CASTELLANI, Giulio
Nacque a Faenza nel 1528 da Sebastiano e Lucrezia Bongarzoni. Discendeva da una famiglia dell'antica nobiltà faentina che faceva parte del Consiglio cittadino. Era anche nipote del filosofo e medico Pier Nicola Castellani, il cui insegnamento tenne in grandissima considerazione.
Compì i primi studi umanistici a Faenza sotto la guida del famoso oratore Sebastiano Regoli da Brisighella. Studiò quindi alle università di Ferrara, Bologna e Padova, dove gli furono maestri, tra gli altri, Vincenzo Maggi, Alessandro Pancio, Francesco Robertelli, Benedetto Manzolino e Gabriele Falloppia. Dopo aver soggiornato parecchi anni a Faenza, il C. passò al servizio di mons. Giorgio C. Cornaro, nunzio pontificio presso la corte toscana, dove gli fu affidato l'incarico di tutore dei figli del duca Cosimo I de' Medici. Nel 1562 divenne segretario di Cesare Gonzaga, conte di Guastalla. Sotto gli auspici di quest'ultimo fu fondata a Mantova, nel novembre 1562, l'Accademia degl'Invaghiti, della quale il C. fu socio fondatore. Egli partecipava alle riunioni dell'Accademia, in cui si discutevano problemi letterari e filosofici, col nome di Asciutto. Due volte alla settimana teneva inoltre conferenze sull'Etica di Aristotele.
Tornato a Faenza nel 1569, il C. fu nominato segretario del sinodo diocesano convocato dal vescovo Giambattista Sighicelli. Durante il sinodo, cui prese parte anche il suo amico e protettore Carlo Borromeo, il C. pronunziò un discorso in latino sulla dignità della funzione sacerdotale e della disciplina ecclesiastica. Il 23 marzo 1571 papa Pio V lo nominò canonico della cattedrale di Faenza in ricompensa dei suoi servigi. Il C. pronunziò orazioni in occasione dei funerali del vescovo Sighicelli (luglio 1575), dell'elevazione alla cattedra episcopale di Faenza del successore di questo Annibale Grassi (dicembre 1575) e dell'inaugurazione del seminario diocesano (luglio 1576).
Nel 1577 il C. si trasferì a Roma su richiesta di papa Gregorio XIII per accedere alla cattedra di filosofia della Sapienza con uno stipendio annuo di 500 scudi d'oro. In questa occasione il C. rinunciò al canonicato e lasciò per sempre la sua città, trascorrendo a Roma gli ultimi dieci anni della sua vita. Come docente di filosofia riscosse molto successo e papa Sisto V lo premiò nominandolo nel 1586 vescovo di Cariati in Calabria. Non fece tuttavia in tempo ad essere consacrato, perché morì il 23 ott. 1586 nella sua residenza della chiesa romana di S. Maria in via Lata. Secondo alcuni suoi biografi sarebbe morto sopraffatto dalla gioia per l'inattesa nomina.
Le opere pubblicate del C. non sono molte né di vasta mole, mentre la sua corrispondenza rimane in larga misura inedita. Le due operette filosofiche su cui si basa soprattutto la sua fama furono portate a termine prima dell'inizio della sua attività accademica. Nulla sappiamo dell'oggetto delle sue lezioni alla Sapienza.
L'opera più importante del C., Adversus M. Tullii Ciceronis academicas quaestiones disputatio (Bologna 1558), dedicata al card. Girolamo Dandino, fu scritta allo scopo di confutare le conclusioni scettiche degli Academica di Cicerone. Allo scetticismo accademico ciceroniano il C. oppone un aristotelismo di tipo tradizionale, utilizzando però anche elementi platonici e scolastici. L'intero trattato è una vigorosa difesa della filosofia delle scuole dogmatiche, "quì onmes rectius quidem, meo iudicio, quam sceptici fúerunt philosophati". Il C. sostiene che la critica scettica della conoscenza umana non ha l'efficacia proclamata dai suoi fautori e che la tradizione dogmatica in filosofia possiede più che sufficienti argomenti per confutare i dubbi degli scettici. Inoltre la comune esperienza derivante dai sensi ci indica che la certezza si può raggiungere: conclusione rifiutata dagli scettici che sostengono l'inconciliabile diversità delle percezioni tra diversi individui ed anche per lo stesso individuo in tempi diversi. Il C. prende anche posizione contro alcune tendenze scettiche dei moderni, particolarmente quelle di Gianfrancesco Pico della Mirandola, che si era opposto all'aristotelismo difendendo uno scetticismo fideistico nel suo Examen vanitatis doctrinae gentium (1520).
La seconda opera filosofica dei C., De humano intellectu libri III (Bologna 1561, ristampata a Venezia nel 1567), dedicata al suo protettore Cosimo I de' Medici, si colloca nell'ambito dell'agitata controversia seguita alla pubblicazione del De immortalitate animae del Pomponazzi (1516). Prendendo come punto di partenza l'insegnamento di Vincenzo Maggi, il C. elaborò una tesi chiara, anche se non precisamente ad mentem Aristotelis. Ilprimo libro del trattato contiene una confutazione della dottrina di Simplicio e Averroè, secondo i quali vi sarebbe un solo intelletto per tutti gli uomini, teoria ampiamente dibattuta nelle controversie filosofiche del sec. XVI. Il secondo libro presenta la tesi del C., che segue in larga parte la dottrina del Pomponazzi e di Simone Porzio, ma tenta anche di recuperare le posizioni di Aristotele. Il terzo libro previene e confuta le possibili obiezioni alla teoria che l'mmortalità è personale e individuale per ogni uomo. Secondo il C. solo la "Christiana philosophia" è vera e il suo studio dovrebbe essere preferito a quello di altre filosofie.
Tra le altre sue opere, degni di nota sono gli Epistolarum libri IV; eiusdem orationes tres (Bologna 1575), contenenti numerose lettere tra cui alcune di contenuto filosofico, scientifico e letterario. Tra i suoi corrispondenti furono Ulisse Aldrovandi, s. Carlo Borromeo, Cesare Gonzaga, papa Gregorio XIII, Cristoforo Madruzzo, Benedetto Manzolino, Bernardo Navagero, Federico Pendasio, papa Pio V e Giambattista Sighicelli. Molte lettere sono rimaste inedite, in particolare quelle indirizzate a s. Carlo Borromeo. Nella collezione pubblicata di lettere sono incluse le seguenti orazioni: De Summo Pontifice [Pio V] deligendo, De Sanctissimae Eucbaristiae praesentia e De laudibus Ioannis Baptistae Sighicellii. Altre sue orazioni sono: Oratio habita in ingressum Annibalis Grassii episcopi Faventinorum idibus Decembris MDLXXV (Bologna 1575), De puerorum seminarii utilitate oratio habita Faventinae idibus Iulii MDLXXVI (ibid. 1576) e Oratio de bello adversus Turcos gerendo (inedito, in Bibl. Apost. Vaticana, Lat. 3614).
Si ricordano le seguenti edizioni delle sue opere di carattere poetico e vario: Stanze in lode delle gentili donne di Faenza (Bologna 1557; ristampe: Milano 1841, Faenza 1846, Bologna 1862); Componimenti volgari e latini di diversi eccellenti autori in morte di monsignore Ercole Gonzaga cardinale di Mantova colla vita del medesimo scritta dall'Asciutto (Mantova 1564); Prose e rime (Faenza 1840); Rime: canzone al reverendissimo Cardinal de' Medici e sonetto (ibid. 1846); Opuscoli volgari editi e inediti (ibid. 1847) e Canzone al cardinal de' Medici (ibid. 1910).
Il C. pubblicò anche un'opera dal titolo De imaginibus et miraculis sanctorum particulatimque de miraculis nuper a Deipara Virgine Faventinae profectis adversus haereticos libri IV (Bologna 1569), scritta per commemorare un miracolo attribuito ad un'immagine della Vergine (chiamata "dei fuoco") verificatosi durante il grande incendio di Faenza del 2 ag. 1567.
Fonti e Bibl.: Mss. del C. si conservano a Bologna, Bibl. universitaria, 248 (165), una poesia; Faenza, Bibl. comun., 62: G. M. Valgimigli, Mem. istor. di Faenza;97: Zannoni, Notizie su G. Q;Arch. di Stato di Mantova, E. XXV, lettere del C.; Milano, Bibl. Ambrosiana, D. 343.inf., una poesia;. F. 36-175.inf, (passim), moltissime lettere inviate a s. Carlo Borromeo; O.239-sup., lettere; Arch. di Stato di Modena, lettere; Modena, Bibl. Estense, 865 (alfaS. 1.34), lettere; Archivio di Stato di Parma, Raccolta manoscritti, 83, lettere; Bibl. Ap. Vaticana, Ottobon., 2452, lettera; I. Carafa, De gymnasio Romano et de eius professoribus, Romae 1751, pp. 336-37; G. B. Mittarelli, De literatura Faventinorum sive de vitis doctis et scriptoribus urbisFaventinae, Venetiis 1775, coll. 42-44; F. M. Renazzi, Storia dell'Univ. degli studi di Roma, Roma 1803-1806, II, pp. 175-76; A. Strocchi, Memorie istor. del duomo di Faenza e de' Personaggi illustri di quel capitolo, Faenza 1838, pp. 152-57; A. Montanari, Gliuomini illustri di Faenza, I, 1, Faenza 1882, pp. 63-66; F. Lanzoni, La fondaz. del seminario di Faenza e s. Carlo Borromeo, Faenza 1915, pp. 31-38, 4648; Id., La Controriforma nella città e diocesi di Faenza, Faenza 1925, pp. 249-56 e passim;B. Nardi, Saggi sull'aristotelismo padovano dal sec. XIV al XVI, Firenze 1958, pp. 383-86; G. Saitta, Il pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento, Firenze 1961, II, pp. 380-86; Giovanni di Napoli, L'immortalità dell'anima nel Rinascimento, Torino 1963, pp. 358-62; E. Garin, Storia della filosofia italiana, Torino 1966, pp. 544-48; E. P. Mahoney, Pier Nicola Castellani and Agostino Nifo on Averroes' Doctrine of the Agent Intellect, in Rivista critica di storia della filosofia, XXV (1970), pp. 387-409; Ch. B. Schmitt, G. C. (1528-1586): A Sixteenth-Century Opponent of Scepticism, in Journal of the History of Philosophy, V (1967), pp. 15-39; Id., Cicero Scepticus. A Study of the Influence of the Academica in the Renaissance, The Hague 1972, pp. 109-33 e passim.