GIANELLI, Giulio
Nacque a Torino il 7 ott. 1879 da Pietro, ingegnere, e da Gennarina Bauducco. Due anni dopo il padre emigrò per ragioni di lavoro in Argentina, dove presto scomparve senza più dare notizie di sé. Nel 1883 anche la madre morì e il bambino entrò in un collegio, la cui retta venne pagata, anche negli anni a seguire, da C. Mongini, pensionante di casa G., divenuto convivente della Bauducco dopo la partenza del marito.
Nel clima austero e freddo del collegio il giovane G. trovò l'affetto e la protezione di Marianna Oddenino, moglie del direttore dell'istituto, la quale per tutta la vita, una volta trasferitasi a Orbassano in seguito alla separazione dal marito, costituì per lui un sicuro punto di riferimento.
Terminato nel 1892 il sostegno economico del Mongini, il G. fu costretto alle più faticose e umilianti mansioni per pagarsi la retta del pensionato e solo nel 1898, conseguita la maturità classica presso il liceo Cavour, poté finalmente abbandonare l'inospitale sistemazione grazie ai pur scarsi proventi che gli derivavano dalla sua attività di ripetitore.
Pur non potendosi iscrivere all'università per mancanza di mezzi, il G. iniziò a frequentare le lezioni di A. Graf, stringendo allo stesso tempo amicizia con G. Gozzano, G. Cena, C. Vallini, N. Oxilia e altri futuri protagonisti della scena culturale italiana. A questi anni risalgono il suo esordio poetico sulle pagine della Gazzetta del popolo della domenica e le prime manifestazioni della sua malattia. La vita che fu costretto a condurre, impegnandosi in estenuanti vagabondaggi nella provincia torinese alla ricerca di fonti di sostentamento, ne peggiorò progressivamente lo stato di salute, tanto che nel 1901 venne riformato e l'anno successivo fu costretto a entrare per un lungo periodo di degenza nell'ospedale torinese di S. Luigi, a seguito di una diagnosi di tubercolosi.
Tale esperienza risultò decisiva per la crescita umana e artistica del G., che in questi mesi si dedicò alla lettura di opere mistico-religiose del Trecento - determinanti per le tonalità francescane più volte indicate dalla critica come uno dei caratteri più personali della sua poesia - e al riordino dei testi scritti fino ad allora, che videro la luce in due plaquettes litografate, uscite grazie al sostegno finanziario degli amici: Tutti li angioli piangeranno (Torino 1903) e Mentre l'esiglio dura (ibid. 1903). Tutta la prima produzione del G. venne raccolta nel successivo Mentre l'esilio dura (ibid. 1904).
I temi caratteristici della poesia del G. si racchiudono in una gamma abbastanza ristretta. Anzitutto il senso di esclusione e di esilio, cui allude il titolo della raccolta, determinato dalla consapevolezza della precarietà delle proprie condizioni di vita. La coscienza di tale stato non comporta però l'assunzione di un atteggiamento maudit né lascia spazio a toni troppo insistiti di ripiegamento intimistico; essa viene semmai resa funzionale alla scoperta di una dimensione di umiltà cristiana che induce il poeta a trovare compensazione alla fragilità della propria esistenza in uno slancio mistico verso la natura o in un abbandono al sogno di una vita felice, in cui riveste un ruolo centrale l'aspirazione all'amore matrimoniale. La stessa poesia viene vissuta come una missione e un servizio da offrire all'umanità per aiutarla a cercare le ragioni morali e sentimentali della propria esistenza. Anche sotto il profilo espressivo il G. è poeta dalle soluzioni timbriche e melodiche monocordi, che fanno di lui un erede della musicalità liederistica del secondo romanticismo italiano.
Il libro riscosse un certo successo e il G., uscito dall'ospedale, trovò alcuni impieghi temporanei come conferenziere e collaboratore di riviste e quotidiani (tra i quali Il Venerdì della contessa, L'Artista moderno, Il Momento, Studium) che gli assicurarono una maggiore, seppur momentanea, tranquillità economica. Di questi anni è anche l'amicizia con R. Canavasso, che assistette materialmente il G. negli anni a seguire e ne raccolse poi le carte in un archivio indispensabile per ricostruirne il cammino intellettuale e poetico.
Nel giugno 1906 M. Novaro pubblicò su La Riviera ligure alcune poesie del G. (La fuggitiva, Andando alla casa di lei, E la meta?), sancendone l'emancipazione da un contesto culturale esclusivamente regionale. Sulla spinta di questo riconoscimento l'attività letteraria del G. si intensificò, concretizzandosi nella nuova raccolta Intimi vangeli (ibid. 1908).
Nel volume confluiva anche parte della produzione di Mentre l'esilio dura. Rispetto alla plaquette precedente la gamma tematica e tonale del G. si allargava a zone finora inesplorate (gelosia, ira) e di maggiore cupezza, con particolare insistenza sul tema cimiteriale, nonostante la sua principale linea ispiratrice restasse sempre legata a uno slancio panteistico, ora anche più marcato, in cui l'annullamento nelle dinamiche naturali assumeva il senso di un'iniziazione al mistero della morte. In questo senso il suo era un crepuscolarismo sui generis, lontano tanto dalla sofisticata ironia del Gozzano quanto dal patetismo effuso di S. Corazzini o dalle atmosfere di tenue grigiore di M. Moretti; più portato semmai alla genuina e immediata espressione dei propri motivi interiori, agli spazi aperti e solari, alle atmosfere festose, pur se percorse dal presentimento dello svanire.
Sempre nel 1908 il G. si trasferì a Roma, alla ricerca di migliori condizioni di vita. Nella capitale collaborò al Corriere d'Italia e al Popolo romano; nella scia del vecchio amico G. Cena e di Sibilla Aleramo, aderì al movimento per l'alfabetizzazione dei contadini dell'Agro romano, realizzando così una duratura vocazione all'impegno sociale che alla fine dell'anno trovò conferma nella tempestiva adesione ai soccorsi inviati a Messina, in seguito al terremoto del 28 dicembre.
L'8 genn. 1909, di ritorno dalla Sicilia, il G. condusse con sé Mario e Ugo Morosi, due piccoli sopravvissuti alla catastrofe. Come già nel periodo d'infermità presso il San Luigi, dove aveva assistito fino all'ultimo un altro bambino (Mario, protagonista del gruppetto di liriche Caro agli angeli in Mentre l'esilio dura), anche ora il G. trovò motivo di consolazione al suo sogno di paternità nell'aiuto offerto ai due giovani diseredati, che fece ammettere al collegio Nazareno di Roma.
Tra il febbraio e il marzo 1909 venne incaricato di seguire le vicende editoriali delle poesie gozzaniane inviate alla Nuova Antologia, segno di un'amicizia che aveva avuto modo di rinsaldarsi a Ceresole Reale, dove il G. e Gozzano avevano passato una settimana di cure e di riposo nel luglio 1907. Nonostante i favori dell'ambiente romano e la risonanza della sua attività pubblicistica e sociale, che lo portarono a stringere nuove conoscenze (tra le quali Eleonora Duse), le condizioni economiche e fisiche del G. continuarono a essere difficili. Così, nell'estate 1910 si recò per due mesi a Santa Marinella, su invito del barone Augusto Ferrero, il cui figlio sordomuto, Federico, aiutò negli studi fino alla laurea in ingegneria.
Al ritorno a Roma il G. pubblicò sul periodico milanese L'Adolescenza la Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino, poi uscito con discreto successo in volume (ibid. 1911; rist. ibid. 1993). A conferma della sua vocazione per la narrativa infantile, sempre nel 1911 pubblicò una serie di raccontini sul Buon augurio, il giornalino edito dall'ospizio dei Piccoli Derelitti di Milano. Intanto tra il 1911 e il 1912 tornò più volte in Piemonte a visitare gli amici di un tempo, ai quali si era intanto aggiunto il poeta A. Foà, ma anche per sottrarre i suoi due giovani protetti alle pressanti richieste della madre, ricomparsa dopo il terremoto di Messina in cui era stata data per dispersa.
Nel 1913 si dedicò alla stesura di alcuni soggetti cinematografici che inviò al Foà, nella speranza, rivelatasi vana, di interessare alla realizzazione qualche casa produttrice torinese. Nel 1914, a seguito di un nuovo violento attacco di polmonite fu costretto al ricovero nell'ospedale romano della Consolazione, da cui fu dimesso in aprile. Si trattò di una brevissima tregua, perché il 18 maggio fu costretto a un nuovo ricovero per una delicata operazione renale che non ebbe successo.
Morì a Roma il 27 giugno 1914.
Fonti e Bibl.: G. Gianelli, Poesie, a cura di O. Castellino, Torino 1934 (contiene, pp. 149-211, un profilo biografico del G. tracciato sulla base dei ricordi personali del curatore); Id., Tutte le poesie, a cura di G. Farinelli, Milano 1973 (contiene anche: un'esaustiva presentazione del poeta, pp. 13-61; una dettagliata biografia, pp. 149-184; e una bibliografia critica, pp. 409-415). Sulla figura e l'opera del G. vedi C. Calcaterra, Scrittori dell'Ottocento e del primo Novecento, Torino 1932, pp. 118-120; Id., Gianellino, in Con Guido Gozzano e altri poeti, Bologna 1944, pp. 127-140; G. Farinelli, Storia e poesia dei crepuscolari, Milano 1969, pp. 119-149; C. Ghelli, Introduzione, in Gozzano e i crepuscolari, a cura di C. Ghelli, Milano 1983, pp. XII s., XVII, XXIV, LI; Lettere a "La Riviera ligure", II, 1906-1909, a cura di P. Boero, Torino 1986, pp. 63 s.; A. Quatela, Invito a conoscere il crepuscolarismo, Milano 1988, pp. 15, 81, 127, 146, 148-150.