ROSPIGLIOSI, Giulio Cesare
– Nacque a Roma il 25 novembre 1781 dal principe Giuseppe e da Ottavia Odescalchi.
Apparteneva a una delle principali famiglie aristocratiche romane. Dal 1792 il padre si trasferì definitivamente in Toscana, dove assunse un ruolo di spicco alla corte granducale e nel 1814 divenne plenipotenziario del granduca.
Giulio Cesare si formò nel prestigioso collegio Tolomei di Siena e poi alla Sapienza di Roma, dove approfondì soprattutto lo studio della matematica. Fu inizialmente destinato a prestare servizio, come ufficiale, nell’esercito austriaco, ma nel 1798, dopo la morte dei fratelli maggiori (Clemente, Giustino, Pomponio e Camillo), il padre decise di tenerlo in Toscana, presso la corte granducale, affinché divenisse l’erede designato alla continuazione della casata.
Nel 1803 assunse il titolo di duca di Zagarolo e sposò Margherita Gioeni Colonna, primogenita di Filippo Colonna, conestabile del Regno di Napoli, e di Caterina di Savoia-Carignano, che gli portò una rilevante dote di 70.000 scudi. La coppia ebbe numerosi figli, diversi dei quali premorti ai genitori.
Fra i sopravvissuti si segnalarono Clemente, nato il 15 giugno 1823, che assunse il titolo di duca di Zagarolo, e Francesco, nato il 2 marzo 1828, che assunse il titolo di principe di Gallicano e che, nel 1871, fu il primo sindaco di Roma dopo la fine dello Stato pontificio.
Con la caduta dell’Impero napoleonico e la Restaurazione, Rospigliosi ricoprì diverse cariche sia a corte sia nell’apparato statale pontificio. Il 1° settembre 1815 Pio VII lo nominò comandante della truppa civica e, in dicembre, cameriere segreto soprannumerario.
All’inizio degli anni Trenta gli incroci ereditari resero Rospigliosi uno dei più prestigiosi membri dell’aristocrazia romana, dandogli un rilievo che andava al di là dello Stato pontificio. Alla base della sua consistente fortuna era un’antica disposizione del cardinale Lazzaro Pallavicini, il quale nel 1680 aveva stabilito che i beni della primogenitura Rospigliosi-Pallavicini – assegnati alla nipote Maria Camilla e al di lei marito Giovan Battista Rospigliosi – fossero mantenuti uniti nel caso in cui delle due famiglie esistesse un’unica linea maschile, salvo poi eventualmente separarli alla successiva generazione. Fu proprio ciò che accadde nel caso di Giulio Cesare. Infatti, dopo la morte del padre Giuseppe (1833) e dello zio Luigi Pallavicini (1835), egli si trovò unico erede dell’intera primogenitura Rospigliosi-Pallavicini e dei titoli di duca di Zagarolo e di principe di Gallicano.
Divenuto capo di una delle più importanti casate aristocratiche italiane, si impegnò con successo ad accrescere il suo patrimonio personale e familiare, esteso soprattutto nello Stato pontificio e nel Granducato di Toscana. Nel 1834 acquistò dal marchese Leopoldo Carlo Ginori Lisci un palazzo gentilizio in piazza del Carmine a Firenze, e nel corso degli anni Trenta avviò processi di allivellazione dei terreni delle numerose tenute che possedeva nel Lazio, in particolare a Frascati, Colonna e Zagarolo.
Ricoprì inoltre diverse cariche di rilievo municipale, come quella di comandante della guardia civica, dal 1814 al 1833. Nel 1831 rinunciò a diventare presidente della commissione per l’ammortamento del debito pubblico, in quanto contrario alla massiccia vendita di fondi camerali deliberata da Gregorio XVI. Dal 1832 alla morte fu però consigliere della stessa commissione.
Numerosi e cospicui furono anche gli incarichi di corte che gli furono attribuiti: cameriere segreto del papa e ciambellano del granduca di Toscana, fu decorato nel 1831 dell’Ordine di S. Gregorio Magno, istituito da papa Gregorio XVI per premiare le personalità rimastegli fedeli durante la rivoluzione del 1831. Nel complesso, il ruolo di Rospigliosi nella vita politica, alquanto asfittica, dello Stato pontificio fu comunque limitato. Al pari di numerosi altri membri dell’aristocrazia romana egli ostentò una lealtà di principio al Papato, ma si dedicò prevalentemente ad attività affaristiche, sfruttando il credito che gli derivava dal suo patrimonio e dalla sua posizione sociale.
Intensi furono i suoi sforzi per incrementare la produzione agricola, anche attraverso una politica di diversificazione colturale, che gli valsero una medaglia dell’Istituto agrario di Bologna (1828) e la medaglia d’oro della Società romana di agricoltura (1859).
In quanto grande proprietario terriero, fu anche membro dei consigli comunali di Roma, Colonna e Zagarolo. Rospigliosi non fu tuttavia un semplice rentier e imprenditore agricolo, ma si dedicò intensamente anche ad attività di tipo finanziario. Nel 1833 era membro del primo consiglio della Pontificia Società di Assicurazioni, di cui divenne presidente nel 1842. Nel 1836, insieme a Marcantonio e Francesco Borghese, ad Alessandro Torlonia e ad altri esponenti dell’élite romana fu tra i fondatori della Cassa di risparmio, di cui fu presidente dal 1839 al 1844. L’operazione non comportò tuttavia la sottoscrizione di un capitale rilevante, in quanto la Cassa si fondò soprattutto sul credito dei suoi fondatori, che erano i principali proprietari immobiliari di Roma. Per converso, Rospigliosi poté aprire a suo favore diverse linee di credito, che gli servirono per acquisire dalla famiglia Torregiani la tenuta agricola suburbana di Decima. Alcuni anni dopo, nel 1845, fu protagonista, tramite la Banca romana, di un’altra grossa iniziativa speculativa: l’acquisto e la lottizzazione dei cosiddetti beni dell’Appannaggio, ovvero di circa 29.000 ettari di terreni nelle Marche e nell’Umbria che erano stati assegnati dal Congresso di Vienna all’ex viceré d’Italia, Eugenio Beauharnais, e che il papa Gregorio XVI intendeva riacquistare. In seguito, nel 1851, fu nominato presidente della Camera di commercio di Roma.
Nell’ambito delle sue attività economiche Rospigliosi poté valersi di un collaboratore di grande qualità, l’abate Antonio Coppi (1783-1870), erudito, poligrafo ed esperto di agricoltura, che nel 1818 passò dal servizio al principe Filippo Colonna a quello della figlia Margherita Gioeni Colonna Rospigliosi.
Negli anni Quaranta Rospigliosi compì numerosi viaggi in diversi Paesi d’Europa, dalla Francia alla Gran Bretagna e alla Russia, anche allo scopo di perfezionare l’educazione dei suoi figli. Nel maggio del 1844 era a Parigi e fu ricevuto alla corte di Luigi Filippo.
Sul piano culturale, oltre ai suoi interessi archeologici, si segnalò per la precoce passione per la nuova invenzione dei dagherrotipi, condivisa con altri esponenti della nobiltà romana, oltre che per la più scontata partecipazione all’accademia dell’Arcadia – di cui fu membro dal 1833 – e ad altre accademie romane. Non si impegnò, invece, in una significativa committenza artistica, ma semmai promosse un puntuale lavoro di restauro e ammodernamento del palazzo di famiglia alle pendici del Quirinale e degli altri immobili di prestigio di cui disponeva nel Lazio e in Toscana.
Ormai anziano, Rospigliosi ricoprì un ruolo politico di qualche rilievo all’inizio del pontificato di Pio IX. Nel 1847 assunse il comando della guardia civica in una fase di riforme che sembrava preludere a una trasformazione del regime politico dello Stato pontificio. A seguito dell’emanazione dello Statuto da parte del papa e dell’introduzione di un regime rappresentativo, fu nominato membro dell’Alto Consiglio, una sorta di Senato vitalizio.
Nell’ambito di quest’assemblea, Rospigliosi svolse un’attività politica piuttosto consistente, dimostrando una buona conoscenza dei modelli costituzionali degli altri Stati. Oltre a essere membro della commissione per il Regolamento – particolarmente importante in quella fase fondativa – tenne numerosi discorsi, anche per tutelare l’Alto Consiglio dalle ingerenze dell’esecutivo. Fu inoltre relatore di alcuni provvedimenti in materia militare, come quello sulla formazione dell’esercito e quello sull’organizzazione della guardia civica.
Nel complesso, durante il breve esperimento costituzionale di Pio IX, Rospigliosi espresse posizioni di liberalismo moderato, che furono rapidamente superate dagli eventi. Con la fuga del pontefice da Roma e la proclamazione della Repubblica Romana si appartò dalla vita politica, ma non dalle attività di speculazione finanziaria e cercò di evitare che la crisi del governo temporale dei papi travolgesse i suoi interessi nella Banca romana. Assecondò successivamente la restaurazione del sovrano pontefice, assumendo alcuni ruoli politico-amministrativi, come quello di consultore della Presidenza di Roma e Comarca (1856), l’organo che sovraintendeva alla provincia di Roma. Anche in quel periodo, però, Rospigliosi non assunse posizioni politicamente marcate, essendo consapevole della fragilità delle basi dello Stato pontificio.
Morì a Roma il 9 aprile 1859, dopo una breve malattia, conseguenza di un incidente con un carro che gli aveva procurato lesioni interne.
Fonti e Bibl.: L’archivio della famiglia Rospigliosi Pallavicini è conservato a Roma presso l’Archivio segreto Vaticano. Inoltre: Le Assemblee del Risorgimento. Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei deputati, II, Roma 1911, pp. 297, 305 s., 309, 312, 316, 326-328, 341, 345, 348, 352, 362, 368, 381, 384, 392-395, 403, 407, 412, 415, 419, 423, 432, 438, 443, 446, 452-456, 459, 462, 464 s., 511, 516, 521 s.; N. Roncalli, Cronaca di Roma, I, (1844-1848), a cura di M.L. Trebiliani, Roma 1972, ad ind.; III (1852-1858), a cura di D.M. Bruni, Roma 2006, ad ind.; IV (1859-1861), a cura di D.M. Bruni, Roma 2009, ad indicem.
Cenni biografici del principe d. G.C. R.-Pallavicini, Roma 1859; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, p. 799; C. Nardi, Note d’archivio su don G.C. R. Pallavicini, in Lunario Romano. Ottocento nel Lazio, a cura di R. Lefevre, Roma 1982, pp. 319-330; S. Pagano, Archivi di famiglie romane e non romane nell’Archivio Segreto Vaticano: una indagine sull’azienda famiglia, in Roma moderna e contemporanea, I (1993), 3, pp. 185-231 (in partic. pp. 215-217); G. Nenci, Nella dissoluzione della rete aristocratica. I Rospigliosi di Roma, in Proposte e ricerche, 1998, vol. 41, pp. 87-110; R. D’Errico, Una gestione bancaria ottocentesca. La Cassa di Risparmio di Roma dal 1836 al 1890, Napoli 1999, ad ind.; G. Nenci, Aristocrazia romana tra ’800 e ’900. I Rospigliosi, Ancona 2004.