RECUPITO, Giulio Cesare
RECUPITO, Giulio Cesare. – Nacque a Napoli nel gennaio del 1581, figlio unico di Giampaolo e di Dianora Sclano. Il padre, avvocato e magistrato dei supremi tribunali napoletani, cultore di studi letterari ed eruditi, morì nel 1586 e la madre passò a seconde nozze.
Il giovane Giulio Cesare apprese le lettere e i primi rudimenti di filosofia sotto la guida di un gesuita suo parente, Natale Caputo. A tredici anni manifestò il desiderio di entrare nella Compagnia di Gesù, ma in questa scelta fu tenacemente ostacolato dalla madre, convinta che i religiosi volessero solo mettere le mani sul patrimonio che un giorno avrebbe ereditato (Schinosi, 1711, p. 264; Cassani, 1734, pp. 50-53). La disputa fu risolta grazie all’intervento del preposito provinciale Roberto Bellarmino, del nunzio apostolico Giacomo Aldobrandini, del viceré conte di Miranda e del generale della Compagnia e il 1° marzo 1595 il giovane fu ammesso come novizio nel collegio di Napoli, in cui sarebbe rimasto tutta la vita. Qui compì il percorso formativo previsto dalla ratio studiorum, approfondendo gli studi di retorica, filosofia, teologia e matematica; l’8 settembre 1608 professò i primi tre voti e, due anni dopo, il voto di obbedienza al pontefice.
Dal 1611 fu docente nel Collegio napoletano, dapprima incaricato degli insegnamenti di filosofia, etica e metafisica, quindi nel 1617 approdò alla cattedra di teologia; dal 1631 fu prefetto degli studi nel medesimo istituto, di cui, dal 1643 al 1646 fu rettore. Nel 1645-46 fu inviato come delegato della Provincia napoletana all’VIII congregazione dell’ordine, che elesse Vincenzo Carafa come generale.
Oltre che all’insegnamento e allo studio, si dedicò alla predicazione e, apprezzato oratore, fu invitato a pronunciare i suoi sermoni non solo in diverse chiese di Napoli, ma anche a Roma, a dispetto di una salute malcerta sin dalla giovinezza. Alcune delle sue orazioni furono raccolte nelle Prediche panegiriche, pubblicate a Napoli (t. 1, 1636), a Bologna (t. 2, 1646) e a Venezia (tt. 1-2, 1648) e dedicate – come gran parte delle sue opere – al cardinale Francesco Barberini.
Le prediche esaltano la fede e le opere di santi della Chiesa cattolica, come Antonio da Padova, Ignazio di Loyola, Luigi Gonzaga, Francesco Saverio. La prima delle prediche, recitata a Napoli nella chiesa degli Scalzi nel 1614 in occasione della beatificazione di Teresa d’Ávila e pubblicata in quello stesso anno, fu criticata da Bellarmino in una lettera per l’eccesso di affettazione (Bartoli, 1678, I, p. 56). Le successive presentano, infatti, uno stile generalmente più misurato, e meno esibito è il tentativo di conquistare l’uditorio con una retorica suadente.
Fu membro della più prestigiosa tra le accademie napoletane del XVII secolo, quella degli Oziosi, promossa da Giambattista Manso nel 1611. Dotato di vasta erudizione, si confrontò nelle sue opere con uno spettro alquanto ampio di discipline e di temi, dalla teologia alle scienze della Terra, dalla morale alla poesia. Il volume che gli diede notorietà presso il pubblico dei dotti fu il De Vesuviano incendio nuntius, stampato a Napoli da Egidio Longo nel 1632 in 4° e nel 1633 in 8°; altre edizioni furono pubblicate a Lovanio nel 1639 e a Roma nel 1644 e nel 1670.
Il volume descrive gli effetti della disastrosa eruzione vesuviana iniziata il 15 dicembre 1631, dopo un lungo periodo di quiescenza del vulcano. La prima parte del trattato descrive i fenomeni osservati e i loro effetti sulla popolazione, con notazioni sui comportamenti umani distaccate e velate talora di humour amaro; la seconda indaga le cause del fenomeno, da un lato rintracciandole in dati naturali, in ossequio alla spiegazione fornita da Aristotele dei fenomeni vulcanici e tellurici, dall’altro rinviando al piano sovrannaturale, alla volontà divina. Rispetto a buona parte della letteratura vesuviana contemporanea, lo scritto del gesuita si distingue per l’acume delle osservazioni, per l’equilibrio tra osservazioni empiriche e rinvio a cause divine e per la vivacità degli episodi narrati.
Tre anni dopo, a riprova del favore incontrato tra i lettori, lo stesso autore ne pubblicò presso il medesimo editore una versione italiana, su esortazione del principe degli Oziosi, con il titolo Avviso dell’incendio del Vesuvio (Napoli 1635). Ad analogo soggetto è consacrato un volume pubblicato qualche anno dopo, De novo in universa Calabria terræmotu (Napoli 1638, per i tipi dello stampatore arcivescovile Francesco Savio), sul sisma che aveva colpito la Calabria quello stesso anno.
Nel corso degli anni Trenta Recupito pianificò la pubblicazione di una summa teologica in dodici tomi, di cui però non pubblicò che i primi due, entrambi con il titolo De Deo Uno e dedicati al pontefice Urbano VIII (t. 1, Roma 1637; t. 2, Napoli 1642). Al 1643 risale la pubblicazione dell’Opusculum de signis prædestinationis et reprobationis et de numero prædestinatorum et reproborum (Napoli 1643), che ebbe riedizioni anche in Francia (Parigi 1664, Lione 1681).
Il trattato si divide in due parti, la prima delle quali illustra in venti capitoli le attitudini che costituiscono segni di salvezza o di dannazione eterna, giacché in vita l’uomo non può avere certezza della propria destinazione ultraterrena; la seconda discute il numero degli eletti e dei reprobi e, prima ancora, la possibilità che questo numero sia fissato da Dio ab origine.
Morì a Napoli l’8 agosto 1647. Diversi storici della Compagnia di Gesù riferiscono che pochi giorni prima di morire completò il manoscritto delle Industrie per fare una buona morte, pubblicato postumo dallo stampatore Camillo Cavallo (Napoli 1647).
Lo scritto, diviso in tre trattati, istruisce il fedele sui passi da compiere per predisporsi all’estremo passaggio, dalla penitenza alla confessione, dall’adempimento dei doveri all’affidamento alla Vergine. Sostenuta da frequenti rinvii alle Scritture, ai Padri e ai Dottori della Chiesa, l’opera risulta di agevole lettura grazie allo stile scorrevole, alla sequenzialità dell’esposizione e alle frequenti citazioni di exempla tratti dalle vite dei santi. Per quasi un secolo ebbe una vasta influenza nell’ambito della letteratura sulla buona morte, come provano le numerose ristampe (Venezia 1659, 1663, 1674, 1683, 1723; Milano 1669, 1687) e le traduzioni in francese (Parigi 1667), spagnolo (Barcellona 1687) e portoghese (Coimbra 1685).
Alcuni bibliografi (Jöcher, 1751, col. 1951; Sommervogel, 1895, col. 1572) affermano che nello stesso anno avrebbe dato alle stampe una raccolta di versi di ispirazione religiosa, Epigrammata de Christo, Beata Vergine et Sanctis, edita da Cavallo, di cui non si hanno però ulteriori conferme.
Fonti e Bibl.: Archivum Romanum Societatis Iesu, Prov. Neap., v. 80, cc. 20, 108; v. 81, cc. 15, 63, 102, 150; v. 82, c. 14; v. 83, c. 13; v. 204: ms. [V. Dente], Storia della Compagnia di Napoli, 1646-1649, c. 55; Schedario unificato, ad vocem.
D. Bartoli, Vita di Roberto cardinal Bellarmino, I-IV, Roma 1678, I, p. 56; II, p. 141; F. Schinosi, Istoria della Compagnia di Giesù, appartenente al Regno di Napoli, I-II, Napoli 1711, II, pp. 257-274, 322; G.A. Patrignani, Menologio di pie memorie d’alcuni religiosi della Compagnia di Gesù, I-IV, Venezia 1730, III, pp. 85-87; G. Cassani, Glorias del segundo siglo de la Compañia de Jesus, I-II, Madrid 1734, II, pp. 48-59; C.G. Jöcher, Allgemeines Gelehrten-Lexicon, I-IV, Leipzig 1751, III, col. 1951; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, VI, Bruxelles-Paris 1895, coll. 1569-1572; X.-M. Le Bachelet, Bellarmin avant son cardinalat, Paris 1911, pp. 384 s.; A. Martinelli, La B.V. Maria vide in terra la Divina Essenza? Dottrina di G.C. R. (1581-1647), Roma 1957; F. Regina, Recupito (G.C.), jésuite, in Dictionnaire de spiritualité, XIII, Paris 1988, coll. 267 s.; L. Polgár, Bibliographie sur l’histoire de la Compagnie de Jésus, I-III, Roma 1990, III, p. 49; P. Scaramella, Le Madonne del Purgatorio, Genova 1991, pp. 23, 260, 263; L’anima in barocco. Testi del Seicento italiano, a cura di C. Ossola, Torino 1995, pp. 261-263; G. De Miranda, Una quiete operosa. Forma e pratiche dell’Accademia degli Oziosi, Napoli 2000, pp. 80, 248, 251; F. Motta, Una teologia politica della Controriforma, Brescia 2005, p. 137; D. Richter, Der Vesuv. Geschichte eines Berges, Berlin 2007, p. 58; J. Everson, The melting pot of science and belief, in Renaissance Studies, XXVI (2012), 5, pp. 691-727; S. Cocco, Watching Vesuvius. A history of science and culture in early modern Italy, Chicago 2013, pp. 64 s., 95-101, 135, 137, 151, 178; L. Gianfrancesco, Vesuvio e società, in Napoli e il Gigante, a cura di R. Casapullo - L. Gianfrancesco, Soveria Mannelli 2014, pp. 80 s., 88-90; A. Tortora, L’eruzione vesuviana del 1631, Roma 2014, pp. 82-84, 114, 128.