BERLENDIS, Giulio
Nacque ad Alzano, presso Bergamo, il 23 genn. 1616 da Nicolò di Giacomo, ed appartenne ad una famiglia, quella dei Berlendis o Berlendi, della nobiltà bergamasca, finanziariamente prospera per il commercio della seta e l'esercizio dei cambi a Venezia, ove possedeva anche stabili.
Il B. seguì la carriera ecclesiastica: canonico a Bergamo, dottore in utroque iure e in filosofia, priore presso lo Studio di Bologna, ancora a Bergamo esercitò le mansioni di esaminatore sinodale e inquisitore del S. Ufficio. Nel 1643 partecipò come "maggiordomo" all'ambasciata straordinaria in Francia di Angelo Contarini e Giovanni Grimani, che erano incaricati di congratularsi con Luigi XIV per l'assunzione al trono. Intimo di Giovanni Giustinian, rappresentante veneto a Roma (1648-1651), dimorò presso di lui e l'aiutò in varie occasioni. Alla influenza del Giustinian, oltre che all'affettuoso appoggio del cardinale Federico Corner, egli dovette se, sin dall'11 maggio 1649, Innocenzo X lo destinò a succedere nel vescovado di Belluno a G. T. Malloni, morto il 7 febbraio di quell'anno. Trascorsero tuttavia più di quattro anni prima di giungere all'elezione del 6 ott. 1653 e, due mesi dopo, alla consacrazione. Il ritardo era dovuto anche alla volontà del B. di liberare - prima di prender possesso della diocesi - la mensa vescovile dalla cospicua. pensione goduta da mons. Priuli, che sopra di essa gravava e per l'abrogazione della quale efficacemente s'adoperò il cardinale Rinaldo d'Este. Ma soprattutto determinante per i "primi avanzamenti alla Chiesa di Belluno" e, più ancora, per la "total speditione" che ne seguì fu l'interessamento del cardinal Pietro Ottoboni - il futuro Alessandro VIII -, come il B. esplicitamente riconosceva nella lettera a questo indirizzata il 26 ag. 1653.
Aveva così inizio l'attività episcopale dei B., destinata a superare il quarantennio, in una diocesi "magna ex parte per ardua Noricarum iuga porrecta", composta di trentacinque parrocchie, tra cui un arcidiaconato e un arcipresbiteriato. Ambiente difficile, diffidente e teso anche nei suoi rapporti col potere civile: quasi impossibile punire, per mancanza di denunce, i frequenti "rapti di donzelle", le "archibuggiate" che nella stessa Belluno sovente, "con gran scandalo e perturbatione della quiete", venivano "sbarate… di notte tempo" (Arch. di Stato di Venezia, Collegio Secreta. Relazioni, b. 34, Relazione del 20 sett. 1656 di F. Morosini…).
Nel clero, generalmente rozzo - la caccia appassionava assai più che la lettura e la meditazione -, non erano rari atteggiamenti indecorosi e, specie nelle zone meno facili da controllare, abitudini sconvenienti. Fu preoccupazione costante del B. quella di riportarlo alla disciplina, alla precisa osservanza delle regole: fermi perciò i richiami, severi gli ammonimenti, esplicite le proibizioni, come testimoniano le costituzioni dei tre sinodi tenuti rispettivamente l'8-10 giugno 1655, il 5 luglio 1667, il 14luglio 1678, le cui Constitutiones furono pubblicate a Venezia rispettivamente nel 1656, nel 1667 e nel 1678. Soprattutto importante il primo sinodo, vera magna charta delle aspirazioni del B., volto a ottenere una rigida ottemperanza alle norme tridentine, una più scrupolosa amministrazione dei sacramenti, specie del matrimonio, del battesimo, della estrema unzione, un più regolare e competente insegnamento del catechismo, una condotta più adeguata alla vocazione sacerdotale.
Non mancarono realizzazioni di un certo peso, quali regolari riunioni di aggiornamento per preti per ovviare alle deficienze di dottrina e cultura, per rinfrescare nozioni ed idee: ma solo un seminario efficientemente organizzato poteva garantire l'immissione nel clero diocesano di elementi culturalmente e moralmente selezionati, e a questo sin dall'inizio il B. indirizzò cure costanti ed amorose giungendo ad assumersi le spese dell'insegnamento della teologia morale in aggiunta alle discipline tradizionali (grammatica, musica e canto, liturgia); "si pagheranno Ducati 60 all'anno ad un Ecclesiastico che abbia abilità di leggere Teologia Morale per un'ora al giorno" ebbe cura di dettare nel testamento (cfr. l'Estratto di questo pubblicato a Belluno nel 1856).
Personalmente assai ricco, il 28 marzo 1662 il B. - assieme al fratello Camillo e al figlio di questo Nicolò (che nel 1698 sarà podestà di Verona) -, grazie all'esborso di 100.000 ducati per sopperire alle necessità finanziarie della Repubblica sempre più aggravate dalla guerra di Candia, era aggregato alla nobiltà veneta e ammesso al Maggior Consiglio. Una lapide fu per l'occasione dedicata dal clero bellunese al vescovo "qui Bergomate Venetaque nobilitate mortalium in se decora congessit". Nel 1676 sovvenzionò le generose elargizioni alle quali, nella sua sfortunata ambizione dogale, si sottopose Giovanni Sagredo, di cui il nipote Nicolò nel 1666 aveva sposato la figlia Marina.
Anche a Belluno si sentirono gli effetti della munificenza del B.: beneficò i serviti, migliorò l'episcopio rinnovandone in pietra la facciata anteriore, fondò, nel 1662, l'Accademia degli Elevati, destinata a spegnersi alla sua morte (risorse nel 1734 per opera dell'inquisitore del S. Ufficio a Belluno, P. A. Agelli di Forlì, col nome di Accademia degli Anistamici, cioè dei risorti).
Anche al duomo il B. rivolse la sua attenzione. "Quella cattedrale è retta essemplarmente" attestava nel 1656 Francesco Morosini, "e si rende la chiesa molto cospicua per il clero numeroso di canonici et altri sacerdoti, annoverandosene ordinariamente 70 e più nell'ecclesiastiche fontioni". Né il B. badava a spese pur di abbellirla all'interno: le donò, fra l'altro, nel 1669 un tabernacolo di marmi preziosi e policromi, ornato di statuette e fregi di bronzo, tuttora posto sull'altare del Santissimo; e nel 1684 "un bellissimo ostensorio d'argento con figure d'angeli" (H. Rudio, Sonetti amorosi et varii, Venetia 1686, p. 116). Convinse altresì il Collegio dei giuristi a dotare il duomo dì un organo, del valore di 5.000 ducati, costruito dal tedesco Daniele de Corde, che fu allora stimato uno dei migliori d'Italia.
Se il duomo fu l'drgoglio del B., i canonici che lo frequentavano - il capitolo era irremovibile, quasi puntiglioso e riottoso nella gelosa difesa delle sue prerogative - costituirono per lui, per tutto il corso del suo lungo episcopato, un fastidio, un cruccio, a volte una pena amara. Quando a Venezia, nel 1691, il Collegio, cui era stato sottoposto il giudizio definitivo a proposito di un conflitto di competenza in cui il B. aveva impegnato tutto il suo prestigio, dette ragione ai canonici, egli cadde ammalato pel disappunto, né più volle metter piede nella cattedrale per non incontrarsi con loro. Il testamento - dettato, "ancorché sano di corpo", l'11 maggio 1691 "di parola in parola" al vicario generale Pietro de Zuanna - fu la sua vendetta. Istituendo una ricca conimissaria, denominata poi Berlendia, tutt'oggi operante, disponeva, con memore rancore, che metà dei "frutti" di questa andassero a "quelli dei clero non beneficati", i preti semplici cioè, purché frequentanti il coro della cattedrale, mentre i "provvisti di altro benefizio, o canonicato nella cattedrale restino privi di ogni partecipazione", e "l'altra metà de' frutti" fosse distribuita "da' sacristi… a' poveri infermi della città e borghi che veramente siino tali, né abbiano altro modo da sostentarsi… e ciò che potesse avanzare, sii dispensato a povere vedove vergognose, che abbiano più figliuoli, come pure a' poveri pregioni e donne convertite" (Estratto).
Il B. morì nella nativa Alzano il 21 ottobre 1693.
Fonti e Bibl.: Le relazioni degli stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel sec. XVII, a c. di N. Barozzi e G. Berchet, s. 2, II, Venezia 1859, p. 420; s. 3, II, ibid. 1878, p. 223; L. Alpago Novello, Una lettera del vescovo G. B., in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, V(1933), pp. 444 s.; G. Gervasoni, Un vescovo bergamasco a Belluno, in Bergomum, XXXI (1937), pp. 22-26; D. E. P. [E. Palatini], Il vescovo di Belluno mons. G. B., in L'amico del popolo, XXVIII(1937), n. 24; Manden, Storia bergamasca del sec. XVII. I Berlendis di Alzano e un vescovo di Belluno, in Rivista di Bergamo, XVIII(1939), p. 504.