CARACCIOLO, Giulio Cesare
Di lui si ignora la data di nascita e di morte.
Inaccettabile appare l'identificazione proposta da Scipione Volpicella (p. 210) del C. con quel Giulio Cesare del ramo dei Caracciolo del Leone, nato nel 1495 da Marino e Dianora di Carlo Cicinelli. Mentre costui, infatti, morì anteriormente al 22 febbr. 1568, come si deduce dal fatto che quel giorno la moglie, Ippolita di Giovanni Battista Caracciolo e di Beatrice Gambacorta, vestì l'abito benedettino nel monastero di S. Gregorio Armeno, comunemente detto di S. Ligorio (cfr. Fabris, tav. XXXIII), del C. ci restano due componimenti risalenti al 1572. Proprio in quell'anno, inoltre, egli è annoverato da Reginaldo Accetto (Il Thesoro della volgar lingua, Napoli 1572, c. 17v) tra gli scrittori napoletani ancora viventi a quella data, insieme con i suoi congiunti Virgilio (autore del Compendio della descrittione di tutto il mondo, Napoli 1567, con un sonetto del C. a lui) e Pasquale (autore del trattato equestre e ippologico intitolato La gloria del cavallo, Venezia 1567). Questi ultimi, figli di Giambattista duca di Martina e Giacomina di Raimondo Orsini duca di Gravina, erano fratelli di un altro Giulio Cesare morto il 14 dic. 1569 e erroneamente identificato (Fabris, tav. XXIV) con l'ambasciatore recatosi nel 1547 presso Carlo V. È proprio l'ambasciatore, invece, da identificarsi con il C., gentiluomo a un tempo e poeta. Non sembrano infatti lasciare dubbi sull'identità dell'ambasciatore le parole di Antonino Castaldo (Istoria, p. 104) che lo definiscono "cavaliero di belle lettere e di gentilissimi costumi ornato, destro e giudizioso" e, più, di Camillo Porzio (Storia d'Italia, in Opere, Firenze 1855. p. 250) che lo dicono "destro e delle Muse amico". Altri due Giulio Cesare sono registrati nelle genealogie dei Caracciolo (Fabris, tavv. IV e IX), ma nessuno può per la cronologia essere identificato con il C., del quale sono noti alcuni episodi della vita e la produzione letteraria assai ricca.
Se è lui quel Caracciolo a cui si rivolge Girolamo Britonio al v. 9 del son. "Gravi pensieri, alti sospiri e doglie" (in Gelosia del sole, Napoli 1519, c. LXVIv) avremmo con esso la più antica testimonianza. È probabile invece che sia proprio lui quel Giulio Cesare Caracciolo che nel 1528 è annoverato tra i trecento nobili sfollati da Napoli a Sorrento a causa dell'assedio del Lautrec (cfr. Porcaro, p. 297). Ma con sicurezza troviamo il C. per la prima volta solo nel 1531, citato, con Berardino Rota e Marc'Antonio Epicuro, tra gli illustri poeti napoletani da Giovan Berardino Fuscano nelle Stanze sovra la bellezza di Napoli (Roma 1531). Successivamente Garcilaso de la Vega, che fu a Napoli dal settembre del 1532 ai primi mesi del 1536, si rivolge a lui col sonetto "Julio, después que me parti llorando" (in Obras, Madrid 1911, p. 226). Dopo rivediamo il C. nel 1537 quando, insieme con Giovan Battista della Tolfa, fu inviato da Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, a Vincenzo Toraldo, marchese di Polignano, a chiedergli conto della sfida a duello che questi aveva imprudentemente lanciato al principe (Castaldo, p. 62). Ragionevole sembra l'identificazione di M. Menghini (nella sua ediz. delle Lettere familiari di A. Caro, Firenze 1920, p. 119 n. 9) che vuole sia il C. quel signor Giulio Cesare napoletano, proprietario di un Ercole (forse un cammeo), incuriosito del quale Francesco Maria Molza avrebbe voluto scriverne, verisimilmente per trattarne l'acquisto, a Giovan Francesco Alois detto il Caserta (cfr. lettera del Caro del 17 ag. 1538 da Roma a Jacopantonio Frescaruolo a Napoli, in A. Caro, Letterefamiliari, a cura di A. Greco, I, Firenze 1957, p. 111 e n.), parente stretto dei Caracciolo e seguace, fino alla morte sul rogo, di Juan de Valdés. La notizia è interessante soprattutto perché mostra il C. vicino a quell'ambiente della colta aristocrazia napoletana sul quale ebbe profondo influsso la nuova spiritualità di ispirazione protestante da cui fu toccato anche l'amico suo Ferrante Sanseverino, il quale, esule in Francia, si accostò, dopo la morte di Enrico II (10 luglio 1559), agli ugonotti ed incontrò, "fatto ribelle a Dio", quella misera morte profetata alla sua nascita da Pomponio Gaurico come, su ragguaglio proprio del C., ci informa ancora il Castaldo (p. 140).
Come poeta il C. fece parte di quella Accademia degli Ardenti che, fondata nel 1546, ebbe a presidente Ferrante Carafa e accolse, tra gli altri, Vincenzo Belprato, Berardino Rota e Fabio Ottinelli, tutti gentiluomini del "seggio" di Capuana (v. M. Maylender, Storia delleAccademied'Italia, I, Bologna 1926, pp. 304-306). L'anno successivo, soppressa l'Accademia per ordine del vicerè don Pedro de Toledo, lo troviamo al centro della vita politica quando, in seguito ai tumulti popolari capeggiati dall'aristocrazia contro il Toledo che voleva introdurre nel Regno l'Inquisizione di Spagna, egli fu inviato, in qualità di rappresentante eletto dalla nobiltà, a fianca del rappresentante del popolo Giovan Battista Pino, "uomo letterato e intiero e delle cose del popolo informatissimo", ambasciatore presso Carlo V ad impetrarne l'aiuto contro il viceré (Castaldo, p. 104). Fallito però lo scopo dell'ambasceria, che fu presentata a Carlo dal Sanseverino, per la ferma volontà imperiale di mantenere intatti il prestigio e l'autorità del Toledo sopra la turbolenta aristocrazia napoletana, il C. e il Pino tornarono a Napoli con l'ordine di sottomettersi al volere del vicerè, che fece imprigionare il C. e il notaro Santillo Pagano che si era aggregato all'ultimo momento all'ambasceria. Essi andarono così ad aggiungersi a Antonio Barattuccio, a Placido di Sangro e a Ferrante Carafa arrestati già in precedenza, anche se di lì a non molto tutti i prigiomen vennero via via liberati (Castaldo, pp. 104-107).
Nel periodo che all'incirca va dal 1546 (se si accetta come più probabile la dedica, in morte, di due sonetti ad Alfonso piuttosto che a Ferrando d'Avalos) all'anno 1572 si situa quasi tutta l'attività letteraria del Caracciolo. Un gruppo cospicuo di sonetti più volte ristampati nel corso del Cinquecento è contenuto ne Il sesto librodelle rime di diversi eccellenti autori (Venezia 1553). Ai primi quattro, di cui due in morte di Alfonso d'Avalos (1546; Ferrando era morto nel 1525), e due spirituali (cc. 55v-56v), fanno seguito (cc. 193r-195v) undici sonetti che formano un vero e proprio piccolo canzoniere ispirato dall'amore per una "nova Angioletta" di tradizione stilnovistica e petrarchesca, giunta ai rimatori napoletani per il tramite del Sannazaro (sonetto XVII e sestina XLIV) e del Bembo (Rime, XVI). Un'altra nutrita raccolta di sonetti, encomiastici per lo più e d'occasione (fanno eccezione cinque sonetti amorosi), si legge alle pp. 192-204 delle Rime di diversi signori napolitani e d'altri nuovamente raccolte et impresse. Libro settimo, a cura di L. Dolce (Venezia 1556). Quattro sonetti sono dedicati a Filippo di Spagna: tre per la statua di lui scolpita dall'aretino Leone Leoni (1551) ed uno in occasione della sua investitura del Regno di Napoli (1554). Celebrati in un altro sonetto sono don Garzia di Toledo, figlio del viceré don Pedro, reduce (settembre 1550) dalla vittoriosa impresa contro Afrodisio in Barberia (Tunisi), cantata anche da L. Tansillo (Sonetti per la presa d'Africa, [Napoli 1551]), e la sua promessa sposa Vittoria Colonna junior. Un sonetto è dedicato ad un altro personaggio molto in vista nella società napoletana del tempo, Erina Castriota Scanderbeg, alla quale sono resi dai rimatori contemporanei frequenti omaggi poetici. Era costei seconda moglie di Pietro Antonio Sanseverino conte di Tricarico e principe di Bisignano, che aveva sposato in prime nozze Giulia Orsini figlia di Giangiordano e di Felice Della Rovere, e sorella di quella Clarice cui il C. dedica tre sonetti e che fu sposa di Luigi Carafa principe di Stigliano, da riconoscersi probabilmente in quel "gran Luigi altiero" al quale il C. rende feudale omaggio nel sonetto che non a caso segue il primo per Clarice. Sempre a un membro della famiglia Carafa, a Ippolita Gonzaga sposa (1554) di Antonio duca di Mondragone, è dedicato un altro sonetto, mentre ben sei sono dedicati al più illustre personaggio di essa, Gian Pietro Carafa, in occasione della sua ascesa al soglio pontificio col nome di Paolo IV (1555). Due sonetti sono dedicati a personaggi non identificati. Interessante è il sonetto celebrativo di Maria d'Aragona sposa (1523) di Alfonso d'Avalos, che nell'avvio è quasi identico a quello ben noto dedicato alla stessa da Giovan Battista d'Azzia marchese della Terza e commentato da Girolamo Ruscelli (Lettura diG. R.sopra un sonettodell'illustrissimo signor marchese della Terza alladivina signoramarchesa del Vasto, Venezia 1552) che cita (c. 64r), tra i tanti poeti che hanno cantato di lei, il C. e due suoi parenti, Giovan Tommaso e Ciarletta, autore tra l'altro dei Diecilibri dellafelicitàhumana, pubblicati postumi a cura di Antonio Caracciolo (Napoli 1574).
Sparsi in varie miscellanee di rime d'occasione e nei canzonieri di poeti napoletani contemporanei si trovano alcuni altri sonetti del C., di carattere celebrativo e di corrispondenza. A c. 26v della Oratione diGio. BattistaAttendolo di Capuanell'essequie diCarlo d'Austria... conalcune rimedi diversi inmortedel medesimo e diCarloV (Napoli 1571) se ne legge uno in morte (1558) di Carlo V, mentre nella raccolta In funere SigismundiAugusti regis Poloniae... oratioatque praestantium virorumpoemata (Napoli s.d., ma probabilmente 1576) se ne leggono due (c. 93rv) per la morte di quel re (7 giugno 1572). Sono questi i suoi componimenti ultimi e sicuramente databili, mentre non databile, ma certo tardo, anzi quasi sicuramente successivo a questi, è un sonetto in lode delle prime poesie di Giambattista Manso, che era nato intorno al 1560 (Manso, Poesie nomiche, Venezia 1635, p. 262).
Ancora alla metà del secolo ci riportano invece, oltre al sonetto pubblicato nella raccolta in morte di Beatrice d'Avalos, che fu stampata con la tragedia Altea di Niccolò Carbone (Napoli 1559), i sonetti di corrispondenza. Il primo, rivolto alla Terracina, è conservato, con la risposta per le rime della poetessa, a c. 81rv del ms. Palatino 229 della Nazionale di Firenze (cfr. L. Gentile, I codici Palatini, I, Roma 1889, pp. 319-327) ed è databile posteriormente al 7 sett. 1553. giorno nel quale un fulmine, cui il C. allude al v. 6, si abbatté sulla casa di Laura (cfr. L. Terracina, Seste rime, Lucca 1558, p. 52). Il secondo, indirizzato al Rota, che risponde per le rime, allude alle poesie composte dall'amico in morte (1559) della moglie Porzia Capece (cfr. B. Rota, Sonetti et canzoni, Venezia 1567, pp. 139, 188).
Numerosi sono altresì i sonetti indirizzati al C. dai suoi colleghi in poesia come la Terracina (Seste rime, p. 80), Antonio Terminio e Francesco Coppetta (cfr. Il secondo volume delle rime scelte, Venezia 1590, pp. 24, 624). Un capitolo del Tansillo, Capriccio contro le carrette eicocchi, risalente al 1545, dedicato in un primo tempo al C. gli è invece in seguito sottratto e dedicato a un Giovan Loise Carmignano non altrimenti noto, ma verisimilmente parente del poeta Colantonio, noto anche col nome di Parthenopeo Suavio. Il C. è anche destinatario di un'elegia e di un epigramma (da cui risulta che era affetto da podagra) di Berardino Rota (Carmina, Neapoli 1572, cc. 13v, 46v). Ancora col Rota, con Angelo Di Costanzo e con don Costantino Castriota (Filonico Alicarnasseo) egli, prende parte al dialogo sulla scherma di Marc'Antonio Pagano intitolato Le tre giornate (Napoli 1553). E forse proprio il C. è infine il Cesare Caracciolo cui si intitola un sonetto di Torquato Tasso (in Opere, a cura di B. Maier, I, Milano 1963, p. 888). Ciò è tanto più probabile in quanto il C. è nominato tra i poeti napoletani (Rota, Costanzo, Carafa, Tansillo, Paterno) nelle stanze 42 s. del c. C dell'Amadigi di Bernardo.
All'interno dell'attività letteraria del C., tutta concentrata nella composizione di sonetti che non si levano troppo al di sopra della normale media cinquecentesca, spicca singolarmente un Ragionamento sulle condizioni del RegnodiNapoli ove si propongono riforme del sistema economico, giudiziario e militare del Regno. Esso è conservato sia alle cc. 3-35 del ms. Ital. cl. VI, 310 della Marciana di Venezia (v. G. Mazzatinti, Inventari dei mss. delle bibl. d'Italia, LXXVII, pp. 125 s.) che nel ms. Urb. lat. 824 della Vaticana (v. C. Stornajolo, CodicesUrbinates latini, II, Roma 1912, p. 435) ed è il resoconto di una conversazione avuta con il conte Broccardo, dedicato dal C. al fratello Ascanio in data 15 febbraio del 1554 (la lettera di dedica, ma in data 1559, si conserva anche nel ms. Urb. Lat. 1568: v. Stornajolo, cit., III, Roma 1921, p. 431). Il parere espresso nel Ragionamento (cc. 12v-13r del ms. marciano), che il viceré non debba usurpare prerogative regali, è particolarmente interessante anche ai fini dell'attribuzione, quando si ricordi come, durante l'ambasceria del 1547, il C. e il Pino avessero deplorato appunto "l'imperio che quasi come Re si avea vendicato il suo [di Carlo] Ministro nel Regno (Castaldo, pp. 104 s.).
Fonti e Bibl.: L. Tansillo, Capitoli giocosi esatirici editi ed inediti a cura di S. Volpicella, Napoli 1870, pp. 195 ss.; Id., L'Egloga e i Poemetti, a cura di F. Flamini, Napoli 1893, p. 132; Id., Ilcanzoniere edito ed inedito, a cura di E. Percopo, Napoli 1926, pp. XVI, LXXXVIII, CXII n. 2, CXLII n. 1; A. Castaldo, Dell'Istorialibri quattro, in G. Gravier, Raccolta..., VI, Napoli 1769, pp. 61 s., 104-107, 140; N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, p. 165; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, V, Venezia 1730, p. 106; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, pp. 307, 359; G. B. Tafuri, Istoriadegli scritt. nati nel Regno di Napoli, III, 2, Napoli 1752, pp. 292 s.; C. Minieri Riccio, Memoriestoriche degli scritt. nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, sub voce; B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province merid. d'Italia, III, Napoli 1876, p. 60; E. Percopo, Marc'Antonio Epicuro,appunti biografici, in Gior. stor. di lett. ital., XII (1888), p. 36 e n.; G. Porcaro, Una pagina inedita di storia napoletana in marginealla lotta tra Carlo V e Francesco I per la supremazia in Italia, in Studi in onore di RiccardoFilangieri, II, Napoli 1959, pp. 285-297; G. Galasso, Momenti e problemi di storia napoletananell'età di Carlo V, in Arch. stor. per le prov. napol., n.s., XLI (1962), pp. 47-110 passim; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tavv. IV, IX, XXIV, XXXIII; G. D'Agostino, Ilgoverno spagnolo nell'Italia meridionale(Napoli dal 1503 al 1580), in Storia di Napoli, V, 1, Napoli 1972, pp. 66-68.