GERMANICO, Giulio Cesare (Iulius Caesar Germanicus)
Figlio di Nerone Claudio Druso, che dopo la morte ebbe il cognome di Germanico, e di Antonia Minore. Nacque il 24 maggio del 15 a. C. A 18 anni fu adottato da Tiberio, il quale fu poco dopo adottato, a sua volta, da Augusto; cosicché il giovane Claudio passò col padre adottivo nella famiglia Giulia, e prese il nome col quale è generalmente conosciuto, conservando dal padre il cognome Germanico. Nello stesso anno (4 d. C.) o nel seguente sposò Vipsania Agrippina (Agrippina Maggiore: v.). Ebbe il consolato prima dell'età legale, quando aveva superato appena i 25 anni (12 d. C.). Era circondato da grande popolarità per le sue maniere democratiche, per la memoria del padre e per i grandi giuochi che aveva fatto celebrare. L'anno prima del consolato aveva accompagnato Tiberio in Germania, l'anno dopo vi fu rimandato, investito dell'impero proconsolare. Nel 14, quando Augusto morì, egli era occupato nel censimento della Gallia, e dovette correre sul Reno, ove era scoppiata fra le legioni una violenta sedizione, che riuscì a reprimere, ma non senza qualche difficoltà. Come diversione a queste turbolenze, egli decise d'intraprendere delle campagne oltre il Reno, certamente divisate già da prima. Una ne fu condotta nello stesso anno (14), ma fu breve, giacché l'inverno era prossimo: successivamente ne furono condotte altre due, nella primavera del 15 e del 16. Non si ebbero conquiste territoriali, ma si ottennero successi che valsero a rialzare il prestigio romano che stava sotto il peso della disfatta di Varo. Parecchie tribù germaniche vennero battute, fu distrutto il santuario della dea Tanfana, e presa prigioniera Tusnelda, moglie di Arminio; questi venne sconfitto due volte e costretto a fuggire (v. arminio). Sul luogo del disastro di Varo furono resi gli estremi onori alle legioni cadute: due insegne furono ricuperate. G. alzò un trofeo per affermare che tutte le tribù germaniche tra l'Elba e il Reno erano state debellate. Ma nello stesso anno 16 egli fu richiamato, con grande disappunto dell'opinione pubblica di Roma, e nel 17 celebrò il 26 maggio un grande trionfo che il senato volle ricordare nelle sue monete. Quindi Germanico fu mandato in Oriente con poteri straordinari che gli davano autorità su tutti i governatori romani senatorî o imperiali; e nel 18 ebbe per la seconda volta il consolato, insieme con Tiberio. Egli mise sul trono di Armenia Zenone, figlio del re del Ponto, e assai accetto alla popolazione del paese; ridusse sotto la forma di provincia la Cappadocia, il cui re Archelao era morto l'anno innanzi a Roma, e ne alleggerì i tributi: provvide al governo della Commagene. Il re dei Parti, Artabano, si dichiarò pronto a venire sino alla riva dell'Eufrate, in omaggio a Germanico, e chiese il rinnovamento dell'alleanza coi Romani. In questo tempo G. visitò l'Egitto, spingendosi sino a Tebe e a Siene, senza chiedere il permesso dell'imperatore, come avrebbe dovuto, giusta le disposizioni di Augusto. Si era intanto accesa fra Germanico e Calpurnio Pisone, proconsole della Siria, una forte ostilità, che fu invelenita dalle rivalità tra Agrippina e Munazia Plancina, moglie di Pisone. G. intanto si ammalò ad Antiochia, e ivi morì il 10 ottobre del 19, in età di 33 anni. Le sue ceneri furono riportate a Roma dalla moglie Agrippina, in mezzo a grandi manifestazioni di cordoglio di tutta la popolazione. Si disse che Pisone e Plancina lo avessero avvelenato; ma nel processo che ne seguì l'accusa si rivelò infondata.
Lo scrittore. - Fu oratore e compose commedie greche. Sotto il suo nome si leggono alcuni epigrammi greci e latini. A lui si deve una traduzione o meglio un rifacimento dei poemi di Arato. Dei Fenomeni abbiamo circa 700 versi; dei Prognostici, più liberi dai vincoli d'imitazione, circa 200. G. modificò il modello in rapporto ai progressi della scienza. Gli argomenti dei suoi carmi escludono per sé stessi la possibilità di vera poesia; ma il confronto con gli Aratea di Cicerone e di Avieno attesta in lui un'elaborazione più coscienziosa della materia.
Per gli Aratea, cfr. Baehrens, Poetae Latini Minores, I, Lipsia 1879, p. 142 segg.; per gli epigrammi latini, ibid., IV, p. 102 segg.; per gli epigrammi greci Anth. Palatina, IX, 17, 18; 387; VII, 542.
Bibl.: M. Gelzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, col. 435 segg.; H. Dessau, Prosop. Imp. Rom., II, Berlino 1903, n. 146; H. Schiller, Gesch. d. röm. Kaiserzeit, I, Gotha 1883, p. 227 segg.; U. v. Wilamowitz-Moellendorf e F. Zucker, Zwei Edikte des G., in Sitzungsb. Preuss. Akad., 1911, p. 794 segg.; C. Cichorius, Römische Studien, Berlino 1922, p. 375 segg.; U. Wilcken, Zum G. s Papyrus, in Hermes, LXIII (1928), p. 48 segg.