CANANI, Giulio
Nacque a Ferrara nel 1524 da Ludovico e da Lucrezia Brancaleoni. Appartenente a una delle più antiche famiglie della città, godette del favore degli Estensi, grazie al quale, dopo essersi addottorato inutroque iure, poté trasferirsi giovanissimo a Roma al seguito di Baldovino de' Giocchi Del Monte. Ben presto passò al servizio del fratello di lui, il cardinale Giovan Maria, e sin dal 1º luglio 1548 figura come suo "secretario". Divenuto papa l'8 febbr. 1550 col nome di Giulio III, il cardinale Giovan Maria non dimenticò il suo protetto: la settimana successiva all'elezione il C. fu nominato, assieme ad Angelo Massarelli e Trifone Bencio, assistente del vescovo di Imola G. Dandino, segretario maggiore e capo effettivo della segreteria papale.
Abile e preparato, il C. finì in breve col prendere il posto del suo superiore: dapprima ne svolse le funzioni solo temporaneamente, il 31 marzo e il 28 maggio 1551 in occasione di missioni del Dandino; in seguito divenne di fatto il responsabile dell'ufficio, pur mantenendo formalmente una posizione subalterna, quando nel novembre del 1551 il Dandino fu eletto cardinale. Nelle sue nuove mansioni venne inviato da Giulio III a Siena il 13 maggio 1553 per trattare un accordo tra i Senesi ed i loro alleati francesi e gli Imperiali. Collaboratore prezioso e fedele si guadagnò la stima totale del pontefice che il 10 apr. 1554 ebbe modo di definirlo "suo principale secretario" (Ribier, p. 515).
La testimonianza più interessante della sua permanenza nella segreteria è il Registro originale delle istruzioni di Giulio III (Arch. Segr. Vat., Politicorum, n. 78, cc. 55 ss.)che, trascritte sotto il controllo del C. e da lui controfirmate, rappresentano una delle fonti più importanti per la ricostruzione della politica estera di quel pontificato. Il Registro contiene infatti le istruzioni del papa, relative alle guerre di Parma e di Siena, ai legati ordinari e straordinari e ai nunzi, a partire dal marzo 1551 fino al 4 maggio 1554. Fra le più importanti vanno ricordate: l'istruzione al vescovo Verallo (3 ott. 1551), inviato come legato straordinario a Enrico II per cercare di porre fine alla guerra di Parma; quella a Pietro Camaiani per giustificare presso l'imperatore le intenzioni di pace con la Francia nutrite dal papa; il memoriale al nunzio presso la corte francese Prospero Santacroce (19 giugno 1552);l'istruzione del 13 apr. 1552al Dandino, legato presso l'imperatore per la pace con la Francia.
Nella sua qualità di capo della segreteria il C. si occupò anche della corrispondenza con ambasciatori, nunzi e principi; molte lettere da lui sottoscritte sono conservate nell'Archivio Segreto Vaticano (A. Pieper, Die päpstliche. Legaten..., pp. 130-139, ad integrazione del quale vedi Nuntiaturberichte..., XIII, ad Indicem).
Giulio III ricompensò i suoi uffici nominandolo, il 24 nov. 1554, vescovo di Adria, in sostituzione del defunto Sebastiano Pighini. Il C. prese possesso della diocesi con l'invio di un emissario, il ferrarese Gabriele a Penna, il 22dicembre dello stesso anno; ma solo il 9 nov. 1555 poté recarsi personalmente nella sede.
La lunga attività svolta nella diocesi veneta (1554-1582)appare tutta confinata negli angusti limiti di una gestione funzionale ed efficace in senso puramente amministrativo e di una presenza non certo costante, anche se zelante e impeccabile nel rispetto della forma. Non va sottovalutato il notevole talento organizzativo del C. che, attraverso una serie di utili innovazioni, quali ad esempio l'istituzione dei visitatori obbligati a riferire ogni quattro mesi sulla residenza del clero o la creazione degli esaminatori per la promozione ai benefici ecclesiastici o dei giudici per dirimere le cause del vescovado, riuscì a governare con accortezza i fedeli a lui sottoposti. Tuttavia i suoi interessi e soprattutto i suoi sforzi si esaurirono in questo tentativo di riordinamento disciplinare, mentre per il resto la sua sensibilità religiosa non sembra neppure scaffita dalla tormentata problematica posta dalla Riforma e dal concilio di Trento.
I principali episodi della sua carriera di vescovo vanno ricercati nelle visite pastorali che, secondo le prescrizioni tridentine, si svolsero ogni due anni a partire dal 19 giugno 1564.Nel corso di esse egli si occupò fondamentalmente del rinnovamento liturgico e dell'istruzione religiosa, reprimendo decisamente ogni manifestazione di dissenso anche velato e imponendo l'applicazione dei decreti del concilio soprattutto in materia di integrità morale ed economica del clero. Gli stessi principi ispirarono le due Costituzioni (pubblicate in italiano per maggior chiarezza) promulgate il 7 sett. 1564 ed il 4 maggio 1583 in occasione del primo e dell'ultimo sinodo del suo episcopato: anche i sinodi si svolsero con regolarità biennale secondo le indicazioni conciliari.
Il C. in qualità di vescovo prese parte alla sessione finale del concilio di Trento, dove giunse il 2 febbr. 1562: intervenne nelle discussioni sui canoni e la dottrina del sacramento dell'ordine (16 nov. 1562), sul decreto di residenza (22 dic. 1562), sul sacramento dell'ordine (2 giugno 1563), del matrimonio (27 luglio e 16 ag. 1563). sui canoni riformati (16 nov. 1563). Il tenore delle sue precisazioni conferma l'immagine di un prelato intelligente, ma attento forse più all'aspetto formale della dottrina che all'essenza del rinnovamento che avrebbe dovuto animare il concilio.
Più significativa fu invece l'attività diplomatica del C.: l'apprendistato al servizio di Giulio III lo aveva messo in contatto con le principali questioni politiche del tempo e con i più influenti personaggi della Curia. la morte del pontefice (1555) gli impedì il conseguimento della porpora cardinalizia, ma non arrestò che temporaneamente la sua carriera: i suoi rapporti con i papi che seguirono rimasero infatti ottimi, ma la sua permanenza nella politica attiva fu garantita soprattutto dall'appoggio del duca di Ferrara, Alfonso II, del quale divenne vero e proprio agente a Roma. L'Estense utilizzò il dinamico vescovo come un'importante pedina presso la Curia ed egli svolse brillantemente questa funzione: accorto negoziatore, informatore attento e tempestivo, era prima di tutto l'uomo di fiducia del duca, al quale ricorrere in ogni circostanza, per un intrigo come per una richiesta, per una mediazione come per un intervento deciso. La ricchissima corrispondenza con la corte estense, conservata nell'Archivio di Stato di Modena fornisce dettagliate informazioni sull'attività svolta dal C. tra il 1552 ed il 1592.
Innumerevoli sono le missioni ordinarie e straordinarie che portò a termine, collaborando strettamente con Giulio Masetti ambasciatore residente a Roma: complessivamente esse si possono raccogliere in tredici legazioni di valore ed interesse molto diverso.
Partecipò in un ruolo subordinato, e senza emergere in alcun modo, al viaggio in Francia d'Ippolito d'Este, tra il giugno del 1561 ed il febbraio 1562, e prese parte a un'ambasceria a Venezia nel 1581.
Maggior rilievo, invece, egli ebbe in molte altre occasioni, come ad esempio tra l'ottobre e il novembre 1578, quando appoggiò le pressioni del Masetti e del Laderchi sul papa, per risolvere il problema dei dazi sul sale, contestati dal Papato agli Estensi sin dal 1564. Nell'insieme tuttavia i suoi compiti non si limitarono a queste funzioni ausiliarie ed anzi egli condusse in prima persona le trattative su alcuni dei più spinosi e decisivi contrasti tra Ferrara e la S. Sede. Oltre a reiterati interventi sulla questione dei dazi (settembre 1579; ottobre 1584) egli negoziò infatti con tatto ed incisività l'astiosa controversia sulle precedenze, che coinvolgeva dà lunghi anni i Medici e gli Estensi, presentando alla Curia numerosi memoriali in favore della casata ferrarese (14 genn. 1575-14 genn. 1576) e guadagnandosi con abilità una favorevole dichiarazione di Gregorio XIII (lett. 15 luglio 1575, Cart. d. ambasc., b. 112 n.n.).
Riguardo alla minaccia di interdire gli Estensi la successione al ducato, in seguito alla bolla di Pio V (23 maggio 1567) che proibiva l'investitura, dei feudi ecclesiastici ai figli illegittimi, il C. nel 1586 esercitò forti pressioni su Sisto V per assicurare agli Estensi almeno il diritto alla porpora; chiese che il divieto papale non fosse esteso alla concessione di dignità ecclesiastiche, ma il tentativo non ebbe successo. Diversa sorte toccò invece alle richieste di assicurare la viabilità fluviale ai Ferraresi, arginare il Reno, creare un porto nuovo e liberare le Romagne dai banditi.
L'istanza di porre freno al mutevole corso del Reno era motivata dall'insufficìenza dei lavori apprestati una cinquantina d'anni prima in seguito agli accordi tra Alfonso I e la S. Sede. Il problema era complicato dagli effetti che tale opera avrebbe avuto in territorio papale e dalle reazioni negative dei Bolognesi. L'esigenza di assicurarsi un'efficiente navigazione ed uno sbocco al mare nasceva a sua volta dall'insofferenza verso il monopolio commerciale e portuale esercitato dai Veneziani, che comprimeva anche le aspirazioni delle città pontificie che si affacciavano sull'Adriatico. Quanto ai banditi che infestavano una regione sottomessa al papa, ma che turbavano anche la vita degli Stati ferraresi, il duca tentava d'acquistar meriti presso la Curia, aiutandola a risolvere una difficile situazione. La prima questione, quella della successione, si trascinò con fasi alterne, almeno per quanto riguarda il C., dal settembre del 1578 fino al 1587: di fronte a una posizione sostanzialmente ostile, il C. riuscì con accortezza a ottenere una pubblica attestazione di benevolenza verso gli Estensi da parte di Gregorio XIII (gennaio 1585); in seguito, con l'elezione di Sisto V (aprile 1585), maldisposto verso Alfonso II, la manovra andò in fumo.
Le trattative sulla navigazione subirono la medesima evoluzione, con l'appendice positiva di un accordo tra Ferrara e Sisto V, che si impegnò col C. nel settembre del 1588 ad esercitare le più decise pressioni sui Veneziani. La richiesta di occuparsi dei banditi ebbe ancor più fortuna, ma diede luogo anch'essa a contrastate vicende.
Il C. infatti aveva ottenuto da Gregorio XIII la promessa della legazione di Romagna, che gli venne ufficialmente attribuita da Sisto V, l'8 maggio 1585. Giunto a Ravenna il 14 luglio di quell'anno, s'impegnò in una durissima campagna per riportare l'ordine nella regione, rimettendo in funzione le strade ed i ponti dissestati (vedi il carteggio della sua legazione conservato a Ferrara nella Bibl. Ariostea, ms. cl. I, 543). A causa della cattiva salute egli non poté distruggere interamente le bande che infestavano quella regione; il 28 luglio 1586 fu rimosso, dietro sua richiesta, dall'ufficio. Il successo politico della legazione fu comunque egualmente considerevole, anche se Sisto V non fu interamente convinto della buona fede degli Estensi: nel 1590 il C. scrisse al duca che secondo il papa i disordini provocati dal brigante Alfonso Piccolomini derivavano "dalli favori fattigli dal duca di Ferrara, ricevendolo nel suo Stato..." (Ricci, Le ambascerie estensi, I, p. 22). Per fugare ogni dubbio Alfonso chiese allora, ed ottenne, di concludere egli stesso l'opera iniziata dal legato ed a questo scopo inviò Enea Montecuccoli contro gli ultimi banditi.
Oltre che di compiti strettamente diplomatici il C. si preoccupò di raccogliere per il duca informazioni e notizie di ogni sorta negli ambienti che frequentava; di particolare interesse sono, quelle che rivelano umori o retroscena di avvenimenti significativi della vita della Curia: valga per tutti la cronaca minuziosa del conclave che portò all'elezione di Pio V(Carteggio d. ambasc., b. 75 n. n.) e la lunga descrizione in questo contesto del nuovo papa e delle sue intenzioni (Ibid., lettera del 12 genn. 1566: "...S. Santità nel principio del suo Pontificato ha mostrato con gli affetti di voler essere et liberale et giusto, de far ogni opera acciocché... buona parte della disciplina ecclesiastica torni nel suo pristino candore ... che sarebbe bene che quando [i cardinali] mangino in pubblico o privato, faccino legger homilie... et pigliar essemplo dalli frati...").
Durante la permanenza a Roma al servizio degli Estensi il C. aveva acquistato un prestigio e una influenza sempre maggiori: il 13 dic. 1583 venne eletto cardinale da Gregorio XIII e il 7 ag. 1585 fu sul punto di esser inviato come legato presso Enrico III, nonostante avesse appena iniziato la legazione in Romagna. In quegli anni fece parte inoltre, insieme con i cardinali Pellevé, Simoncelli, Castagna e Gonzaga, della Congregazione per gli Affari dei vescovi, che aveva il compito di dirimere le controversie di tutti coloro che fossero investiti di una giurisdizione ecclesiastica ordinaria.
Culmine della sua ascesa fu la sua candidatura al papato, avanzata per la prima volta nel conclave tenuto dopo la morte di Sisto V (settembre 1590): il duca di Ferrara vedeva nell'elezione del C. il mezzo migliore per risolvere in proprio favore la questione dell'investitura ed operò con ogni sforzo perché i voti dei cardinali fossero convogliati sul suo fedele collaboratore, non lesinando a questo scopo promesse di danari e di benefici. Le sue manovre non raggiunsero però il risultato sperato, per l'opposizione delle più grandi potenze dell'epoca, i cui interessi avevano ben altro peso delle forze, degli Estensi. Il C. fu proposto nuovamente come candidato al soglio pontificio nei conclavi che per tre anni si susseguirono dopo l'elezione di Urbano VII (morto pochi giorni dopo la sua ascesa al soglio pontificio), ma anche ora le sue speranze andarono deluse, nonostante che durante le votazioni terminate con l'elezione di Gregorio XIV (novembre-dicembre 1590) sfiorasse per un momento la vittoria.
L'8 febbr. 1591 venne trasferito su sua richiesta alla sede arcivescovile di Modena dove iniziò la medesima opera di riorganizzazione della diocesi già svolta ad Adria. Tuttavia la sua attività fu presto interrotta dalla morte, che lo colse a Ferrara, il 27 nov. 1592. Alfonso II ne onorò la memoria facendo celebrare esequie sontuosissime a proprie spese. Venne sepolto nella sacrestia di S. Domenico (oggi cappella Canani).
Il C. va ricordato per aver restaurato la chiesa di S. Anastasia in Roma, di cui era cardinale titolare e per aver iniziato i lavori di riparazione della cattedrale di Modena.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Bibl. Ariostea comunale, ms. cl. I, 543: Lettere del Sig. Card. G. C.;Arch. di Stato di Modena, Arch. Segreto Estense, Canc. Ducale, Carteggio con Principi esteri, b. 1343 b. 72; Ibid., ibid., Lettere di Vescovi esteri, b. 1703 I; Ibid., ibid.,Carteggio degli ambasciatori. Roma, bb. 75, 84, 85, 89, 112, 114 nuova numeraz.; 79, 90, 94, 101 vecchia numeraz.; Lettres et mémoires d'estat..., II, a cura di G. Ribier, Paris 1666, p. 515; Briefe und Akten zur Geschichte des XVI. Jahrhunderts, I, a cura di A. von Druffel, München 1873, pp. 821 s.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edificii di Roma..., X, Roma 1877, p. 41; Concilium Tridentinum..., ed. Societas Goerresiana, I, Friburgi Br. 1901, ad Indicem; Diaria, II, ibid. 1911, ad Indicem; Acta, VI, ibid. 1934, ad Indicem; Epistulae, II, 11, ibid. 1937, ad Indicem; Nuntiaturberichte aus Deutschland, 1533-1599, s. 1, XII, a cura di G. Kupke, Berlin 1901, ad Indicem;XIII, a cura di H. Lutz, Tübingen 1959, ad Indicem; Nonciatures de France. Nonciatures de Paul IV, I, a cura di R. Ancel, Paris 1909, pp. 3, 31, 72, 108, 193; Die Römische Kurie und das Konzil von Trient, a cura di J. Šusta, II, Wien 1909, p. 547; III, ibid. 1911, p. 406; Niunziature di Venezia, a cura di A. Stella, VIII, Roma 1963, in Fonti per la storia d'Italia, LXV, pp. 120, 123, 144; IX, ibid. 1972, pp. 87, 93, 97; V. Pacifici, Ippolito d'Este, Tivoli s.d., p. 430; A. Pieper, Die päpstlichen Legaten und Nuntien, Münster 1897, ad Indicem;B. Ricci, Le ambascerie estensi di G. Silingardi vescovo di Modena, I, Pavia 1907, pp. 19 s., 22 s., 79, 165 s., 182 ss.; P. von Törne, Ptolémée Gallio cardinal de Côme, Paris 1907, pp. 38 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1953, pp. 53 s., 68; IX, ibid. 1955, p. 166; X, ibid. 1955, pp. 10, 187, 213, 508, 589; G. Marchi, La Riforma tridentina in diocesi di Adria nel sec. XVI, Cittadella 1969, ad Indicem;G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, pp. 95, 252.