FACIBENI, Giulio
Nacque a Galeata (Forlì) il 29 luglio 1884 da famiglia di modeste condizioni, terzo degli undici figli di Giuseppe, calzolaio, e Santa Maltoni. Dopo aver frequentato il ginnasio e il liceo presso il seminario di Faenza, nel 1904 si iscrisse alla facoltà di lettere dell'Istituto di studi superiori di Firenze. Per mantenersi si impiegò come assistente presso il semiconvitto "Cepparello" dei padri scolopi, e nell'ottobre 1906 cominciò ad insegnarvi regolarmente nelle classi del ginnasio inferiore.
Coronata una precoce vocazione religiosa con l'ordinazione sacerdotale il 21 dic. 1907, dal 1908 venne precisando la sua predisposizione all'apostolato giovanile, oltre che nelle scuole degli scolopi, come cappellano nell'Istituto di S. Francesco e S. Maria Maddalena per la rieducazione delle minorenni ed il recupero delle ex carcerate, nelle scuole parrocchiali serali di S. Maria al Pignone e tra gli studenti medi. Nel maggio 1910 fondò il circolo degli studenti secondari cattolici di ispirazione neoguelfa "Italia Nova", cui appartennero molti dei futuri esponenti di spicco del movimento cattolico fiorentino. Nel 1911 lasciò l'insegnamento presso le Scuole pie e divenne assistente della Federazione giovanile diocesana, incarico che mantenne sino al gennaio 1913. Nel luglio 1912 venne incardinato nella diocesi di Firenze. Il 31 ottobre, rinunciando a buone prospettive nell'insegnamento ed alla prossima laurea, obbedì alla volontà dell'arcivescovo A. Mistrangelo che lo assegnava come coadiutore alla pieve di S. Stefano in Pane a Rifredi, nella periferia operaia di Firenze, scossa da forti tensioni sociali e politiche e con un parroco sospeso a divinis perché coinvolto nel fallimento della Cassa del clero. Immediatamente si prodigò nell'organizzazione di associazioni cattoliche, del doposcuola e della scuola serale per operai, e nella pubblicazione, a partire dal 1º maggio 1913, di un bollettino parrocchiale (Boll. parrocchiale della pieve di S. Stefano in Pane). Il 12 dic. 1913 fu nominato pievano. Con lo scoppio della guerra, organizzò l'assistenza alle famiglie dei soldati al fronte, aprendo il 1° giugno 1915 un asilo gratuito per i loro figli. Richiamato anch'egli nel luglio 1916, fu cappellano militare nelle postazioni avanzate sull'altipiano di Asiago, sul fronte dell'Isonzo e sul Grappa, ove si guadagnò la medaglia d'argento rimanendo costantemente sulla linea di fuoco.
L'esperienza della guerra di trincea lo segnò profondamente. Tornato a Rifredi nel febbraio 1919 vittima di un esaurimento nervoso che si trascinerà per anni, fondò l'unione "Salviamo i fanciulli" per l'assistenza agli orfani di guerra e riprese in mano il bollettino parrocchiale mutandone il nome in Voce paterna.
Sempre cosciente del carattere operaio della gente di Rifredi, nel 1921 si fece notare per la solidarietà espressa alla Società di mutuo soccorso, la cui sede era stata incendiata da squadracce fasciste. L'anno seguente medesima sorte toccò al patronato S. Stefano, suscitando una veemente protesta sull'Unità cattolica del 17 ottobre. In una lettera ai parrocchiani dell'aprile dello stesso anno denunciò la disoccupazione, l'umiliazione degli operai e gli egoismi di classe. Si oppose fermamente ai tentativi della Confraternita della Misericordia di assecondare l'opera della propaganda fascista e per tutto il 1922 ebbe rapporti tesissimi col fascio locale. Nell'agosto 1923 commemorò su Voce paterna don G. Minzoni.Era nel frattempo divenuto un personaggio noto negli ambienti cattolici fiorentini: nel direttivo della Unione popolare, assistente dell'Unione donne e dell'Unione reduci, animatore del movimento giovanile e dell'associazione madrine di guerra, unanimemente stimato per lo stile appassionato ed il carisma personale. Agli inizi del 1923 l'unione "Salviamo i fanciulli" si era proposta la costruzione di un asilo, con annesso un "rifugio" nel quale ospitare temporaneamente cinque orfane della parrocchia. La prima pietra fu posata il 21 ottobre. Nel giro di un anno il numero degli orfani assistiti era salito a dodici ed erano state gettate le basi del futuro orfanotrofio. Contemporaneamente si allargavano le iniziative di istruzione popolare promosse dalla pieve. Il 2 nov. 1924 il congresso parrocchiale decise di unificare tutte le opere a carattere sociale, culturale e religioso nella "Piccola Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa", ufficialmente inaugurata due giorni dopo.
Lo sviluppo dell'Opera fu rapidissimo, dai dodici orfani del 1924 agli oltre 1200 del 1949. Criteri di accettazione furono il più grave stato di bisogno e l'impossibilità di pagare una retta, fine dichiarato quello di ricreare un ambiente familiare e dare ai ragazzi un'istruzione ed una qualifica professionale per un dignitoso inserimento nel mondo. Forte di una spiritualità caratterizzata dai temi della paternità e della completa fiducia nella provvidenza, il F. non ritenne mai di dover costruire delle salde basi economiche per la sua Opera, affidandosi all'alea dei lasciti e delle offerte. Si preoccupò invece varie volte di cercare di darle una veste giuridica, per ovviare all'insufficienza del lavoro puramente volontario costituendo una comunità di persone totalmente dedite all'assistenza ed alla vita all'interno dell'Opera.
Nei primi anni Trenta il F. era ormai noto a Firenze come "il padre". Popolarissimo, veniva cercato anche da esponenti della vita intellettuale fiorentina dell'epoca, da G. Papini a P. Bargellini. Nel 1931 fu aperta a Calenzano la prima sede dell'Opera totalmente sganciata dalla casa madre. Presto seguirono San Miniato, Montecatini, Fucecchio, Rovezzano. La stessa zona di Rifredi conobbe un'espansione demografica improvvisa. Nel 1932 divenne arcivescovo di Firenze mons. Elia Dalla Costa. Iniziarono anni di ricorrenti incomprensioni tra il F. e la curia fiorentina, preoccupata delle crescenti dimensioni dell'Opera e della parrocchia e della loro commistione, e sempre più propensa a dar loro definitiva sistemazione separandole. Pur angosciato dal timore di trascurare i suoi doveri di parroco, il F. continuò invece a ritenere l'Opera una creazione della gente di Rifredi, ad essa intimamente legata e da essa mantenuta, rifiutandosi di identificarla con il solo orfanotrofio. Nonostante avesse ottenuto nel 1934 il titolo di cameriere segreto soprannumerario e l'incarico di dirigere il settimanale diocesano Vita parrocchiale, conobbe un periodo di profonda crisi e solitudine.
Le intimidazioni fasciste aumentarono e nel 1938 il F. cercò di salvaguardare l'Opera chiedendone il riconoscimento tra quegli istituti a carattere esclusivamente religioso tutelati dall'art. 31 del concordato. Tra la fine degli anni Trenta ed i primi anni Quaranta fu animatore dell'UNITALSI (Unione nazionale ital. trasporto ammalati a Lourdes e santuari ital.), direttore della "Lega di preghiera e di carità per i carcerati", da lui fondata nel 1938 con F. C. Cowles e padre Naegel, e della sezione fiorentina della ONARMO (Opera naz. assistenza religiosa morale operaia). Il 24 giugno 1942 l'Opera ottenne finalmente il riconoscimento ecclesiastico, cui seguirà nel 1946 quello civile. Durante il periodo bellico fu punto di riferimento per perseguitati di ogni specie.
Nel 1944 il F. manifestò i primi sintomi del morbo di Parkinson, che si aggravò tre anni dopo. Dal 1949 non fu più autosufficiente e nel 1954 una crisi gravissima lo portò quasi alla morte. Il 24 genn. 1955 il card. Dalla Costa lo costrinse a rinunziare alla parrocchia, separandola dall'Opera. Già nominato cittadino benemerito dal sindaco G. La Pira nel 1951, ricevette l'omaggio del presidente della Repubblica G. Gronchi il 29 maggio 1955. Il 21 dic. 1957, in occasione del cinquantesimo anniversario del sacerdozio, l'università di Firenze gli conferì la medaglia d'oro per i suoi meriti nel campo dell'educazione.
Si spense a Firenze il 2 giugno 1958.
La sua vita era stata segnata dalla devozione mariana, ispiratagli dalla formazione di carattere pietistico ricevuta in seminario ed accentuata dall'incontro con la Madonna del Grappa, caricata di simbologie religiose e patriottiche. A ciò si sommava una spiritualità di tipo missionario, che sceglieva ad esempio i santi della carità e della provvidenza: s. Filippo Neri, s. Giuseppe Calasanzio e soprattutto il Cottolengo, alla cui esperienza il F. si sentiva particolarmente vicino. Egli intendeva il sacerdozio come espressione del massimo spirito di sacrificio e del più profondo sentimento di paternità, senza il quale, soleva ripetere, non è possibile essere veri educatori. Altrettanto marcata era la sua vocazione ad "andare verso il popolo" una sensibilità sociale ed una compartecipazione ai problemi delle classi più umili alle quali non erano estranee le sue stesse origini, e che ne fecero un esempio trainante per il cattolicesimo fiorentino del dopoguerra ed un personaggio la cui popolarità superava le barriere ideologiche.
Fonti e Bibl.: La documentazione relativa all'attività del F. è raccolta nell'archivio dell'Opera "Madonnina del Grappa" di Firenze. Sulle sue concezioni pedagogiche sono significativi, per le evidenti trasparenze autobiografiche, i profili del padre G. Giovannozzi e di Giovanni Bosco tracciati in G. Giovannozzi, Lettere, a cura di G. Facibeni, Firenze 1934; G. Facibeni, S. Giovanni Bosco, in Santi italiani, a cura di I. De Blasi, Firenze 1947. Una sorta di autobiografia interiore emerge da G. Facibeni, Scritti, a cura di L. A. Torniai, Firenze 1960. La vastissima produzione epistolare è interamente raccolta in G. Facibeni, Lettere, a cura di S. Nistri-F. Righini, Firenze 1979. Per un profilo biografico vedi D. Mondrone, Piccola storia di un prete: don G. F., in La Civiltà cattolica, CIX (1958), 2, pp. 585-599; Id., "Andiamo al popolo". Don G. F. nei suoi scritti editi e inediti, ibid., MI (1961), I, pp. 471-482; S. Nistri, Vita di don G. F., Firenze 1979; Id., La spiritualità di don G. F., Firenze 1987; Diz. stor. del movimento cattolico in Italia, II, I protagonisti, Torino 1981, pp. 191 ss.