BORROMEO, Giulio Cesare
Nacque il 13 nov. 1517 da Federico e da Veronica Visconti. Avrebbe dovuto dedicarsi alla carriera ecclesiastica, essendo stato investito nel 1539 dell'abbazia benedettina dei SS. Graziano e Felino d'Arona, beneficio ecclesiastico del quale i Borromeo avevano il patronato. La sua educazione però fu esclusivamente militare e nel 1550, in clima di Controriforma, dovette rinunciare all'abbazia in favore del nipote Carlo, appena dodicenne.
Fin dall'età di sedici anni il B. aveva servito nell'esercito di Carlo V, prima come uomo d'armi poi alla testa di una condotta di cavalleggeri, nelle guerre contro i protestanti in Germania. L'esperienza acquisita nel campo dell'architettura militare gli valse nel 1556 la nomina a sovrintendente delle fortificazioni imperiali del Piemonte, e in tale qualità si occupò in particolar modo dei castelli delle città di Asti e di Vercelli. Le lotte che avevano sconvolto la Lombardia negli anni precedenti avevano spinto il governo spagnolo a predisporre un vasto piano di fortificazioni delle principali città e terre imperiali, nell'ambito del quale rientrava la recinzione e fortificazione di Milano e del suo castello, affidate dal 1548 alla cura personale del governatore dello Stato, Ferrante Gonzaga.
Per quanto riguarda il castello venne approvato un progetto di costruzione di due ali a tenaglie, costituite da due terrapieni, che collegassero la costruzione, ormai troppo addentrata tra le abitazioni, ai bastioni che circondavano Milano, fino a porta Vercellina e a porta Cumana. Questo progetto apparve come la soluzione più avanzata, anche se fu al centro di grosse polemiche. Il B. infatti, secondo il Calvi, si era opposto e aveva votato contro, proponendo dei ripari che si proteggessero a vicenda con fuochi incrociati. Prevalse il partito contrario, ma pochi anni dopo risultò evidente come le tenaglie fossero superate dalle più moderne tecniche belliche e fosse invece necessaria la costruzione, che venne ben presto iniziata, di sistemi di difesa del tipo di quelli proposti dal Borromeo. Il Gonzaga decise così la trasformazione radicale della difesa del castello con l'inscrizione del grande quadrato sforzesco in un recinto poligonale a sei punte, il cui principio di difesa fosse appunto basato sul fuoco incrociato, per impedire l'avvicinamento del nemico sotto le ali della fortificazione.
Nel 1559 il B. venne nominato governatore di Domodossola, soprattutto per i meriti acquisiti durante la discesa dei Francesi in Italia, durante la quale egli si era affrettato a fortificare la rocca di Arona e ad assicurare quel presidio all'imperatore. Inoltre, quando i Francesi tentarono di occupare la città di Vercelli, il B., con tutta la gente che poté radunare, tenne la cittadella e non permise che cadesse in mano dei nemici.
Nel 1560 tuttavia egli reclamava per sé anche la carica di castellano della città, che era rimasta vacante. Ma a questa sua richiesta si oppose il marchese di Pescara, essendo Domodossola un caposaldo di grande importanza strategica, al confine con la Confederazione elvetica. Egli proponeva invece di dare questo incarico "a un español que fuesse persona de mucha confiança y experiencia". Il B., pur avendo indubbi meriti presso l'imperatore, era considerato persona "mas bulliciosa" e perciò inadatta a questo tipo di cariche. Egli quindi non sembra che ottenesse questo incarico, anche se mantenne la carica di governatore fino alla morte. Il 6 genn. 1565 entrò a far parte di una magistratura cittadina milanese, il Consiglio dei sessanta decurioni, sopravvivenza del Consiglio generale del vecchio Comune, un corpo di ottimati scelti a vita dal governatore a rappresentare la città dieci per porta, ma privo di reale autonomia.
Morì a Milano il 7 ag. 1572.
Per sua disposizione testamentaria venne sepolto nella tomba di famiglia in S. Maria Podone di Milano. Aveva sposato Margherita Trivulzio, figlia del conte Renato, signore di Formigara, la quale gli portò in dote la quarta parte dei beni di Formigara nel Cremonese. Il suo testamento, del 2 dic. 1571, citato dal Canetta e dal Calvi, lasciava eredi i figli Renato e Federico.
Fonti eBibl.: Archivo General de Simancas, Estado, leg. 1247, ff. 25, 26, 27, 28, 30; leg. 1211, ff.62, 63. Un suo carteggio relativo all'amministrazione dei beni feudali della famiglia si conserva nell'Archivio Borromeo dell'Isola Bella. P. Canetta, Albero genealogico storico-biografico della nobile famiglia Borromeo, copia del ms. originale, proprietà della famiglia Borromeo, pp. 75 ss.; F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, Milano 1881, II, tav. IX; F. Arese, Elenchi dei magistrati patrizi di Milano dal 1535 al 1796, in Arch. stor. lombardo, LXXXIV (1957), p. 157.