ZACCONI, Giulio Cesare (in religione Lodovico). – Nacque a Pesaro l’11 giugno 1555, figlio di Matteo e di Margherita, e fu battezzato l’indomani come Giulio Cesare. Secondo quanto si apprende dalla sua Vita (a cura di F. Sulpizi, 2005)
, fonte principale per la ricostruzione della biografia.
Rimasto orfano in tenera età, fu cresciuto dallo zio Orazio. Nel 1563 fu mandato a Roma da un altro zio, maniscalco presso il «cardinale San Giorgio vecchio di quel tempo» (Vita, cit., p. 58; con probabile riferimento a Giovanni Antonio Serbelloni, diacono di S. Giorgio in Velabro), per farlo assumere come paggio presso qualche porporato; ma le disposizioni di Pio V (diciotto anni l’età minima per tale ruolo) vanificarono il proposito. Dopo due anni, avendo egli più volte manifestato l’intenzione di diventare frate agostiniano, fu rimandato a Pesaro, ma il trasferimento nella città natale ne rafforzò la vocazione, e il 25 agosto 1568 entrò come novizio nel convento di S. Agostino mutando il nome in Lodovico. Nei quattro anni di noviziato, oltre che nella grammatica e nella scrittura, ebbe la prima istruzione nel canto piano; per il canto figurato, impiegato assai sporadicamente nel coro del convento, ebbe solo scarsi rudimenti, e alla fine del noviziato non era in grado di cantare nemmeno un semplice falso bordone del maestro Paolo da Pesaro (Paolo Luchini?). La mortificazione subita dal maestro, che gli predisse un futuro da cuoco, lo spinse a esercitarsi di continuo fino a raggiungere un livello soddisfacente. Analoghe umiliazioni lo indussero a rafforzare gli studi delle lettere e del latino. Sempre negli anni successivi al noviziato, grazie all’iniziativa del padre Francesco Fossa da Fossombrone, confessore della duchessa Vittoria Farnese (consorte di Guidubaldo II Della Rovere), ebbe la prima istruzione all’organo.
Il 16 gennaio 1575 venne ordinato sacerdote in deroga alle disposizioni conciliari. Nel 1576, fermatosi a San Severino nelle Marche, continuò la sua formazione di cantore; l’anno seguente, trasferitosi ad Ancona, pensò alla musica come mezzo di sostentamento. Per prima cosa rafforzò l’abilità nel canto figurato eseguendo composizioni particolarmente impervie e complesse come i madrigali di Guglielmo Intrico, priore nel convento anconetano di S. Agostino Vecchio. Nel contempo, per un miglior sostentamento economico, decise di imparare a suonare il cembalo ‘a ballo’ per potersi inserire nelle accademie e nei salotti nobiliari e garantirsi entrate monetarie assai maggiori rispetto al lavoro dell’organista. Per lo stesso motivo studiò anche il liuto, la viola da gamba e cominciò a prendere le prime lezioni di contrappunto.
Nell’ottobre del 1577, accogliendo l’invito del frate pesarese Girolamo Buratelli e dopo molte insistenze presso i superiori, si trasferì a Venezia nel convento agostiniano di S. Stefano nell’intento di perfezionare la propria preparazione musicale nonché di riprendere in modo più sistematico gli studi letterari. Il coro del convento era diretto da Ippolito Baccusi, che lo accolse come tenore e come allievo, insegnandogli l’arte del ‘cantar di gorgia’ (ovvero il canto di agilità). Fu anche accettato da Andrea Gabrieli come studente di contrappunto ed entrò in contatto con le maggiori personalità della città quali Claudio Merulo (che gli procurò un allievo) e Giovanni Gabrieli.
A Venezia rimase per sei anni, continuando anche gli studi letterari e teologici; ma l’ennesima umiliazione subita da un predicatore agostiniano lo spinse a trasferirsi a Pavia nel 1583 per iscriversi al cursorato e migliorare infine la propria preparazione, in modo da ottenere il baccellierato. La residenza pavese fu nel convento aggregato alla basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro, dove sono conservate le spoglie di s. Agostino.
Dopo un primo momento in cui aveva trascurato la pratica musicale, cominciò a studiare il contrappunto improvvisato; volendo perfezionare quest’arte, il cui dominio gli avrebbe potuto garantire proventi adeguati, si trasferì a Mantova per studiarla sotto la guida di Baccusi, divenuto nel frattempo maestro di cappella nel duomo cittadino. Lo scopo era tornare a Venezia e diventare cantore in S. Marco; tentò l’ammissione nel 1584, la prova fu apprezzata, ma a causa dell’atteggiamento ambiguo di Gioseffo Zarlino, dopo molti mesi di attesa e nonostante le forti raccomandazioni (come quella della sorella del defunto doge Sebastiano Venier), non ottenne l’incarico. Nello stesso frangente gli venne proposta l’assunzione come cantore a Graz, alla corte dell’arciduca Carlo II d’Austria, a suo dire per interessamento diretto del maestro di cappella; l’impiego ebbe inizio il 10 luglio 1585 con lo stipendio mensile di 8 fiorini decorrente dal 1° aprile a titolo di rimborso delle spese di viaggio sostenute. Nei mesi precedenti la partenza volle trasferirsi a Padova per riprendere gli studi teologici e, soprattutto, ottenere la licenza di predicatore, carriera che iniziò subito a Boara, sull’Adige, verso Rovigo.
A Graz la cappella musicale era richiesta solo per i vespri del sabato, le domeniche e le feste principali dell’anno (vigilie comprese), sicché Zacconi poté impiegare il molto tempo residuo per continuare in maniera più sistematica gli studi di teologia presso il collegio dei gesuiti, studi che coltivò per tutto il periodo trascorso a corte. Questa occupazione lo fece entrare nelle grazie dell’arciduca; spesso lo chiamò per cantare l’epistola alla messa solenne insieme ai cappellani, e in due occasioni lo volle tra i musici che lo accompagnarono a Vienna per i bagni termali. Qui ebbe modo di cantar messa al cospetto dell’arciduca Mattia d’Asburgo (poi imperatore nel 1612, ma già nel 1593 reggente). Grazie alla benevolenza dell’arciduca, riuscì anche a far assegnare la chiesa di S. Paolo agli agostiniani, l’Ordine non avendo una sede a Graz.
In questo periodo poté approfondire anche gli aspetti teorici dell’arte musicale; lo studio della messa L’homme armé di Pierluigi da Palestrina e dei suoi artifici mensurali, che volle discutere anche con musicisti di corte (come l’organista Francesco Rovigo), pose le basi per una prima riflessione sulla teoria della musica e stimolò il desiderio di scrivere un trattato: impresa cui si accinse in Graz e che ultimò in anni successivi.
Alla morte di Carlo, nel 1590, la corte fu licenziata; Zacconi venne invitato a recarsi a Praga dall’imperatore Rodolfo II, la cui cappella musicale era retta da Filippo di Monte, ma optò per la corte del duca Guglielmo V di Baviera, a Monaco, dove venne accettato come tenore tra i cantori della cappella, retta da Orlando di Lasso. Con quest’ultima e con il bergamasco Antonio Morari, che della cappella era il Konzertmeister (ossia responsabile della musica instrumentale), entrò subito in grande cordialità, e godette della stima di entrambi.
A Monaco ebbe alcune traversie, come il tentativo del conte Eitel Federico IV di Hohenzollern di trattenerlo al suo servizio, e vi furono dei dissapori con qualche confratello del convento agostiniano in cui risiedeva, soprattutto con un eunuco spagnolo cantore a corte e con il priore: la cosa gli procurò un temporaneo licenziamento. Nondimeno, e nonostante i vari impegni come cantore, assai maggiori rispetto a Graz, dopo varie riscritture riuscì a terminare la stesura del trattato, che intitolò Prattica di musica; volendolo pubblicare, nel 1592 chiese licenza di recarsi a Venezia per prendere accordi con l’editore Girolamo Polo e curare di persona la stampa, che gli costò 246 scudi al netto del privilegio e delle mance.
Su questo trattato aveva investito molto denaro, ma contava di trarne un notevole profitto economico, più che un riconoscimento di carattere professionale; da quanto egli affermò in diversi luoghi della Vita, considerava il suo ruolo di cantore solo un ripiego per campare, trattandosi di un lavoro di basso livello nella gerarchia sociale (soprattutto per questo aveva conseguito il cursorato, la licenza di predicare, e perseverava negli studi teologici). Destinatari privilegiati della Prattica erano i cantori delle cappelle musicali; lo palesano sia l’uso dell’italiano al posto del latino, sia la scelta degli argomenti – la teoria di base; gli elementi della semiografia, anche i più antichi (non per ragioni antiquarie, ma per il corretto deciframento della citata messa L’homme armé, edita nel 1570 ma illeggibile per la maggior parte dei cantori); la giusta maniera di battere il tempo; gli abbellimenti; il sistema sonoro di riferimento – e nel contempo la mancanza di istruzioni riguardanti il contrappunto e il canto fermo. A quest’ultimo aveva dedicato un trattato apposito, le Regole di canto fermo [...] cavate et estratte dale buone regole antiche, scritto negli stessi anni, rimasto però manoscritto, e non pervenuto. Per il contrappunto aveva pensato a un secondo trattato, per il quale aveva cominciato a raccogliere materiale vario; lo iniziò a Monaco, ma lo concluse molto più avanti.
Oltre alle scritture di argomento musicale si cimentò in varie opere letterarie: una serie di rime e di lettere, iniziate quand’era a Graz e andate perdute già ai giorni suoi; Il consorzio peregrino, dialogo allegorico tra Senso e Ragione, scritto per Morari (perduto); il Lavacro di conscienza, un manuale sul giusto modo di prepararsi alla confessione sollecitato da Lasso e Morari; e verosimilmente altre operine di carattere religioso.
La Prattica venne dedicata a Guglielmo V di Baviera; ma l’aver inopportunamente ricordato nella lettera dedicatoria che in origine il destinatario dell’opera sarebbe dovuto essere il compianto arciduca Carlo gli procurò una ricompensa di appena 25 fiorini, con sua cocente delusione. E non fu l’unica: alla morte di Lasso (14 giugno 1594) fece domanda di succedergli in quanto cantore più anziano e di comprovata esperienza anche grazie alla Prattica, ma invano. L’ulteriore mortificazione e la presa del castello di Giavarino (l’attuale Győr) per mano dei turchi lo spinsero a licenziarsi dalla corte bavarese, a rientrare in patria e ad abbandonare definitivamente la professione di cantore, sebbene gli fosse stata prospettata la possibilità di recarsi a Praga alla corte di Rodolfo II.
Partito da Monaco nell’autunno del 1595 con un credito di 64 scudi d’oro (che non riuscì mai a riscuotere), per diversi mesi si fermò in Val di Fiemme per riprendere l’attività di predicatore, soprattutto in avvento e in quaresima; rientrò quindi a Pesaro nell’estate dell’anno dopo. Essendo stato informato che la Prattica giaceva ferma nei magazzini di Polo, si recò a Venezia per ritirare tutte le copie e prendere accordi con Bartolomeo Carampello, che nel 1596 la mise finalmente in vendita con un nuovo frontespizio.
Fermo nel proponimento, per il resto di sua vita si dedicò in toto all’ambito religioso come frate agostiniano, soprattutto come predicatore. Partecipò regolarmente ai capitoli generali, dal 1597 al 1600 fu lettore e predicatore a Genova, nel 1601 vicario generale dell’Ordine a Creta, nel 1602 predicatore a Verona, dopodiché, anche per l’età, pur rimanendo molto attivo, si mosse solo nelle zone vicine al convento di S. Agostino di Pesaro, di cui divenne priore nel 1610. Nel 1612 si ritirò per dedicarsi in esclusiva allo studio; per tale motivo e per diverse altre considerazioni, nel 1616 rifiutò la proposta di assumere il priorato di Monaco e il provincialato della Germania.
L’attività di scrittore fu assai fervida in questi anni; gran parte delle opere sono di carattere religioso, spesso correlate all’attività di predicatore (commenti e riflessioni sulle Sacre Scritture, testi catechetici, compilazioni agiografiche, cronache universali). La maggior parte è rimasta manoscritta, diverse sono perdute, ma di alcune curò la pubblicazione dopo aver rinunciato a qualsiasi carica ed essersi ritirato in convento: il Compendio delle vite di tutti i santi (Venezia 1612), dedicato a Vincenzo Quarini (Querini) arcivescovo di Corfù, attinge abbondantemente da autori quali Iacopo da Varazze, Alonso de Villegas, Gabriele Fiamma e altri ancora; l’Istruzione dei sacerdoti (Venezia 1613), una traduzione del compendio in latino che il padovano Marco Manzonio aveva fatto degli Institutionis sacerdotum libri septem del cardinale gesuita Francisco de Toledo; Il verdeggiante e fiorito prato di varii essempi rappresentanti la divina misericordia ne’ servi suoi, et gran giustizia ne’ peccatori (Venezia 1615), dedicato a Livia Della Rovere, duchessa d’Urbino; Vita e miracoli del glorioso padre S. Nicola da Tolentino (Pesaro 1624); Cronica dell’agostiniana religione (Pesaro 1626), a quanto pare oggi irreperibile.
L’interesse per l’arte musicale persisté anche dopo l’abbandono della professione; in linea con il suo nuovo status si dedicò ai generi più complessi della composizione musicale come i canoni; ne sono testimoni la raccolta di canoni suoi e d’altri autori conservata manoscritta a Pesaro (Biblioteca Oliveriana, ms. 559) e la messa in partitura con relativi commenti dei Canoni et oblighi di cento et dieci sorte sopra l’Ave maris stella di Francesco Soriano e dei Plura modulationum genera quae vulgo contrapuncta appellantur super excelso gregoriano cantu di Fernando de las Infantas. Lo studio delle opere di vari autori, come quelle che raccolse in un trattato perduto, Lo scrigno musicale, gli servì anche per terminare e pubblicare la seconda parte della Prattica di musica (Venezia 1622), dedicata all’arciduchessa Maddalena d’Austria, figlia dell’arciduca Carlo II e granduchessa di Toscana. Il libro tratta quasi soltanto il contrappunto, scritto ma soprattutto improvvisato, ovvero l’arte ch’egli praticava regolarmente quand’era cantore a Graz e a Monaco. Nelle prime righe del trattato l’autore giustificò l’ampio intervallo di tempo intercorso tra le due parti (trent’anni) con un commento che Costanzo Porta avrebbe fatto intorno al 1595 scorrendo il manoscritto della Prattica: «per mille ducati, io non haverei dato fuori i secreti ch’ha dato questo frate» (p. 5). Tra le molte cose degne d’interesse, si segnala la riflessione sulle peculiarità stilistiche dei singoli compositori, introdotta dal ricordo di un dialogo avuto con Zarlino nel 1584 (Prattica, II, pp. 49 s.; cfr. Haar, 1983).
Per tutta la vita, e in misura crescente, Zacconi nutrì un vivo interesse per l’astronomia e soprattutto l’astrologia, presentata come mezzo per spiegare il corso del cielo e della natura; la precisazione era necessaria per evitare problemi di censura con l’Inquisizione, visto che nel 1623 diede alle stampe in Rimini i Pronostici perpetui, con l’astrologiche ricchezze di natura, antologia commentata di scritti di vari autori. Manoscritte rimasero altre due opere sull’argomento, una delle quali costituisce la parte iniziale dell’autobiografia, ovvero il Nascimento del sudetto padre baccelliere Lodovico Zacconi da Pesaro [...] con alcune considerationi astrologiche e naturali, da cui dipendano gl’influssi celesti sopra i corpi humani.
Gli ultimi anni videro anche la stesura della Vita con le cose avvenute al padre baccelliere Lodovico Zacconi da Pesaro, che, pur nella mancante linearità cronologica, costituisce una delle primissime autobiografie organiche compilate da un erudito italiano che fosse anche musicista (cfr. Privitera, 2009). Opera di lettura non sempre scorrevole, contiene gran dovizia di particolari biografici anche gustosi, come le traversie di viaggio o i lenzuoli talmente alti da suscitare la curiosità del marchese Ippolito Della Rovere; è lo specchio di una persona sempre consapevole di sé, dei propri limiti ma anche del proprio valore, come mostrano gli incontri avuti con Massimiliano II di Baviera a Pesaro e con Margherita d’Austria, regina di Spagna e consorte di Filippo III.
Morì il 23 marzo 1627 per un colpo apoplettico mentre predicava nella chiesa di Fiorenzuola di Focara, nei pressi di Pesaro: così secondo un tardo appunto manoscritto aggiunto in calce alla Vita. Venne sepolto nella chiesa di S. Agostino nella città natale.
Fonti e Bibl.: Fonte biografica eminente è la già citata Vita, datata 1625 ma compilata fino al 16 agosto 1626 (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. 563; edizione moderna a cura di F. Sulpizi, San Venanzo 2005). In appendice un elenco dettagliato delle opere, con una breve descrizione, completato nel secolo XVIII da padre Nicola Mazza.
F. Vatielli, Di Lodovico Zacconi: notizie su la vita e le opere, Pesaro 1912; H. Federhofer, Musikpflege und Musiker am Grazer Habsburgerhof..., Mainz 1967, pp. 50, 140 s.; G. Gruber, Lodovico Zacconi als Musiktheoretiker, Wien 1972; J. Haar, A sixteenth-century attempt at music criticism, in Journal of the American musicological society, XXXVI (1983), pp. 191-209; R.I. DeFord, Z.’s theories of tactus and mensuration, in Journal of musicology, XIV (1996), pp. 151-182; P. Sarcina, Tecnica del canto e caratteristiche del ‘cantare cantilene’, villanelle e canzonette nella “Prattica di musica” di Lodovico Zacconi, in Villanella, napolitana, canzonetta. Relazioni tra Gasparo Fiorino, compositori calabresi e scuole italiane del Cinquecento, a cura di M.P. Borsetta - A. Pugliese, Vibo Valentia 1999, pp. 49-58; G. Singer, Zacconi, Lodovico, in The new Grove dictionary of music and musicians, XXVII, London-New York 2001, pp. 707 s.; C. Bettels, Zacconi, Lodovico, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XVII, Kassel 2007, coll. 1286-1288; B.J. Blackburn, Two treasure chests of canonic antiquities: the collections of Hermann Finck and Lodovico Zacconi, in Canons and canonic techniques, 14th-16th centuries, a cura di K. Schiltz - B.J. Blackburn, Leuven 2007, pp. 303-338; L. Wuidar, Canons énigmes et hiéroglyphes musicaux dans l’Italie du 17e siècle, Bruxelles 2008, pp. 181-218; Ead., Un musicista astrologo nell’Italia del Seicento: padre Lodovico Zacconi, in Intersezioni, XXVIII (2008), pp. 5-28; Ead., Musique et astrologie après le Concile de Trente, Brussel-Rome 2008, pp. 126-146; M. Privitera, recensione a L. Zacconi, Vita, in Il Saggiatore musicale, XVI (2009), pp. 129-143; R.E. Murray, Z. as teacher: a pedagogical style in words and deeds, in Music education in the Middle Ages and the Renaissance, a cura di R.E. Murray - S. Forscher Weiss - C.J. Cyrus, Bloomington (Ind.) 2010, pp. 303-323.