "Machiavelli" di Lucca, frequentato non sempre con ottimi risultati ma in saldi rapporti di amicizia col coetaneo Mario Pannunzio, destinati a durare e a incidere culturalmente sul futuro mestiere giornalistico, il B., verso gli anni Trenta, si iscrisse alla facoltà di legge dell'università di Pisa. Anche qui la frequenza risultò scarsamente regolare, a causa oltrettitto di dissesti familiari; nel Diario di campagna (postumo, Roma 1979, p. 81) parla di "rovina finanziaria del padre, dovuta al semiozio con cui si ribellava alla professione di rappresentante di commercio cui s'era adattato dopo i primi facili anni matrimoniali, rinunciando alle sue aspirazioni musicali"; importanti tuttavia e fortunati gli incontri nell'ambiente universitario pisano con Walter Binni, Aldo Capitini, Giuseppe Dessi, Enzo Carli, Arturo Loria, Tommaso Landolfi. Trasferitasi la famiglia a Frignano, sobborgo a sette chilometri da Lucca, il B. trascorse le vacanze a Viareggio - insieme con gli amici Pannunzio, Alberto Moravia, Antonio Delfini, Enrico Pea, e agli artisti Carlo Carrà e Ardengo Soffici - nell'ambiente di una Versilia letterariamente dannunziana e culturalmente raffinata (di cui rievocherà i fasti mondani nell'articolo D'Annunzio nudo a cavallo scandalizzava i buoni versiliesi, in La Stampa, 3 agosto 1954).
Dopo l'esordio con Villeggiature lucchesi (su L'Italia letteraria, 10 luglio 1932), autobiografico resoconto delle bellezze artistiche e paesaggistiche della provincia di Lucca, nel biennio 1933-34 pubblicò, sempre su L'Italia letteraria, Innocente punito (5 marzo 1933), Tranquillità dell'arricchito (1° aprile 1934), Soddisfazioni (10 novembre 1934), tre racconti paesani ambientati nella campagna toscana, con temi e modi figurativi che richiamano i conterranei Viani e Tozzi (attaccamento possessivo alla terra, crudeli discordie e tragedie familiari).
Una delle riviste più autorevoli dei regime, Pan, diretta da Ugo Ojetti, decretò il suo primo successo letterario, pubblicandogli il racconto Lavori sull'Appennino (1° settembre 1934; premio Pan 1934 messo in palio dal periodico), impostato sull'urto tra città e campagna, sul dissesto economico che disgrega una famiglia, sulla prospettiva di lavoro e la nuova fiducia dovuta alla costruzione della "diga" che ricompongono il nucleo familiare. Promosso con la premiazione a recensore letterario di Pan, poté denunciare certi conformismi degradanti della cultura ufficiale, per esempio il discutibile premio Viareggio 1935, che una faziosa, inintelligente giuria fascista assegnò ex aequo a Mario Massa (Uomo solo) e a Stefano Landi, primogenito di Pirandello (Mura di casa). Contrariato dalla vistosa spettacolarità celebrativa dei Littoriali della cultura 1935, cominciò a prendere le distanze dal regime.
L'adesione al fascismo (per impazienza, giovanilismo, protesta antiborghese e antisovversiva) si interruppe con una revisione critica, spiegata dallo stesso B.: benché avesse maturato lentamente,le sue idee, aveva cercato di non "mescolarsi nel clima soffocante del fascismo" e, avendo "un grande rispetto per la narrativa", rifiutò "quand'era all'università di concorrere ai Littoriali" (F. Perazzolli, p. 28).
A ventisette anni, senza aver raggiunto la laurea (dalla facoltà di giurisprudenza era passato a lettere), lasciò la provincia lucchese l'11 febbraio 1937 per trasferirsi a Roma, dietro invito dell'amico Pannunzio che frequentava allora il Centro sperimentale di cinematografia. Un primo impiego lo trovò nella redazione della rivista bibliografica Il Libro italiano dell'editore Ulpiano. Nello stesso anno portò a Roma la giovane moglie Rina Gigli, di Villa Minozzo (Reggio Emilia), sposata a Lucca l'8 maggio. Il periodo romano 1937-1945 rappresentò una fase avventurosamente attiva e produttiva nella vita artistica del Benedetti. All'Aragno (il caffè frequentato da Cecchi e Cardarelli, da Barilli e Patti, da De Feo e Flaiano), Pannunzio lo presentò a Leo Longanesi, il quale, dopo L'Italiano, stava progettando un nuovo settimanale, Omnibus (aprile 1937-febbraio 1939), il primo rotocalco in Italia.
Collaborando alla rubrica "Il sofà delle muse" in settima pagina, come "oratore letterario", cioè come recensore, il B. scopre e valorizza su Omnibus le nuove promesse della cultura italiana ed europea: Dialogo dei massimi sistemi di T. Landolfi (22 maggio 1937), Vita militare di A. Bonsanti (19 giugno 1937), Lo sa il tonno di R. Bacchelli (13 nov. 1937), La Maremmana di E. Pea (11 giugno 1938), La rosa rossa di P. A. Quarantotti Gambini (27 nov. 1938). Circa l'anticonformismo di Omnibus, che seguiva la linea antiautarchica ed europeizzante di Solaria, avendo come modello la Nouvelle Revue française, la stampa inglese e soprattutto il giornalismo americano di Life, il B. precisò: "Il problema del teatro, del romanzo e del settimanale inquietava Mussolini e la inquietudine era giustificata perché il nuovo teatro in Italia fu soprattutto Pirandello che non può dirsi autore capace d'esprimere lo spirito fascista; il nuovo romanzo fu Moravia che, pubblicati Gli indifferenti nel 1929, continuava a darci racconti di vita italiana nei quali s'intravedeva lo sfacelo morale della borghesia cittadina sostenitrice della dittatura. Lo stesso accadde con Omnibus. Fu subito chiaro che non rappresentava l'Italia imperiale. Così fu soppresso" (cfr. L'Espresso, 6 ott. 1957, in occasione della morte di Longanesi).
Alla chiusura di Omnibus per ragioni politiche nel febbraio 1939, il B. passò con Pannunzio alla redazione del settimanale femminile Tutto (editore Rizzoli), sospeso anch'esso al quarto numero nella primavera del 1939 dal segretario del partito fascista Achille Starace. Provò allora, sempre insieme con Pannunzio, a far risorgere il settimanale Oggi, uscito la prima volta nel 1933-34.
Edito da Rizzoli, il nuovo Oggi (1939-41) riprendeva la formula longanesiana, con rubriche firmate da nomi prestigiosi (Montale, Bonsanti, Angioletti, Savinio, Landolfi), e avvalendosi della collaborazione di giovani già in fama di non allineati come Pintor e Vittorini, Ingrao e Alicata. Scoppiata la guerra, Oggi non nascondeva perplessità e freddezza per un avvenimento così "ripugnante", né condivideva l'euforia di molti giornali italiani che, dopo l'aggressione giapponese a Pearl Harbour, ritenevano spacciata l'America; il ministero degli Esteri accusò Oggi di imperdonabile leggerezza e Mussolini lo soppresse.
L'intensa esperienza giornalistica di questi anni non impedì al B. di attendere alla creazione narrativa. Del resto agivano in lui due dimensioni, due possibilità di vita: "una letteraria, più introversa, guidata da un ideale flaubertiano; l'altra giornalistica estroversa, con ideale attivistico" (Diario di campagna, p. 83).
Dopo La figlia del capitano (uscito a Firenze da Parenti, nel gennaio 1938), romanzo della fanciulla di provincia Elisa, cui toccano drammi più grandi di lei, pubblicò su Letteratura i due lunghi racconti I misteri della città e Le donne fantastiche, che intitolano le rispettive raccolte (la prima edita a Firenze da Vallecchi nel 1941 e in 21 ediz. corretta a Milano nel '49; la seconda a Torino, presso Einaudi, nel '42); nel primo la memoria retrospettiva dell'io narrante sospende, immobilizza in un itinerario tra fantasia e realtà figure e "misteri" notturni di Lucca (la imprevista morte di Teresa, il capitano ucciso per gelosia dall'attendente); nel secondo Maria Giulia, trasognata e immaginosa, racconta o meglio confessa all'amica Zita una sua incerta e grigia vicenda d'amore.Durante l'inverno 1942-43, richiamato alle armi, appartenne per poco al reggimento chimico, quindi fu inviato in Sicilia quale corrispondente per la Regia Marina e per il quotidiano Il Mattino di Napoli, in abiti civili, equiparato al grado di tenente. Ma i suoi articoli, giudicati non idonei alla propaganda del regime, provocarono la revoca dell'incarico e la retrocessione al reggimento chimico (di stanza a Roma) come soldato semplice. Nonostante la degradazione e il cambiamento di corpo, ottenne - per esigenze di servizio giornalistico - di restare nella capitale. La notte del 25 luglio 1943 la trascorse in città con gli amici che già militavano nei partiti politici democratici di recente ricostruzione. Prima dell'8 sett. 1943 aveva lasciato Roma: preoccupato per la moglie, in attesa del secondo figlio, l'aveva accompagnata dai genitori a Gazzano presso Villa Minozzo. Qui fu sorpreso dall'armistizio; nei giorni seguenti, organizzò soccorsi ai prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento e ai militari italiani sbandati. Il 24 dic. 1943 la Guardia repubblicana fascista lo arrestò durante una spedizione sulle montagne reggiane. Sottoposto a Reggio ad uno stringente interrogatorio, fu tradotto nelle carceri di S. Tommaso e deferito al Tribunale militare di Bologna per collaborazione col nemico. Dal carcere, dove fu rinchiuso nella stessa cella in cui si trovava Alcide Cervi (proprio mentre i suoi sette figli venivano fucilati), evase dopo il bombardamento del gennaio 1944.
Questa drammatica esperienza è descritta non più con modi fantastico-evocativi ma con una scrittura oggettiva, neorealistica e resistenziale nel romanzo Paura all'alba (Roma 1945), nella successione cronachistica di fatti privati e pubblici: la fuga dello scrittore, la sua vita nei boschi, nelle fattorie e nei villaggi della Garfagnana e di Val Feddana dopo l'8 settembre, la morte dei fratelli Cervi. la caduta della repubblica partigiana di Montefiorino sotto l'urto dei paracadutisti tedeschi, i rastrellamenti, le rappresaglie; la documentazione registra un coro di voci e una folla di personaggi: il patriarca contadino Alcide Cervi, il russo Valentino, il maggiore inglese Richard, un equivoco ufficiale francese, i capi partigiani.
Dal 1945 al 1964, per quasi vent'anni, il B. operò come giornalista, commentatore politico e di costume, impegnato in quel "romanzo a più mani" che è il settimanale. A Roma, con Giorgio Bassani e Nicola Adelfi, varò il settimanale d'attualita Nuovo Mondo, di breve durata. A Milano, dopo aver fatto per qualche tempo il critico teatrale al Corriere lombardo, verso la metà del 1945, quando la Lombardia era ancora sotto il controllo degli alleati, progettò, d'accordo con l'editore Gianni Mazzocchi, L'Europeo.
Proseguendo con opportune variazioni l'esperienza di Omnibus e di Oggi, si volle "registrare con scrupolo e vivacità l'attualità italiana. Per far ciò occorrevano fotografie che non fossero ironiche come al tempo di Longanesi, ma documentarie. Anche lo stile bisognava che non fosse più allusivo come un tempo, quando c'era la censura, ma impersonale, emendato dai piccoli lenocini letterari a cui fino allora era ricorso il giornalismo italiano" (in Ritratti su misura, p. 62).
L'8 maggio 1954, per contrasti di carattere politico-editoriale col nuovo proprietario Angelo Rizzoli, che lo accusava di eccessive simpatie per una politica di apertura verso i socialisti, il B. lasciò L'Europeo. Per il 1954-55, quale redattore della Stampa di Torino (a cui collaborò dal 1953 al dicembre 1971), viaggiò in Europa e in Africa. Il 2 ott. 1955 - l'anno stesso in cui, accanto a Pannunzio, figurò tra i fondatori del Partito radicale - impostò a Roma un nuovo settimanale, L'Espresso, che dirigerà fino al 1963.
Sul foglio, dove le rubriche portano firme di rilievo (L. Venturi per le arti figurative, M. Mila per la musica, B. Zevi per l'architettura, A. Moravia per il cinema, E. Scalfari per l'economia, L. Valiani : per la politica) apparve la prima puntata del Diario italiano, osservatorio e testimonianza critica di vita nazionale che il B. condurrà per oltre vent'anni, concludendola su Il Mondo nel 1976. Caratterizzavano L'Espresso le inchieste e i dibattiti sui problemi più attuali e scottanti della società italiana; famosa tra le "campagne dell'Espresso" quella sugli scandali della speculazione edilizia a Roma, che portò ad un processo per diffamazione intentato dalla Società immobiliare romana.
L'abbandono della direzione dell'Espresso e il ritiro nella sua villa a Santocchio in Lucchesia (comprata nel 1959) segnarono la terza fase della vita del B., intenzionalmente e completamente dedicata alla narrativa. Uniche parentesi furono la direzione della nuova serie milanese del Mondo (1969-1972) e la direzione a Roma del quotidiano Paese sera (novembre 1975-ottobre 1976); nel frattempo ricevette il premio Saint-Vincent 1972 per il giornalismo. Dimessosi dal Partito radicale nel 1962 per solidarietà con l'amico Mario Pannunzio, dopo il radicalismo liberale dell'Espresso, nel 1974 si orientò politicamente verso l'area comunista.
L'intenzionale utilizzazione della letteratura come rappresentazione storica produsse Il passo dei Longobardi (Milano 1964), L'esplosione (ibid. 1966), Rosso al vento (ibid. 1974), ambiziosa trilogia storico-sociale della Resistenza, dove carenze e difetti nell'equilibrio dell'insieme sono compensati dal severo, illuminato moralismo che filtra civilmente attraverso la cronaca, la memoria, il recupero fantastico.
Frutto di quattro anni di lavoro, Il passo dei Longobardi, romanzo di oltre settecento pagine (premio Prato 1964), si svolge in tre parti corrispondenti a tre successivi periodi storici: Un delitto del '22, Il giro delle Mura (vasto affresco di vita lucchese col fascismo ormai consolidato), Il passaggio della guerra (ritmi narrativi serrati, avvincenti sui temi e le ragioni esistenziali di Paura all'alba). Nel romanzo storicoautobiografico L'esplosione, il protagonista Goffredo pensa di riscattarsi col gesto clamoroso dell'uccisione di Mussolini (persuasive alcune sequenze: l'esultanza popolare dopo il 25 luglio, il bombardamento di Roma, la fuga dei Savoia verso Ortona). Ultima testimonianza, romanzo del disinganno politico, Rosso al vento registra e soffre lo spegnersi delle speranze della Resistenza. Il ragazzo Rinaldo, che è stato partigiano sulle montagne toscoemiliane, capita nel 1945 a Roma; qui la guerra è finita e sono cominciati gli intrighi, i compromessi, la cattiva politica. Allora gli scatta dentro, bruciante, inarrestabile, il "vento del Nord", l'immagine eroica dei fatti rivoluzionari che lassù dovranno accadere. Si avvia dunque verso Milano, seguendo una donna, una profuga (che si rivelerà poi moglie di un repubblichino). Dopo una lunga serie di vicende, tra popolazioni ancora atterrite, tedeschi che indietreggiano e alleati (5ª e 8ª armata) che avanzano cauti, Rinaldo giunge al Nord. Ma proprio nelle giornate milanesi di piazzale Loreto e della fucilazione di Mussolini, in mezzo ad una sagra di bandiere rosse più festose che rivoluzionarie, il generoso anelito per una grande battaglia di pulizia e di rinnovamento gli si rivela solo un ingenuo e sprovveduto miraggio giovanile. Un ruolo a parte hanno nel decennio narrativamente memorialistico 1964-1974, Il ballo angelico (Milano 1968, premio selezione Campiello) e Gli occhi (ibid. 1970). Col protagonista Michele che riflette la figura di Giacomo Puccini, il primo romanzo mantiene il significato e l'atmosfera di una "leggenda pucciniana", toccata e deformata dalla memoria. Il secondo romanzo, Gli occhi, rappresenta psicologicamente e visivamente il triste, amaro ritorno a casa di un ministro dimissionario in seguito allo scandalo che ha coinvolto il figlio (riferimento al personaggio di Attilio Piccioni, toscano d'adozione, il cui figlio minore Giampiero fu coinvolto nel "caso Montesi").
Una gravissima disgrazia colpì il B. nel 1974, la tragica morte il 29 agosto del figlio trentunenne Alberto durante una immersione subacquea nel Mare di Sardegna; ne derivò reattivamente il romanzo postumo Cos'è un figlio (ibid. 1977, con presentazione di C. Cassola), dettato da una disperazione che consente solo una scrittura immediata, istintiva, nel rievocare con ansia la breve vita di quel figlio "temerario e metodico".
Già provato nel fisico per una operazione subita due anni prima, il B. morì per insufficienza renale il 26 ott. 1976, all'ospedale Fatebenefratelli di Roma.
Si ricordano tra i lavori del B., anche Un'estate crudele, Roma 1945, Il silenzio degli amici, Milano 1947 e postumo il già ricordato Diario di campagna, scritto tra il 1959 e il 1969, in cui risaltano il giornalista militante, l'intellettuale di stile europeo, l'appassionato, malinconico signore di campagna e l'uomo solo.
Fonti e Bibl.: A. Bocelli, Misteri della città, in Il Mondo, 21 maggio 1949, quindi in Letteratura del Novecento, s. 2, Caltanissetta-Roma 1980, pp. 209-213; G. Bassani, Racconti di B., in Le parole preparate, Torino 1966, pp. 141-43; F. Perazzolli, A. B., Firenze 1981 (con bibliografia); E. Scalfari, La sera andavamo in via Veneto, Milano 1986, passim.