FAGNANO (Fagnani, Toschi di Fagnano), Giulio Carlo
Nacque a Senigallia (prov. di Ancona) il 26 sett. 1682 da Francesco e da Camilla Caterina Bartoli.
La sua biografia fino al 1752 e la storia precedente della famiglia patema furono tratteggiate da A. Calogerà in Memorie, scritte su richiesta di G. M. Mazzuchelli, che intendeva utilizzarle per un articolo sul F. (mai scritto) nei suoi Scrittori d'Italia, e basate su informazioni del F. stesso. Le Memorie, rimaste a lungo inedite nel codice Vat. lat. 9281 della Bibl. ap. Vaticana (ff. 488-490), furono stampate da B. Boncompagni in un articolo del 1870 che, oltre a riassumere ed elencare i contributi sul F. esistenti fino ad allora, fornì molti documenti biografici; questo lavoro resta ancor oggi un riferimento essenziale.
Il cognome originario della famiglia era Toschi; essa era però più comunemente denominata col toponimo della sede della casata feudale dalla quale riteneva di discendere (il castello di Fagnano, oggi non più esistente, tra Bologna e Imola). Nel sec. XII la famiglia aveva dato alla Chiesa un pontefice, Onorio II; nel secolo XIV la si trova già trasferita a Senigallia, al cui patriziato appartenne e dove successivamente fu al servizio dei duchi di Urbino. Tuttavia il F. apparteneva ad un ramo secondario, non insignito di titolo fino al 1721, quando Luigi XV compensò i servigi militari resi a Luigi XIV da uno zio del F., Bartolomeo, conferendo al nipote il titolo di conte; la fedeltà ai Borbone fu una costante nella storia della famiglia, procurandole successi ma anche difficoltà. Nel 1745 inoltre Benedetto XIV, ufficializzando la discendenza dagli antichi Toschi di Fagnano, insignì il F. del titolo di marchese e nel 1746 inserì la sua casa tra quelle della nobiltà romana; infine nel 1749 Carlo di Borbone lo nominerà marchese di Sant'Onofrio.
Figlio unico, ed erede di beni cospicui anche da parte materna, il F. rivelò presto una inclinazione allo studio in parte contrastata dalla famiglia, preoccupata dalla sua gracilità; affiancava così di nascosto proprie letture agli studi svolti coi precettori, dei quali sono ignoti i contenuti: è noto solo che vi ebbe parte significativa la poesia (il F. mostrò precoci attitudini alla stesura di versi). A quindici anni fu inviato a Roma come convittore nel collegio Clementino, retto dai somaschi, nel quale restò dal novembre del 1697 al giugno del 1700, seguendo un biennio di filosofia e un anno di teologia.
L'insegnamento filosofico-scientifico nel collegio non era stato ancora toccato dalle riforme che subirà verso il 1740 a opera di G. M. Della Torre, che ne fecero uno dei centri avanzati dell'istruzione superiore romana. Il F. trovò ancora in vigore l'impostazione aristotelica dalla quale, con una reazione comune a molte figure della sua generazione, si allontanò con letture personali che inclusero Gassendi, Cartesio e Malebranche. In particolare apprezzò molto quest'ultimo, dei quale tradusse ad uso proprio il Traité de morale e con cui - secondo il Calogerà - ebbe un carteggio su temi teologici. All'apertura verso le nuove idee filosofiche, che includerà poi lo studio dei leibniziani e di Newton, non corrispose subito un interesse scientifico: la didattica della matematica nel Clementino manteneva connotati euclidei, e pare che il F. non desse seguito ad esortazioni rivoltegli già allora da D. Quarteroni, docente di matematica nella Sapienza romana, a coltivare la materia.
Nel 1700, ancora a Roma, entrò invece nell'Arcadia col nome di Floristo Gnausonio (G. M. Crescimbeni, L'Arcadia, Roma 1711, p. 3 51); in seguito però, perché scontento della propria formazione stilistica secentesca (come scrisse il Calogerà) o per il crescere del suo coinvolgimento nella matematica, pur mantenendo i rapporti con l'Arcadia (corrisponderà tra l'altro con O. Borgondio, esponente tipico della poesia scientifica d'ambiente arcade e maestro di matematica di R. G. Boscovich nel Collegio Romano), ridusse di molto l'attività poetica, e i suoi versi non pervennero alla stampa. Questo fondo letterario della sua formazione non avrà poi modo di manifestarsi negli scritti matematici, nei quali il F., precorrendo le forme moderne di comunicazione scientifica, si valse di una espressione concisa ed essenziale; tuttavia i contemporanei apprezzarono anche il suo stile epistolare e la sua conversazione.
Tornato a Senigallia, il F. avrebbe potuto seguire le consuetudini d'un patriziato di provincia diviso tra gestione dei beni privati, il diritto quasi ereditario a certe mansioni pubbliche e forme varie di mondanità e svago. La sua esistenza successiva si attenne in parte a questo modello. Entro il 1705 sposò Francesca Conciatti, pure appartenente alla nobiltà locale, e ne ebbe dodici figli, dei quali solo sette ancora in vita allorché (1726) la Conciatti morì. Tra essi GiovanniFrancesco (1715-1797), poi canonico e arcidiacono della cattedrale di Senigallia, erediterà su livello meno elevato il talento matematico del padre, che coadiuvò anche nella polemica con N. Bernoulli. Dopo la morte della moglie il F. non volle risposarsi e curò personalmente la formazione culturale dei figli (con la sorprendente eccezione della matematica, nella quale Giovanni Francesco fu, come il padre, inizialmente un autodidatta); fu poi assiduo nell'amministrazione dei propri beni e nella vita pubblica di Senigallia: consigliere della città fin da giovane, nel 1723 fu anche gonfaloniere. Il rigore intellettuale, la correttezza e un senso rigido del proprio decoro (il F. sostenne anche duelli) gli crearono opposizioni nell'esercizio di questi incarichi; il momento più critico giunse nel 1744, quando nel corso della guerra di successione d'Austria le truppe asburgiche entrarono a Senigallia e il F., noto partigiano borbonico, rifiutò di modificare - come richiestogli - il proprio atteggiamento: ne conseguì il bando immediato dalla città per l'intera famiglia, durato per dieci mesi. Ciò rientrava in uno stile di vita caratterizzato da una sostanziale adesione a un quadro di piena ortodossia, aliena da motivi illuministici, anche sul piano religioso: il F. fu cattolico osservantissimo e le aperture moderne in filosofia (lesse anche Locke) lo orientarono contro lo scolasticismo (ciò occasionò dissidi con religiosi locali) ma non coinvolsero minimamente l'aspetto dogmatico. L'evasione del F. da questo quadro, insieme sociale e geografico, isolato e ristretto, avvenne su un piano esclusivamente scientifico-culturale.
Come chiarì in lettere a G. Grandi e I. Riccati, nel 1705-1706, subito dopo il matrimonio, egli si avvicinò alla matematica moderna, spinto dalla esaltazione del suo ruolo conoscitivo che trovò nella Recherche de la vérité del Malebranche. Non è questo, nell'Italia di quegli anni, l'unico caso in cui questo libro abbia risvegliato una vocazione matematica di spicco: lo stesso accadde al Riccati, figura molto simile al F. per età, stato nobiliare, collocazione provinciale, carattere sostanzialmente autodidattico della formazione matematica. Nel F. tuttavia quest'ultima circostanza fu così esclusiva da costituire un caso che ha scarsi riscontri nell'intera storia scientifica italiana; in una lettera del 1711 a G. Grandi egli elencò accuratamente gli autori (A. Arnauld, F. van Schooten, J. C. Sturni, J. Prestet, G.-K-A. L'Hôpital, L. Carré) e i manuali sui quali aveva faticosamente costruito le sue basi in algebra, geometria analitica, analisi; altri autori rilevanti per la sua formazione ulteriore si desumono dalle opere. Al Calogerà dichiarò poi orgogliosamente di non aver mai avuto "conversazione", ma solo "corrispondenza" con altri matematici.
Conseguiti i primi risultati egli si rivolse per lettera al Grandi: il padre camaldolese divenne presto suo estimatore e consigliere e l'orientò a presentare il suo primo scritto destinato alla pubblicazione al Giornale de' letterati d'Italia di A. Zeno, una rivista che restò, unitamente ai volumi della Raccolta di opuscoli del Calogerà, sede frequente dei suoi interventi. Presto il F. corrispose anche con il Riccati, B. Fontenelle, A. Leprotti, S. Maffei, T. Le Seur, O. Borgondio e l'allievo Boscovich, G. L. Lagrange, P. C. Zeno, P. Chelucci; l'epistolario complessivo, ora conservato nella Bibl. Oliveriana di Pesaro unitamente a vari manoscritti matematici (codd. 1755 e 1779, 2), fu edito in parte (settantanove lettere) nel terzo volume della edizione dei lavori del F. curata da V. Volterra, G. Loria e D. Gambioli allo scadere dei 150 anni dalla morte (Opere matematiche del marchese Giulio Carlo de' Toschi di Fagnano pubblicate sotto gli auspici della Società italiana per il progresso delle scienze, 3 voll., Milano-Roma-Napoli 1911-1912). Tuttavia manca ancora uno studio analitico di questo strumento centrale e quasi unico per la ricostruzione dell'evoluzione dell'autore, soprattutto per settori scientifico-filosofici estranei alla matematica pura, che fu il solo oggetto delle sue pubblicazioni.
Ad esempio una lettera al Grandi dell'ottobre 1715 mostra che il modello scientifico meccanicistico desunto da Cartesio e Malebranche impediva al F. di recepire non i risultati matematici dei Principia newtoniani, ma i meccanismi fisici che questi parevano supporre: "non ho mai capito, e mai capirò le forze attrattrici, quando non si spieghino per via d'impulsione"; e nella stessa lettera si trovano mosse obiezioni alla distinzione newtoniana tra spazio e corpi.
Dal 1713 (anno della prima pubblicazione nel Giornale dello Zeno: Soluzione di due problemi meccanici, vol. XV, p. 87) al 1749 il F. stampò circa venticinque lavori, tutti di limitata estensione e mai manualistici o espositivi, ma di ricerca (un elenco completo dei suoi scritti è in P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Milano 1952, I, coll. 437-442), che gli acquisirono stima crescente, facendo di lui un riferimento per giovani brillanti (nel 1743 Boscovich lo vorrà giudice sul progetto proprio e dei padri minimi T. Le Seur e F. Jacquier per il restauro della cupola di S. Pietro; Lagrange ricorse al suo appoggio per pubblicare il suo primo scritto). Perciò è presumibile che un certo numero di sue lettere, oltre a quelle conservate a Pesaro, restino in biblioteche e raccolte italiane e estere, anche se ricerche parziali, svolte per la menzionata edizione del 1911-1912, non ebbero successo. L'episodio più noto tra i contemporanei, se non il più significativo della sua attività di matematico, fu la polemica con N. Bernoulli nata con le obiezioni di questo all'articolo del F. Teorema nuovo concernente il calcolo integrale, apparso nel Giornale de' letterati d'Italia, XXVII (1717), p. 392, e sviluppatasi attraverso vari scritti dei due autori (stampati nelle citate Opere matematiche, III, pp. 50 ss.). Già avanzato negli anni, infine, il F. volle raccogliere tutti i propri lavori, editi e non, nelle Produzioni matematiche (2 voll., Pesaro 1750). A questa edizione lavorò a lungo, se già nel 1743 sottopose il manoscritto a Benedetto XIV, che demandò il giudizio a Le Seur e F. Jacquier; il responso (riportato all'inizio delle Produzioni e delle Opere) fu altamente positivo, e così pure quello di L. Euler quando l'autore sottopose un esemplare del libro all'Accademia delle scienze di Berlino, della quale era membro estero (dal 1723 era anche fellow della Royal Society, mentre la morte sospese la sua ammissione nell'Accademia delle scienze di Parigi).
Tra i nuovi lavori presenti nelle Produzioni tre erano di particolare impegno e ampiezza, la Teoria generale delle proporzioni geometriche, la proposta d'un nuovo algoritmo per la soluzione delle equazioni dal secondo al quarto grado (entrambe nel volume I) e il Trattato dei triangoli rettilinei all'inizio del volume II. Nelle citate Opere matematiche i curatori, dopo un'introduzione storico-critica, hanno riprodotto nei voll. I e II il testo delle Produzioni, raccogliendo nel vol. III, oltre al carteggio, venti scritti che il F. aveva escluso dalla silloge o composti posteriormente (i testi della polemica con Bernoulli, una sintesi del Treatise of fluxions di C. Mac Laurin, due pareri sul restauro della cupola di S. Pietro e altro). I contributi più notevoli del F. riguardano parti diverse della matematica. La critica otto-novecentesca si è concentrata su quelli più agevolmente inseribili in sviluppi successivi, soprattutto in analisi, ma non è senz'altro evidente che tale criterio sia adeguato a valutare i lavori singoli secondo gli intenti del F. stesso e lo stato coevo dei vari settori della ricerca. Ad esempio, la sua teoria generale delle proporzioni geometriche, che non confluisce direttamente nei settori più innovativi della matematica del medio e tardo 1 700, fornì una sistemazione di grande generalità e rigore per un'area concettualmente fondamentale della matematica tradizionale; mentre il trattato sui triangoli rettilinei oltre a contenere numerosi teoremi nuovi - come già riconobbe J.-E. Montucla - fu forse il primo manuale tendenzialmente esaustivo di geometria del triangolo: tema antico e comunissimo, ma trattato al più parzialmente ed entro opere complessive di geometria piana.
In epoca recente i punti del lavoro del F. che hanno destato maggiore considerazione sono invece: nuovi metodi per la risoluzione di equazioni algebriche letterali fino al quarto grado; i risultati, talora di generalità notevole, ottenuti nel confronto tra archi di speciali curve e nella rettificazione di una particolare ellisse e della lemniscata bernoulliana (in questo ambito si può collocare anche il "teorema di Fagnano" sulla rettificazione delle differenze di infinite coppie di archi scelte su un'ellisse e un'iperbole); elaborazione di un algoritmo per trattare i numeri immaginari, che lo portò alla formula
π /4 = log [(1- i)/(1+ i)] ½
In particolare nel teorema di Fagnano si riconosce comunemente una premessa alla teoria degli integrali ellittici, impostata da L. Euler in seguito alla visione dei lavori del F. e sviluppata fino a metà Ottocento da autori come J.-L. Lagrange, A.-M. Legendre, A.-L. Cauchy. Varia però il giudizio sull'ampiezza di significato del teorema e delle procedure con cui il F. vi pervenne.
In genere la storiografia straniera vi ha visto un risultato interessante, ma particolare e non tale da far supporre che l'autore avesse intuito i connotati dell'area concettuale entro cui in seguito rientrò; la storiografia italiana invece, a partire da un lavoro del Siacci del 1870, è stata talora incline a sostenere che, avendo il F. sviluppato il teorema con modalità molto più analitiche che tradizionalmente geometriche, le sue formule contenevano già alcuni sviluppi per solito ritenuti posteriori, o che a questi si poteva pervenire da esse con manipolazioni di tale immediatezza che il F. non avrebbe potuto non avvertirle, anche se non le effettuò esplicitamente. Il contrasto interpretativo non è qui semplicemente di fatto, in quanto rinvia a seri problemi di metodo storiografico (circa la legittimità di ritenere che quanto nell'ambito di una teoria matura appare come sviluppo logico immediato di un asserto o formula si possa considerare tale anche nel pensiero di chi avviò quella teoria senza ancora percepirne la configurazione). Ad oggi gli studi sul F. non hanno raggiunto approfondimento e ampiezza tali da consentire, nel suo caso, una risposta pienamente circostanziata; ma il solo fatto che il suo teorema si presti a far sorgere una questione di tale rilievo è prova della sua originalità di matematico.
Nonostante la gracilità giovanile e gli attacchi d'una calcolosi renale consueta nella famiglia, il F. visse a lungo; al Calogerà dichiarò di aver avvertito un declino della propria salute fin dal 1745, ma i suoi interventi matematici, pur diradandosi, non cessarono fin quasi alla soglia degli ottanta anni.
Il F. morì a Senigallia il 18 maggio 1766.
Fonti e Bibl.: G. Santini, Picenorum mathematicorum elogia, Maceratae 1779, pp. 103-108, F. Vecchietti - T. Moro, Biblioteca picena, o sia notizie stor. delle opere e degli scrittori piceni, IV, Osimo 1795, pp. 67-72; G. Mamiani della Rovere, Commentario sul marchese G. C. F. da Senigallia, matematico del sec. XVIII, Pesaro 1825 (ristampato in pubblicazioni successive del Mamiani: Elogi storici di F. Commandino, G. U. del Monte e G. C. F. letti all'Accademia Pesarese, Pesaro 1828, pp. 91-145: Elogi e biografie d'illustri Italiani, Firenze 1845; Opuscoli scientifici, Firenze 1845; e in sintesi in Biografia degli Italiani illustri, a cura di E. De Tipaldo, I, Venezia 1834, pp. 160-162: il testo del Mamiani contiene però alcuni errori di fatto, particolarmente nelle datazioni). Dedicato in gran parte al F. è il volume III (1870) del Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche; in particolare: F. Siacci, Sul teorema dei conte di F. (pp. 1-26); B. Boncompagni, Intorno ad uno scritto intitolato "Memorie concernenti il marchese Giulio Carlo de' Toschi di Fagnano, fino al mese di febbraio dell'anno 1792" [sic, per 1752], pp. 27-36 (corregge, mediante i dati forniti dal Calogerà ed ulteriore documentazione, le inesattezze del Mamiani, e offre numerosi riferimenti e interventi su periodici e atti accademici relativi al F.); A. Calogerà, Memorie..., pp. 37-46; A. Genocchi, Rassegna d'alcuni scritti relativi all'addizione degl'integrali ellittici ed abeliani, pp. 47-66 (traccia la storia degli integrali ellittici posteriormente al Fagnano). Tra i contributi successivi vanno almeno menzionati (ma in ogni storia ampia delle matematiche si incontrano riferimenti al F.): G. Loria, Curve piane speciali algebriche e trascendenti. Teoria e storia, Milano 1930, 1, pp. 256-259; Id., Storia delle matematiche, Milano 1950, pp. 664 ss.; A. Natucci, F. dei Toschi G. C. [sic], in Dict. of scientific biogr., IV, New York 1971, pp.515 s. (ripete, però, i dati biografici erroneiforniti dal Mamiani); G. Ferraro-F. Palladino, Contributi alla conoscenza del matematico G. C. de' Toschi di Fagnano (con lettere a C. Galiani e G. Grandi), in Arch. stor. per le provv. napoletane, CX (1992), pp. 153-181.