DEL MORO (Dal Moro, Moro), Giulio
Figlio ultimogenito del pittore Battista D'Angolo detto del Moro e di Margherita figlia del pittore Francesco India, detto il Torbido o il Moro, stando all'anagrafe veronese di S. Giovanni in Valle del 1557 c., dove è indicato di anni due (Gerola, 1910, p. 156), nacque a Verona verso il 1555. Pittore e scultore anch'egli, quando firmava le opere usò il soprannome derivato al padre dal suocero e diventato, quindi, un vero e proprio cognome per tutta la famiglia.
A ricordato coi fratelli Marco e Ciro, anch'essi pittori, nel testamento veneziano di Battista del 1573 (Ludwig, 1911, pp.117 s.), nonché, l'anno seguente, in alcuni atti notarili veronesi riguardanti in pratica l'attuazione di alcune disposizioni testamentarie del padre, in cui è un riferimento al fatto che viveva a Venezia (Brenzoni, 1972, p. 123). Tuttavia, risulta iscritto alla fraglia dei pittori solo a partire dal 1584, e fino al 1615 (Favaro, 1975, p. 148). Nel 1584 (Gerola, 1910, p. 152) era in lite coi fratelli a proposito di un debito degli eredi di Camillo Ridolfi, citato anche nei documenti veronesi del 1574: evidentemente restavano ancora da definire alcuni particolari relativi all'eredità paterna.
Nel 1586, in un raro opuscolo stampato a Verona, A. Grandi ricordava un ritratto eseguito dal D.: a giudicare dall'interesse che mostrava nelle sue tele per gli inserti ritrattistici, questo dovette essere un campo della sua attività non trascurabile. Entro il 1587 (Bardi) partecipò con alcune tele celebrative ai cicli pittorici delle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio in palazzo ducale a Venezia, riarredate dopo l'incendio del 1577. Conosciamo altre date relative alla sua operosità a Venezia: nel 1598 firmò e datò una delle due perdute tele nella cappella della Pace ai Ss. Giovanni e Paolo, mentre l'altare che ospitava la pala firmata col Martirio di s. Fosca nella chiesa omonima a Torcello era datato 1608.
Altre datazioni, relative alla sua partecipazione alla decorazione plastica di alcuni monumenti funebri ancora nelle chiese veneziane, sono per approssimazione ricavabili dalle date di morte dei defunti cui sono dedicati i monumenti. Nel 1613-1614 venne pagato per stucchi e pitture eseguiti in un andito nei pressi degli appartamenti del doge a palazzo ducale (Ludwig, 1911, pp.117 ss.), mentre le statue sulla facciata di S. Giorgio Maggiore sono documentate 1618 (Cicogna, 1834, p. 354). È l'ultima data che si conosca per questo artista, che già nel 1615 scompare dagli elenchi nei libri della fraglia dei pittori (Favaro, 1975).
Il D. è un artista ancora tutto da studiare, essendo stato considerato soltanto all'interno di un discorso generale sull'ambiente veneziano dell'epoca, tra i minori che in pittura affiancavano più o meno autonomamente Palma il Giovane e gli altri pittori delle "Sette Maniere" di boschiniana memoria. Evidentemente attratto a Venezia dalle possibilità di lavoro che offriva quella città, qui, a giudicare dalle opere, dovette rieducarsi artisticamente in senso lagunare anche se si formò senz'altro nella bottega del padre a Verona, quindi in un altro ambito di gusto.
Unica traccia per saldare in qualche modo la sua figura con la pittura paterna sembrano essere le quattro tele, malamente riferite a Battista, ora all'Accademia di Venezia (cfr. Moschini Marconi, 1962): in particolare il Reclutamento degli equipaggi, ora in deposito al Museo storico navale, sembra mostrare un ricordo del manierismo del padre nel telamone che al centro separa la scena del reclutamento dalla visione della riva degli Schiavoni e che rimanda alle cariatidi monocrome di Battista a villa Godi; i ritratti dei tre magistrati in carica tra il 1570 e il 1572 (per ribadire la non appartenenza della tela a Battista si pensi alle sue ultime prove appunto coeve), nonché il soldato reclutato al centro, che nella sua capziosità manieristica crea un curioso contrasto coi tre ritratti naturalisticamente intesi, rimandano subito al ritratto e ai soldati, ancora con qualche eco salviatesca, dell'Ecce Homo di S. Giacomo dall'Orio.
Fondamentali sono i già citati dipinti del D. nelle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio a palazzo ducale, dove lavorava a fianco non solo dei tintoretteschi ma anche di altri artisti veronesi come Paolo Caliari e bottega, il Montemazzano, Cristoforo Sorte, ideatore dei sontuosi soffitti intagliati: eseguì L'incontro a Roma del doge Ziani con il papa Alessandro III nella sala del Maggior Consiglio, nonché La presa di Caffa e Il doge Dandolo ricusa la corona d'Oriente, questo a chiaroscuro, sul soffitto della sala dello Scrutinio (dove il Moschini [1815, 1, pp. 473, 475] gli attribuiva anche, sempre a chiaroscuro, Ildoge Michiel ricusa il dominio della Sicilia, due volte ridipinto dal Bambini, e due comparti minori con trofei militari). Il farraginoso Incontro a Roma tra il doge e il papa, cui bene si addice il non grato giudizio del Moschini (1815, II, p.609: "come pittore per lo più lo troverai debole del colorito; è svelto, ma sparpagliato nelle figure, e nelle teste mal graziato; e rigido anziché no ebbe il pennello"), più che Palma il Giovane ricorda il neoveronesismo di un Andrea Vicentino o di un Camillo Ballini: molte sono le affinità di gusto anche con l'eclettismo di Dario Varotari.
Più vicina agli schemi del palmismo è invece l'affollatissima Presa di Caffa, dall'ardito sotto in su, dove il D. domina con maggior padronanza il concitato movimento delle masse: le fitte lumeggiature sulle vesti richiamano da vicino il luminismo di superficie dell'Aliense. "Bella e copiosa" (Zanetti, 1771, p. 289) è l'Ultima cena, firmata, di S. Maria Zobenigo, ben calibrata dall'inquadratura prospettica inscenata un po' alla" Heredes Pauli". Firmata è infine la lunetta con l'Ecce Homo nella cappella del Santissimo a S. Giacomo dall'Orio (la cui decorazione dovrebbe collocarsi tra il 1598 e il 1604: cfr. Niero, 1979), definita da Venturi (1934, pp. 58 s.) "altra uggiosa accademia": il cromatismo dominato dai grigi, dagli azzurri e dai bruni con qualche nota di rosso rimanda al Palma e al Peranda ma è poco luminoso, opaco.
Il D. appare un eclettico, pronto ad adottare schemi ora tintoretteschi ora veronesiani a seconda della loro funzionalità al problema figurativo da risolvere: certo sarebbe precoce tentare, data la scarsità di opere note, una maggiore puntualizzazione. In ogni caso non gli hanno giovato alcuni errori in cui è incorsa la critica, come la confusione del Venturi, a livello sia di testo sia di foto, tra il telero suo e quello del Gambarato (sempre nella sala del Maggior Consiglio), di soggetto simile ma ambientato ad Ancona, o come quella analoga di D. Bjurstróm (Disegni veneti del Museo di Stoccolma, Vicenza 1974, p. 48), che gli ha attribuito un disegno che è evidentemente preparatorio per il telero del Gambarato. Se poi gli togliamo anche un disegno come Diana ed Endimione del Louvre, tradizionalmente attribuitogli ma che il Ballarin (1971, pp. 114 s.) ha giustamente rivendicato al fratello Marco, del tutto incerta rimane anche la nostra conoscenza del suo stile grafico, ora come ora basata su un solo disegno sicuro, quello degli Uffizi, preparatorio per il telero nella sala del Maggior Consiglio.
Resta da dire delle altre attività del D. che a S. Salvador firmava la statua marmorea del Redentore sul monumento al procuratore Andrea Dolfin (morto nel 1602) "Iulius Maurus Veronensis / sculptor, pictor et / architectus F.": evidentemente, anche se non abbiamo ulteriori elementi a questo proposito, dobbiamo credere che, come tanti altri artisti del suo tempo, fosse pratico anche di architettura, svolgendo una sua attività almeno nel campo della progettazione di monumentali altari o, come in questo caso, di monumenti funebri.
In quanto alla sua attività di scultore, numerose sono le sue opere molto spesso firmate o siglate, ancor oggi nelle chiese veneziane: sul già citato monumento Dolfin a S. Salvador sono sue anche le statue di S. Andrea e S. Benedetto (entrambe firmate), nonché i due angeli sul timpano, stilisticamente omogenei. Sempre a S. Salvador gli spettano due statue marmoree firmate sul monumento Priuli, S. Lorenzo e S. Girolamo;altre opere sono a S. Giuseppe di Castello, a S. Felice, a S. Stefano (varie sculture in marmo e bronzo provenienti dalla chiesa soppressa di S. Angelo), ai Carmini, a S. Giorgio Maggiore, ecc. Infine vanno ricordate la Segretezza, la Fedeltà e la Diligenza, collocate su una porta della sala delle quattro porte in palazzo ducale, nonché la statua firmata della Madonna col Bambino in una nicchia della loggia pubblica di Rovigo.
Il Selvatico (1847, p. 404) lo dice "discepolo del Campagna": evidentemente gli schemi cui il D. si dimostra legato sono quelli del Vittoria e, appunto, del Campagna. Le sue sono figure di gusto tipicamente tardomanierista, avvitate in eleganti torsioni e contrapposti, dai ritmi un po' salviateschi, un po' emiliano-parmensi: colpisce subito la mancanza di caratterizzazione, il gusto per le superfici lisce, sfaccettate, formalmente abbreviate, per un plasticismo astratto e geometrizzante che finisce per svuotare le immagini del loro stesso valore poetico.
È possibile che il D. si sia applicato anche nel campo del bronzetto e dell'oreficeria sacra: i suoi modi e le sue tipologie sono ad esempio riscontrabili nelle parti figurative fuse che ornano un gruppo omogeneo di croci astili, di provenienza veneziana e databili verso la fine del sec. XVI inizi del XVII, conservate nella parrocchiale di Lodrino, Brescia (dat.1606), nel Museo diocesano di Trento, nelle chiese di Perasto e Verbosca in Dalmazia (queste già attribuite, per la parte plastica, a Tiziano Aspetti; Guzzo, 1987). In particolare i gruppi della Madonna col Bambino in braccio sui versi delle croci citate ricordano, per struttura e tipologia, esempi del D. come. la ricordata scultura di Rovigo. Probabilmente, più che essere stato orafo, il D. collaborava con orefici veneziani del tempo, fornendo loro piccoli bronzetti, o almeno i loro modelli.
Fonti e Bibl.: A. Grandi, Al signor G. D. sopra un ritratto fatto di sua mano, Verona 1586; G. Bardi, Dichiaratione di tutte le istorie ... nelle sale dello Scrutinio e del Gran Consiglio, Venetia 1587, pp. 24, 31; C. Ridolfi, Le meraviglie dell'arte [1648], a cura di D. von Hadein, I, Berlin 1914, p. 405; II, ibid. 1924, p. 121 n. 1; B. Dal Pozzo, Le vite de' pittori, degli scultori et archit. veronesi, Verona 1718, p. 70; G. B. Cignaroli, Serie de' pittori veronesi..., in G. B. Biancolini, Cronica della città di Verona..., II, 2, Verona 1749, pp. 202, 236; A.M. Zanetti, Della pittura venez. e delle opere pubbliche de' veneziani maestri, Venezia 1771, pp. 288 s.; T. Temanza, Vite dei più celebri architetti e scultori venez. che fiorirono nel secolo decimosesto, Venezia 1778, p. 380; F. Bartoli, Pitture, sculture, architetture di Rovigo, Venezia 1793, pp. 23, 86, 133; L. Lanzi, Storia pittor. della Italia [1808], a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 103; G. A. Moschini, Guida per la città di Venezia..., Venezia 1815, 1, pp. 149, 414, 439 s., 472 s., 475, 544 s., 553, 579, 584, 612, 615, 685; II, pp.116, 362, 471, 609; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni venez., IV, Venezia 1834, pp. 270, 354, 402, 404, 522; P. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia..., Venezia 1847, pp. 352, 404-407; C. Bernasconi, Studi sopra la storia della pittura italiana..., Verona 1864, pp. 340 s.; D. Zannandreis, Le vite dei pittori scultori e archit. veronesi, Verona 1891, pp. 136 ss.; G. Gerola, Questioni storiche di arte veronese, 8, Torbido, Moro e Dall'Angolo, in Madonna Verona, IV (1910), 3, pp. 149, 152 s., 156 s.; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Kunst, in Italienische Forschungen..., IV, Berlin 1911, pp. 116-119; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 7, Milano 1934, pp. 58-63; E. Arslan, Appunti su D. Brusasorci e la sua cerchia, in Emporium, LIII (1947), 7-8, p. 28; S. Moschini Marconi, Gallerie dell'Accademia di Venezia, Opere d'arte del sec. XVI, Roma 1962, pp. 5 ss.; A. Niero, La chiesa dei Carmini, Venezia 1965, p.44; C. Donzelli-G. M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp.154 s.; A. Ballarin, Considerazioni su una mostra di disegni veronesi del Cinquecento, in Arte veneta, XXV (1971), p. 118; T. Mullaly, Disegni veronesi del Cinquecento, Vicenza 1971, pp. 89 ss.; R. Brenzoni, Diz. di artisti veneti, Firenze 1972, pp. 121 ss.; E. Favaro, L'arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, pp. 113, 148; A. Niero, Chiesa di S. Stefano in Venezia, Venezia 1978, pp. 30, 37, 39, 74 s., 84; Id., Chiesa di S. Giacomo dall'Orio, Venezia 1979, pp.71-74; R. Piva, in Archit. e utopia nella Venezia del Cinquecento, Milano 1980, scheda n. 63, p. 97; R. Pallucchini, La pittura venez. del Seicento, Milano 1981, p. 54; E. M. Guzzo, La pittura e le arti minori nelle chiese di Lodrino e Invico, in Lodrino in Valtrompia, Brescia 1987, pp. 344 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, I, pp. 520 s. (subvoce Angolo del Moro, Giulio).