CORDARA, Giulio Cesare
Nacque ad Alessandria il 16 dic. 1704, da Giulio Antonio ed Eleonora Crescini. Trascorsi i primi anni della fanciullezza a Calamandrana - dove il padre aveva ereditato dallo zio Francesco, di umilissime origini, delle proprietà ed il titolo comitale - il C. fu inviato nel 1715, insieme con il fratello Francesco, a Roma, presso lo zio paterno monsignor Giacomo, per ricevere un'educazione più conforme alla sua condizione sociale. A casa dello zio dimorò per tre anni, durante i quali frequentò le scuole del Collegio Romano, rivelando assai presto una notevole attitudine per gli studi umanistici.
Alla fine del triennio, il C. decise di entrare nella Compagnia di Gesù, attirato dalla fama di santità e di scienza di molti suoi componenti, come anche dall'alta stima di cui allora godevano i gesuiti negli ambienti religiosi e laici; d'altra parte egli era destinato, come secondogenito, alla camera ecclesiastica. Il 20 dic. 1718 entrò, quindi, nella casa di S. Andrea al Quirinale per compiere il suo noviziato, che ultimò due anni più tardi. Successivamente il C. intraprese il tradizionale corso di studi stabilito dalla Compagnia: compi il biennio di retorica, lodato e stimato dai suoi insegnanti per l'abilità nel comporre versi e prose in latino, e si iscrisse al corso di filosofia, al termine dei quale fu destinato, nel 1725, ad insegnare retorica nel collegio che la Compagnia possedeva a Viterbo.
Nell'ottobre del 1728 il C. si trasferì a Fermo, dove i superiori l'avevano inviato a proseguire lo stesso insegnamento della retorica, ma in una scuola più importante e più onorifica per il giovane maestro; l'anno seguente passò al collegio di Ancona, nel quale occupò la cattedra di retorica fino al 1730. Durante il soggiorno in questa città, il C. compose la sua prima satira in latino, Contra rerum alienarum inspectores (Orationes et carmina, tomo III delle Opere latine ed italiane dell'abate G. C. C., Venetiis 1804, pp. 221-241), per gareggiare con un certo Marcolini, cavaliere di Malta, molto erudito nelle lettere latine, il quale si compiaceva esageratamente di alcune satire scritte in gioventù, che era solito recitare nel collegio dei gesuiti.
Nella satira il C. traeva spunto dal fastidioso comportamento di un servitore del collegio, intrigante ed importuno, per colpire tutti i molesti "seccatori" i quali, senza esseme richiesti, vogliono intromettersi nelle faccende altrui. La composizione fu recitata dall'autore alla presenza dei confratelli e dello stesso Marcolini, e riscosse unanimi elogi a causa dello stile particolarmente brillante e mordace.
Verso la fine del 1730, il C. ritornò a Roma per cominciare gli studi di teologia al Collegio Romano e nel 1733 fu ordinato sacerdote. Nello stesso anno scrisse la satira Infatuos numerorum divinatores (Orationes et carmina, pp. 203-220), dove scherniva gli stolti indovini dei numeri da giocare al lotto; opera che, letta ed anunirata in Arcadia, fece entrare l'autore nel novero degli arcadi con il nome pastorale di Panemo Cisseo.
Terminato il corso di teologia, il C. si trasferì a Firenze, nel 1734, per compiere il terzo anno di "probazione" secondo la usanza della Compagnia; nel 1735 fu inviato al collegio di Macerata per insegnare filosofia. Fu accolto favorevolmente negli ambienti aristocratici della città, dove era ricercato per la sua piacevole conversazione e lo spirito faceto. Tuttavia egli non trascurava i suoi impegni sacerdotali e l'attività letteraria: nel 1735 compose il dramma pastorale per la morte di Maria Clementina Sobieski, moglie di Giacomo (III) Stuart pretendente al trono di Inghilterra, intitolato In mortem Nicis, che fu pubblicato solamente nel 1754 a Genova. A Macerata inoltre il C. scrisse, nel 1737, con lo pseudonimo di Lucio Settano: Detota Graeculorum hidus aetatis Literatura ad Gaium Salmorium Sermones quatuor (pubblicati nello stesso anno a Lucca, ma con la falsa indicazione editoriale di Genova), i quali suscitarono una violenta polemica.
In quel periodo, infatti, le scuole della Compagnia erano attaccate da numerosi studiosi - tra i quali il maceratese D. Lazzarini - per i loro metodi di insegnamento considerati troppo antiquati e pedanti. Gli avversari dei gesuiti rivendicavano una nuova cultura, basata sullo studio di varie discipline, tra le quali primeggiava la conoscenza della lingua greca; ma costoro spesso divulgavano, a loro volta, un tipo di crudizione superficiale e vuota con cui dissimulavano la loro effettiva mediocrità. Il C. derise, quindi, nei Sermones questa schiera di saccenti, fingendo dì impartire all'amico Salmorio (il confratello G. Lagomarsini) i nuovi precetti necessari per divenire un letterato alla moda, dei quali sarebbe stato inventore il Murrano (D. Lazzarini), istruito dal Rullo, principale protagonista della satira. Intorno a questo personaggio i contemporanei ed alcuni critici moderni formularono molte congetture e tentarono varie identificazioni con studiosi dei tempo, come il teologo e poligrafo Giovanni Lami; ma più verosimilmente il Rullo rappresenta il tipo generico del letterato borioso e vuoto, che concentra e compendia in sé le molteplici attitudini degli eruditi del Settecento. I Sermones furono considerati dal Borgognoni e dal Carducci uno degli antecedenti più immediati del Giorno per la fine ironia che anima numerosi episodi.
In risposta alle satire del C. uscirono i Pifferi della montagna di Cosellio Filomastige (Leida 1738), volgare libello in terzine, forse opera del Lami, dove si schernivano i gesuiti G. Lagomarsini e P. Venturi, ritenuti i veri autori dei Sermones, dei quali il Lagomarsini aveva curato la stampa e il commento. Per scagionare i suoi confratelli, il C. compose allora L. Sectani Q. Fil. ad Gaium Salmorisim Sermo Quintus (Cornithy, in realtà Lucca, 1738). che accrebbe l'ira degli avversari: comparve infatti una nuova satira in latino dal titolo Menippea I (Londra 1738), scritta contro l'Ordine dei gesuiti dal Timoleonte, nel quale quasi ad unanimità fu riconosciuto il Lami. Il C. replicò con ma sesta satira che era sul punto di spedire al Lagomarsini perché la divulgasse, quando il generale della Compagnia, Francesco Retz, venuto a conoscenza della disputa e ignorando chi fosse l'autore dei Sermones, intimò ai suoi sottoposti di non continuare nelle risposte agli scritti degli avversari dell'Ordine: pare che il Retz fosse stato sollecitato dal pontefice Clemente XII ad agire in tal modo. Solamente dopo che fu spenta l'eco della vivace polemica, il sesto sermone dei C. uscì insieme con i precedenti nell'edizione L. Sectani Q. F. De tota Graeculorum... Sermones quatuor. Adcessere ad eorum defensionem Quintus et Sextus (Hagae Comitum 1752).
Nei primi mesi del 1739 il C. fu destinato come professore di filosofia al Collegio Romano, dove giunse verso la fine dell'anno; ma non entusiasmandolo l'insegnamento di tale disciplina, nel 1741 ottenne di ricoprire la cattedra di diritto canonico nello stesso collegio. Il 20 marzo 1741 il C. recitò nel Collegio Romano lo elogio funebre dell'imperatore Carlo VI, che ebbe l'onore della stampa: In funere Caroli Sexti Imperatoris oratio (Orationes et carmina, pp. 5-38). Nel 1742 fu affidato al C. l'incarico di redigere la storia della Compagnia rimasta interrotta da circa trenta anni, dopo la morte del suo estensore, il gesuita G. jouvency. Il C. iniziò il lavoro con grande volontà di portarlo a compimento, e nel 1746 aveva terminato il primo volume, ma a causa del parere sfavorevole espresso sull'opera dal gesuita francese padre Guérin, la sua stampa venne rinviata fino al 1750, quando comparve a Roma con il titolo Historiae Societatis Iesu Pars sexta.
Nonostante che l'ufficio di storico della Compagnia costituisse ormai la sua attività principale, il C. scrisse pure, nel 1751, l'opera Caroli Odoardi Stuardi Walliae Principis expeditio in Scotiam, libris IV comprehensa (Opere, I, Venezia 1804, pp. 87-308), nella quale veniva narrata la drammatica spedizione compiuta da Carlo Edoardo Stuart in Scozia, tra il 1744 e il 1746, per riconquistare la corona di Inghilterra. Negli anni successivi il C. fu quasi esclusivamente occupato nella stesura della storia dell'Ordine, mentre le sue uniche distrazioni consistevano nelle visite che compiva a varie case patrizie romane e agli amici più cari: egli infatti aveva stabilito cordiali relazioni con le maggiori famiglie della città, come gli Albani e gli Orsini, presso i quali era tenuto in grande considerazione.
Espulsi i gesuiti dal Portogallo, nel 1759. per opera del Pombal, e prevedendo prossima ormai la stessa sorte per quelli di Francia, il C. ritenne che in condizioni così avverse non si potesse stampare e divulgare il secondo tomo della storia della Compagnia (fu pubblicato postumo nel 1859 a Roma), e giudicò più opportuno sospendere il suo lavoro per dedicarsi ad altri studi ed opere più confacenti ai tempi che correvano. Tuttavia egli s'indusse a scrivere, in base a molte lettere e relazioni autorevoli, un Saggio primo sul processo del fu P. Gabriele Maiggrida, gesuita del Brasile che era stato fatto giustiziare a Lisbona nel 1761, sotto la falsa accusa di eresia; a questo aggiunse un Saggio secondo sull'argomento stesso dei processo e della condanna, ma trattandosi di materia particolarmente scabrosa per quegli anni, i due saggi apparvero nel volume Il buon raziocinio dimostrato in due scritti, edito solamente nel 1782 senza indicazione dei luogo di stampa.
Il 6 giugno 1763 il C. partì da Roma per compiere un viaggio in Piemonte; dopo una sosta a Torino, egli giunse, il 25 giugno, a Calamandrana, dove si trattenne con parenti ed amici per circa tre mesi. In questo periodo compose quattro capitoli in terza rima: gli Insetti, la Pulce, la Mosca e la Zanzara (riuniti in Parnaso italiano, LII, Venezia 1792), nei quali lo insolito argomento - già presente nella lirica secentesca - è svolto dal C. con una certa novità d'immagini, piacevolezza e facilità d'espressione. Durante il viaggio di ritorno sostò per qualche tempo a Montesanto, ospite nella villa dei Bonaccorsi, e rientrò definitivamente a Roma nel novembre del 1763. Intanto la polemica antigesuitica si stava sempre più inasprendo fino a culminare nella soppressione della Compagnia in Francia nel 1764, provvedimento ben presto imitato da altri Stati europei, ma nonostante la persecuzione di cui era fatto oggetto il suo Ordine, il C. continuava ad essere ricevuto dalle principali famiglie romane, che non cessarono mai di dimostrargli la loro benevolenza.
Nel 1770 il C. pubblicò a Roma il volume CollegiiGermanici et Hungarici libris IV comprehensa, per il quale aveva utilizzato le molte fonti d'informazione fornitegli dairarchivio del collegio fondato da s. Ignazio di Loyola in Roma nel 1552.
Dopo aver trascorso quasi l'intero anno 1770 ad Albano per motivi di salute, il C. ritornò a Roma, dove ormai la sorte della Compagnia sembrava sempre più compromessa, sebbene il pontefice Clemente XIV non avesse preso ancora alcun provvedimento. Alla fine di maggio del 1772 il C. decise quindi di allontanarsi dalla città per sfuggire a questo clima di tensione, e compì un nuovo viaggio in Piemonte. L'anno successivo, mentre dimorava a Calamandrana, lo raggiunse la notizia che Clemente XIV aveva sottoscritto il breve con il quale dichiarava estinto e soppresso l'Ordine di s. Ignazio; precluso ormai il suo ritorno a Roma, il C. si trasferì a Torino, dove revisionò il poemetto satirico in dodici canti, ultimato nella primavera del 1773 a Calamandrana, Il Fodero ossia il Ius sulle spose degli antichi signori sulla fondazione di Nizza della Paglia nell'alto Monferrato (pubblicato a Parigi nel 1788 con mutazioni ed omissioni nel testo; la redazione completa del poemetto apparve solo nel 1934 ad Alessandria, a cura di A. Migliardi).
Verso la fine del 1774, il C. si stabilì definitivamente ad Alessandria., accolto con grande onore dai letterati e studiosi della città, che lo elessero nel 1779 "principe" dell'Accademia degli Immobili, alla quale egli era iscritto sin dal 1751. Anche negli ultimi anni della sua vita, H C. svolse un'intensa attività letteraria: nel 1780 pubblicò ad Alessandria il Saggiodi egloghe militari, dove figurano sei componimenti composti sull'esempio delle egloghe pastorali e piscatorie tradizionali, ma con la differenza che il C. ne rende protagonisti gli "uomini d'armi" e non i soliti pastori, pescatori e ninfe. Scrisse inoltre una tragedia in cinque atti intitolata la Betulia liberata (Asti 1781) ed altre opere minori, tra cui il Capitolo sopra il pallone volante recitato nell'adunanza degli Immobili di Alessandria (Torino 1784).
Il C. mori ad Alessandria il 6 marzo 1785.
Dopo la sua morte furono editi i Capitolisulla parrucca di Ruggioro Boscovich (Osimo1792), componimenti burleschi, che testimoniano le relazioni amichevoli esistenti tra gli eruditi del sec. XVIII; successivamente apparvero in quattro volumi le Operelatine ed italiane dell'abate G. C. Cordaro, Venezia 1804-1805, dove sono riuniti solo alcuni scritti dei C., mentre il progetto originario riguardava la sua intera produzione in diciotto volumi; ma per alterne vicende la pubblicazione fu sospesa dopo l'uscita dei quarto. Vari lavori inediti sono stati pubblicati più recentemente da G. Albertottì: si ricordano DeSuppressioneSocietatii lesu Commentarii, (Padova 1925), in Cui il C. analizza le cause che hanno condotto allo scioglimento del suo Ordine, e difende la decisione dì Clemente XIV, invitando nello stesso tempo i suoi confratelli ad accettare la volontà divina nell'obbedienza al pontefice; De suis ac suorum rebusaffisque suorum temporum Commentarii, a cura di G. Albertotti e A. Faggiotto, Torino 1931, ampio memoriale (di cui l'opera precedente costituisce un estratto) incominciato dal C. a Torino nel 1773. che offre "una miniera di notizie" - come scrive il Faggiotto - "la storia di una vita intorno a cui si aduna una folla dì personaggi ..." e "si intrecciano gli avvenimenti religiosi, politici e letterari ... più strepitosi del tempo".
Fonti e Bibl.: Fonte principale per la biogr. del C. sono i suoi Desuis ac suorum rebus aliisque suorum temporum usque ad occasum Socistatis Iesu Commontarii, pubblicati a cura di G. Albertotti e A. Faggiotto, Torino 1033. Si veda inoltre: L. M. Buchetti, De vita et scriptis L C. C. e Societate Iesu, quamdiu ea ststit commentarius, Opere latine ed ital. dill'ab. G. C. Cordara, I, Venetiis 1804, pp. 5-16; E. De Tipaldo, Biogr. degli Ital. illustri, III, Venezia 1836, pp. 125-128;C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnié de Mus, II, coll. 1411-1432 (con ampia bibliografia). Una completa ricostruzione della vita e dell'attività del C. appare in: G. Castellani, La società romana e ital. dei Settecento negli scritti di G. C. C., Roma 1967; notevole per la bibliografia dei mss., delle edizioni e degli studi biogr. e critici, l'articolo di P. Benzo, Bibliografle essenziali ragionate.: G. C. C., in Riv. di sintesi letter., II (1935), pp. 296-310; vedi inoltre la nota biobibliografica di L. Caretti, G. C. C., in G. Parini, poesie e Prose con append. di poeti satirici e didascalici del Settecento. Milano-Napoli 1951, pp. 709 s. Per i rapporti tra i Sermones del C. e il Giorno del Parini si consultino: A. Borgognoni, La vita e l'arte nel Giorno, in G. Parini, IlGiorno, Verona 1891, pp. 79-83; P. Bilancini, Prefazione, in ISermoni di Lucio Settano figlio di Quinto, Trani 1894, pp. 5-57 (notevole anche per la bibliografia e per la traduzione dei sermoni); G. Carducci, IlParini maggiore, in Ediz. naz. delle opere, XVII, pp. 142-147. Giudizi sfavorevoli sul C., in partic. sul suo atteggiamento riguardo alla soppressione della Compagnia. sono espressi dai gesuiti: E. Rosa. G. C. C. nella vita e nelle sue lettere, in La Civiltà cattolica, LXIV, 1913, pp. 453-471; A. Monti, La Compagnia di Gesù nel territorio della provincia torinese, II, Chieri 1915, p. 685.