BONA, Giulio Cesare (Gnesio Basapopi)
Le scarse notizie che è possibile raccogliere sulla sua vita occorre dedurle interamente dalle sue opere in mancanza di qualsiasi fonte.
Nacque a Venezia, probabilmente tra il 1620 e il 1630, e lì visse tutta la vita. Vestì l'abito francescano dei minori conventuali nel convento dei SS. Giovanni e Paolo e - secondo lo Sbaraglia - si laureò in teologia; morì ancora giovane nel 1664, com'è facile dedurre dal fatto che alla sua ultima opera, Le stringhe sferrettate, edita in quell'anno da Alessandro Zatta, furono aggiunte, perché il volume non fosse troppo sottile, Le sferzate di Sebastian Rossi, accademico unito, che nella prefazione dice appunto che "la morte intempestiva del B... ha privato il mondo di molte vivezze bellissime che dal suo ingegno speravansi".
Le sue opere, firmate tutte con lo pseudonimo di Gnesio Basapopi, videro la luce tra il 1655 e il '64, ed ebbero una fortuna considerevole a giudicare dalle numerose ristampe che continuarono anche dopo la sua morte, fin quasi alla fine del secolo.
Cominciò con L'Abele ucciso. Historia sacra (Venezia 1655) e gli Schiribizzi del genio (ibid. 1657), di cui non si trova copia nelle biblioteche veneziane. Nel frattempo stava nascendo la serie delle opere veneziane certo più fortunata e interessante. Un gruppo a sé costituiscono le "fantasie veneziane": I mall'anni dell'homo (1656), Le miserie del mondo con le disgrazie, facende e furbarie de tutti (1658), Le infelicità della vita humana (1659), Le disgratie dell'autor de i malanni (1659), Li contramalanni, con le delizie e grandezze del mondo (1663).
Come confessa il B. stesso, queste opere di carattere giocoso e burlesco suscitarono non poche opposizioni soprattutto all'interno del suo Ordine. Rivolgendosi ai lettori delle Infelicità ad esempio racconta: "Esce finalmente l'ultima parte de' malanni doppo haveré travagliato un lungo corso di tempo sotto il rigido cielo di scropolose censure, doppo le borasche di mare procelloso, e doppo liaver lasciato buona parte di se medesima nell'onde voraginose de' contrarii accidenti. Non sarebbero state mall'hore quando non avessero in sul più bello incontrato mille disgrazie".
Nella stessa pagina il B. espone anche la sua poetica: "Scrivo per mio capriccio, scrivo nella mia lingua per aggradire la gentilezza de' lettori, che si degnano aspettar con desiderio questa sorte di scrivere, e scrivo finalmente per sollevare l'ingegno,... Qualcheduno dirà, che ne' miei versi sotto ombre de' morali, v'ingerisco delle frottole, o bagatelle, al quale devo rispondere con la seguente diffesa. Che io ho due fini, anzi tre, uno di dilettare, e l'altro s'è possibile di giovare... e l'ultimo di compiacere a me stesso e per questo non devo incorrere in somiglianti rimproveri".
Né il B. fu un poeta estraneo ai grandi centri della cultura veneziana barocca, anzi fece parte di quell'Accademia degli Incogniti che Gianfrancesco Loredano aveva fondato nella sua casa nel 1630.
Le glorie dei bezzi, ovvero il trionfo dell'oro e La forza del denaro, dove si dichiara brevemente con la virtù del medesimo il conto che si deve, e il muodo di adoperarlo uscirono a Venezia nel 1660, contemporaneamente a La scuola del malgoverno, a Il malinconico imbizzarito e all'opera sua più famosa: La chebba de' matti,etica, morale e giuocosa, che venne di nuovo stampata a metà del Settecento, a cura di un Lamillo Fortunato accademico detto il Forte (Venezia 1766).
Negli anni successivi usciranno ancora il Ragguaglio historico delle guerre di Calicut (Venezia 1661) e, ultime, Le stringhe sferrettate, dove Sebastian Rossi scrive la sua prima sferzata "contro i detrattori delle composizioni di Gnesio Basapopi".
Secondo il Franchini, il B. usò anche il nome di Lorenzo per firmare altre operette, tra le quali ricorda una Chiromanzia, che a nessuno degli studiosi successivi capitò mai di vedere. Come poeta il B. non possiede certo qualità eccezionali, ma scrisse non pochi versi piacevoli e divertenti, "più che altro contro le tendenze del suo secolo dedito all'oro, all'inganno, alla vita dissoluta" (Pilot).
Bibl.: G. Franchini, Bibliosofia e memorie letterarie di scrittori francescani conventuali, Modena 1693, pp. 362 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1523 s.; B. Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, a cura di A. Vianello, Venezia 1959, pp. 135-137; G. Ferrari, Saggio sulla poesia popolare in Italia, in Opuscoli politici e letterari, Capolago 1852, p. 493; A. Pilot, Un lirico burlesco veneziano del '600, in Rivista d'Italia, XIV (1911), 1, pp. 603-624, e Antologia della lirica veneziana dal '500 ai nostri giorni, Venezia 1913, pp. 13 s. e 129-199; G. G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, IV, Roma 1936, p. 265; M. Dazzi, Il fiore della lirica veneziana, Venezia 1956, pp. 19 s., 23-25.