BAGNOLI, Giulio Cesare
Nacque da famiglia illustre a Bagnacavallo, intorno alla metà del sec. XVI. Si ignora dove abbia compiuto la propria preparazione culturale, ma fu certo uomo esperto in varie discipline, se i contemporanei lo giudicarono scrittore dotato, critico acuto, e a tal punto versato nella filosofia da conoscere profondamente Platone e Aristotele. In età matura il B. soggiornò a Roma, al servizio del connestabile A. Colonna, e poi in qualità di consigliere e segretario di Michele Peretti, nipote di Sisto V e principe di Venafro, dal quale ottenne un beneficio ecclesiastico abbastanza cospicuo.
La data della sua morte è incerta, e tradizionalmente la si poneva agli inizi del sec. XVII. Più tardi invece, sulla scorta del suo testamento e dando credito alla notizia che il B. vivesse assai a lungo, L. Balduzzi la fissò al 25 marzo dell'anno 1623.
Una sua canzone, scialba e accademica, celebra l'elezione di papa Gregorio XIV, e fu impressa, senza altre indicazioni, in Roma: può dunque assegnarsi al dicembre del 1590, scartata l'ipotesi che possa riferirsi al pontificato di Gregorio XV (1621).
Il B. compose anche due tragedie, che uscirono postume: Il Giudizio di Paride, stampata, forse a Trapani, nel 1680, e L'Aragonese, pubblicata nella stessa città nel 1682.
Quest'ultima sviluppa in cinque atti un episodio della storia spagnola e fu pubblicata dopo una serie di fortunate rappresentazioni a Roma e nel Napoletano. Topico è l'antefatto della tragedia: il re d'Aragona, Giacomo I, spinto dalla sua amante Vidaura, ha scambiato il bastardo di costei con il suo figlio legittimo, natogli nello stesso giorno dalla regina Violante. L'azione ha inizio parecchi anni più tardi, quando il re d'Andalusia, fratello di Giacomo I, scopre l'inganno e decide di dare in moglie a Ferdinando, il creduto bastardo, sua figlia Eleonora. Ma la regina Violante, gelosa di Vidaura, persuade Alfonso, che ella crede suo figlio, a rapire Eleonora. I due fratelli vengono a duello, ed Alfonso muore. Allora Violante, per vendicarlo, uccide di sua mano Ferdinando e, quando apprende di avere in realtà assassinato suo figlio, inutilmente si dispera. Le unità di tempo e di azione sono rigorosamente osservate, ed anche le trasgressioni all'unità di luogo sono nel complesso di scarso rilievo.
Già i contemporanei rimproverarono al B. di snervare troppo i suoi scritti per l'instancabile e sempre insoddisfatto bisogno di perfezione formale. A tale critica si può aggiungere, almeno per quanto riguarda L'Aragonese,che la drammaticità dell'azione è tutta esteriore, lo sviluppo delle situazioni lento e monotono, il linguaggio genericamente retorico.
Fonti e Bibl.: Iani Nicii Erithraei Pinacotheca, I, Coloniae Agrippinae 1645,pp. 79-81; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 61; L. Ughi, Diz.stor. degli uomini illustri ferraresi, I, Ferrara 1806, p. 26; D. Vaccolini, Canzone di G. C. B., e notizie relative, in Giornale Arcadico, XLIV (1829), pp. 127-133; L. Balduzzi, G. C. B. di Bagnacavallo e la sua tragedia L'Aragonese, in Il Propugnatore,V (1872), disp. V-VI, pp. 340-367.