GRASSI, Giulio Costantino
Nacque a Genova l'8 ag. 1793 da Carlo Giuseppe e da Laura Bianchi di Lavagna di Castelbianco. Chiamato alle armi nel 1812 come soldato, entrò successivamente, come furiere, tra i riservisti del dipartimento genovese, dove ottenne i gradi di sergente. Trasferito nella giovane guardia imperiale, prese parte alla campagna di Francia col grado di aiutante sottufficiale, fino a quando, a Troyes, una ferita alla gamba destra lo obbligò al congedo. Decise di ricongiungersi al padre, che si era trasferito a Trieste dove fioriva l'attività di assicurazioni marittime, ramo nel quale si era specializzato, diventando agente e liquidatore. Fu quindi questa la strada che imboccò il G., diventato anch'egli, nel 1833, liquidatore patentato e regolatore di avarie.
Erano, questi, anni importanti per lo sviluppo del porto giuliano e delle sue imprese assicurative: nel 1831 erano nate le Assicurazioni generali; nel 1838 sarebbe sorta la Riunione adriatica di sicurtà. Tra queste, proprio nell'agosto 1833, si costituì il Lloyd austriaco. Fu quasi inevitabile, quindi, l'incontro tra il giovane liquidatore e la nuova compagnia: egli divenne di fatto l'animatore e, pur non assumendone mai il titolo, il primo segretario della compagnia (16 maggio 1834). Ideato sul modello dell'analoga compagnia inglese - che si occupava anche di comunicare al mondo commerciale informazioni sicure sul traffico marittimo e sul movimento delle flotte -, il Lloyd austriaco di Trieste aprì nel 1836 una seconda sezione, dedicata alla navigazione a vapore con i porti austriaci dell'Adriatico, con Costantinopoli e il Levante.
In breve il G. diventò una delle personalità più in vista del mondo commerciale triestino. Il suo nome, tra il 1834 e il 1848, si ritrova un po' ovunque, e non solo nei "Processi verbali" della Compagnia delle assicurazioni marittime: fece parte, infatti, dei consultori di Borsa, della commissione dei lavoratori del porto, nonché di quella che studiava il nuovo codice marittimo; nel 1842 entrò tra i direttori dell'Istituto generale dei poveri e dei commissari preposti a esaminare il progetto di convenzione marittima tra Trieste e il Regno delle Due Sicilie, rivelando particolare acume giuridico. Il 23 ag. 1844, alla fine del terzo mandato triennale del concordato tra le compagnie triestine, fu incaricato di tenere un breve discorso al congresso delle compagnie di assicurazione marittima, per dimostrare l'utilità dell'unione e ottenere in tal modo il rinnovo dell'accordo. E quando, all'inizio del settembre 1844, l'imperatore Ferdinando e sua moglie visitarono Trieste, fu proprio il G. a presentare loro, al momento dell'imbarco, una delegazione di capitani marittimi. Ma, come avrebbero dimostrato le vicende del '48, le sue simpatie erano distanti dall'Austria e dagli Asburgo.
Trieste non rappresentava, allora, solo il porto più importante dell'Impero asburgico, ma anche la città in cui avevano trovato asilo, paradossalmente, esponenti illustri dell'età napoleonica, al punto - raccontava lo stesso G. - che non era raro, al tramonto, veder passeggiare sull'allora molo S. Carlo (oggi Audace) o sulle rive, mescolati ai triestini, membri dell'ex famiglia imperiale come Elisa Baciocchi, Carolina Murat o Girolamo Bonaparte. Il cosmopolitismo insito nel costume della città (nel 1843 il governatore F.S. Stadion rilevava, non senza irritazione, come nel Consiglio ferdinandeo, sorta di assise comunale, ben undici membri su quaranta non avessero la cittadinanza dell'Impero) aveva lasciato spazio a una certa libertà anche in campo giuridico ed economico, ma era stato d'ostacolo alla manifestazione di un sentimento nazionale, ritardandone la diffusione rispetto alle altre città della penisola. A Trieste si trovava allora anche l'ammiraglio Francesco Bandiera, padre di Attilio ed Emilio, intimo della famiglia del G. al punto da diventare padrino di Marianna Francesca Alessandrina (detta Fanny), quarta figlia del G. e di Giovanna Lugnani (1800-59), nobile di Capodistria, che il G. aveva sposato il 20 maggio 1824. È probabile che la frequentazione affettiva e la vicinanza emotiva al dramma della famiglia Bandiera, nel frattempo ritornata a Venezia, abbia inciso notevolmente nella costruzione di un'identità italiana nel G. e nelle sue figlie. Proprio costoro (Laura, Vittoria, Paolina e, appunto, Fanny, comprese tra un'età di 15 e 23 anni) si resero protagoniste di un celebre episodio, inalberando il tricolore, il 16 febbr. 1848, nel corso di una recita per beneficenza messa in scena al Gran Teatro dalla amatoriale Società filarmonica drammatica. Dopo l'invito della polizia a non dar seguito al proposito, sfoggiarono una coccarda gialla con i colori di Pio IX.
Alla notizia dei moti viennesi anche Trieste insorse: il 17 marzo 1848 fu creata la guardia nazionale, sulla scorta di quanto previsto dalla costituzione concessa dall'imperatore, un corpo di oltre 2000 uomini, in cui il G., qualificato "assicuratore", fu posto a capo provvisorio della guardia civica dal 20 al 26 marzo 1848, per assicurare l'ordine. In una lettera a M. d'Azeglio del 30 genn. 1850, il G. confermò come, di fronte al fermento popolare, fosse stato autorizzato dal presidente del Consiglio comunale G. Tommasini a formare una guardia nazionale. In poche ore riunì circa 800 uomini tra proprietari, negozianti e operai, ai quali vennero consegnate le armi messe a disposizione dal governo nell'Arsenale.
Nell'interpretazione delle autorità asburgiche, i fatti ricevettero un'altra lettura, secondo la quale il G. fu tra i capi dell'Unione italiana: come altrimenti si spiegava - si chiesero le autorità austriache - l'attenzione verso l'ordine pubblico da parte di uno straniero, addirittura più marcata di quella degli stessi sudditi? Altri episodi successivi - come l'invito a sbarcare e tentare di impadronirsi della città, rivolto nottetempo al contrammiraglio G. Albini, comandante della flotta sardo-napoletana giunta a Barcola il 23 marzo, o la presunta, ma dal G. negata, ostentazione del tricolore italiano dalle sue finestre, nella centrale piazza Ponterosso - comprovano che, non solo il G. fosse, da genovese, cittadino sabaudo, ma che era ormai reputato unanimemente un militante della causa italiana.
In effetti tale concezione trova riscontro nella nomina ricevuta dal G., al rientro della normalità, di console a Trieste del Regno di Sardegna, incarico che non venne mai ratificato perché l'Austria negò l'exequatur, obbligando il G. e la sua famiglia, già provata dalla morte della primogenita Laura (nell'epidemia di colera dell'autunno 1849), a lasciare Trieste, l'11 marzo 1850. Rientrò così a Genova, dopo trentasei anni, per assumere l'incarico di controllore dell'Agenzia dei consolati. Cinque anni più tardi, chiusa l'agenzia genovese, l'8 nov. 1855 il G. fu nominato console sardo a Sète (allora Cette), in Francia, il secondo porto del golfo del Leone dopo Marsiglia.
Le note diplomatiche confermano come l'attenzione e lo spirito dell'uomo di diritto e del vecchio assicuratore non si fossero assopiti. Nei dispacci che egli inviò dapprima a Torino, poi a Firenze e Roma, il G. non registrò solo il freddo andirivieni dei bastimenti, dando notizie statistiche sul loro movimento, ma poggiò più criticamente le sue attenzioni sui prodotti della Linguadoca, in particolare quelli che interessavano da vicino le esportazioni verso l'Italia: vino, olive e sale.
Descrisse così un commercio fiorente, che però soffriva di improvvise e profonde crisi, anche per effetto degli eventi di paesi lontani, come la "guerra disastrosa degli Stati Uniti d'America" (Bollettino consolare, II [1863], p. 269) e che poteva registrare un calo nei noli italiani per "il cattivo stato di certi bastimenti che portarono assai male i loro carichi", soprattutto nel traffico di zolfo: ne conseguivano il forte aumento delle spese di avarie e la marcata ritrosia da parte degli assicuratori "nell'assumere i rischi su quei bastimenti", facendo lievitare "per essi sensibilmente il premio di sicurtà", con l'effetto di incentivare i noli locali, più cari ma più sicuri (ibid., II [1865], pp. 1011-1013). Altro oggetto d'attenzione era la colonia italiana, la cui altalenante presenza a Sète era la diretta conseguenza, oltre che del colera (ibid., III [1867], p. 687), del migliore o peggiore stato dei commerci o della pesca delle sardelle e delle acciughe fatta dai rivieraschi liguri (ibid., IX [1872], pp. 354-357).
L'importanza dello scalo venne confermata, nell'estate 1871, quando il giovane principe Umberto di Savoia vi fece tappa, sulla via di Madrid, dove regnava il fratello Amedeo, ospite del G. e del genero Barthélemy Valéry. I rapporti parentali del G. diedero luogo, infatti, ad altre fortune, incardinate ancora attorno a Fanny, la figlioccia dell'ammiraglio Bandiera. Delle tre figlie rimastegli, solo Fanny aveva seguito il padre, rimasto vedovo proprio a Sète. Qui la ragazza si legò a uno dei personaggi più in vista del luogo, il controllore generale delle dogane Barthélemy Valéry, corso di Bastia. Il matrimonio di Fanny (27 nov. 1861) portò due nipoti al vecchio diplomatico: Jules (1863-1938), noto giurista e docente all'Università di Montpellier, e il celebre poeta Paul (1871-1945).
Il G. morì a Sète l'11 ag. 1874, console del Regno d'Italia in carica, cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro, della Corona d'Italia, della Legion d'onore, di S. Gregorio, dello Speron d'oro, nonché insignito della medaglia di S. Elena, in ricordo del servizio prestato nell'armata napoleonica e, infine, dell'Unità d'Italia.
Fonti e Bibl.: I documenti relativi al consolato sabaudo a Trieste, alla vicenda del mancato exequatur, conservati, dopo la chiusura del consolato francese a Trieste, negli archivi parigini del Ministère des Affaires étrangères, o all'Archivio di Stato di Torino, sono citati da R. Dollot, Un précurseur de l'Unité italienne: l'aïeul de Paul Valéry, G. G. (1793-1874), in Études italiennes, n.s., I (1931), pp. 152-168, 229-243; II (1932), pp. 18-27; Id., Ricordi italiani: Gabriele D'Annunzio e Paul Valéry, con uno studio su G. G., avo materno di Paul Valéry, Trieste 1952, pp. 122-181; Id., Trieste et la France (1702-1958). Histoire d'un consulat, Paris 1961, pp. 200-202. Sull'episodio del Gran Teatro, oltre ai riferimenti di Dollot, cfr. A. Tamaro, Storia di Trieste, II, Roma 1924, pp. 320 s. Sulla forzata partenza da Trieste, cfr. la memoria del G. in Corriere di Gorizia, 13 ag. 1850, e Corriere mercantile (Genova), 24 ag. 1850; sull'attività diplomatica, La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915), Lecce-Roma 1987, p. 376 (con bibl. degli scritti del G.).