GIOVIO, Giulio (Giovan Giulio)
Nacque intorno al 1510, a Como, da Benedetto, fratello di Paolo, storico e vescovo di Nocera, e da Maria Raimondi. In una lettera il padre lo indica come quarto dei suoi sei figli, mentre una parte della bibliografia ha considerato il G. terzogenito.
Sin da giovane il G., assecondato e incoraggiato dal padre e dallo zio Paolo, coltivò gli studi letterari. La sua educazione, come quella dei fratelli, era finalizzata alla formazione di un uomo di Curia, pronto a ricevere, in nome dell'arricchimento della famiglia, benefici ecclesiastici e incarichi vari, anche direttamente dallo zio. Scrive di lui Paolo, in una lettera del 1525 a Benedetto: "fatelo imparare a scrivere, come ho sempre pregato, acciò venendo l'occasione possi tirarmelo appresso" (P. Giovio, Lettere, I, p. 112).
Nel 1528 ancora Paolo Giovio fece in modo di far ottenere al G. la rendita della chiesa di S. Antonio a Como, che era da lui posseduta dal 1524, e con la quale il giovane G. sarebbe stato in grado di coprire le spese necessarie per compiere gli studi giuridici a Pavia. Il padre Benedetto scriveva, in quel periodo, al fratello Paolo: "Iulius, cui Sancti Antonii praeceptoriam demandandam curasti, docilis est, et ad literas propensus, ideo Ticinum profectus est ad capienda iuris civilis rudimenta, de quo mihi optima spes est, quod familiae nostrae honori erit, et emolumento" (B. Giovio, Lettere, p. 245).
Ancora da una lettera del padre, questa volta indirizzata direttamente al G., si apprendono alcune altre notizie relative alla sua formazione e alle sue prime prove di carattere letterario. In gioventù il G. avrebbe composto una commedia di argomento pastorale in volgare ("superioribus annis pastoralis comoedia a te composita magno populi favore excepta est", ibid., p. 122), ma il padre raccomandava al figlio di imparare a comporre correntemente anche in latino, perché questa era la lingua più usata in Curia. Della commedia non è rimasta altra traccia oltre a questo ricordo di Benedetto Giovio; dall'indicazione, che fornisce la lettera, secondo la quale nella commedia il G. avrebbe aggiunto i cori, a quel tempo riservati al genere tragico, si può desumere che il componimento si sarebbe potuto collocare a buon diritto fra le opere in cui erano espresse istanze innovative tipiche della scrittura teatrale della prima metà del XVI secolo, forse su diretta influenza degli scrittori di teatro presenti a Roma, con i quali il G. avrebbe potuto avere dei contatti.
Del 1532 è ancora una lettera di Paolo Giovio al G.: in essa lo zio inviava al nipote una lettera ricevuta dal fratello del G., Alessandro, e ribadiva l'impegno a occuparsi del futuro del nipote: "Quanto alle cose mie, io aspetto questa certezza del Turco, e sopra essa io mi risolverò del venire là o di aspettare qualche bene per voi più che per me […] Omnia erunt per te" (P. Giovio, Lettere, I, p. 135). A questa data il G. doveva trovarsi a Como, presso il padre, perché Paolo raccomandava al nipote di occuparsi di rintracciare il proprietario di una "fonte detta pliniana" (ibid.), per la quale il papa aveva dato la sua disponibilità a fornire la somma necessaria per un eventuale acquisto da parte dei Giovio.
Frammentarie sono le notizie relative alla parte centrale della vita del G.; alcuni elementi biografici si possono ricavare dal vasto e vario poema in ottave, rimasto incompiuto, che il G. ci ha lasciato. Dagli elementi presenti in esso si possono ipotizzare soggiorni a Mantova, presso i Gonzaga; a Padova, dove conobbe Pietro Strozzi, e a Bologna, dove, assistette all'incoronazione di Carlo V. Forse soggiornò per qualche tempo in Germania, presso la corte di Carlo V, insieme con Ippolito de' Medici; a Carlo V è dedicata una parte autonoma del poema, all'interno della quale è inserito anche il resoconto di un incontro che il G. avrebbe avuto con Ludovico Ariosto.
Nell'agosto 1551, durante il periodo in cui si trovava al seguito di Paolo Giovio in Toscana, il G. divenne coadiutore dello zio al vescovato di Nocera, che, alla morte di questo, nel 1552, il G. ereditò direttamente; più tardi, alla fine del 1560, egli stesso lo lasciò nelle mani del nipote Paolo Giovio il Giovane, figlio del fratello Alessandro. Fu mentre si trovava presso lo zio che il G. compose alcuni elogi in poesia che furono pubblicati all'interno degli Elogia virorum bellica virtute illustrium dello stesso Paolo (Firenze, L. Torrentino, 1551, pp. 250, 294, 336 s.). Nel 1553, dopo la morte dello zio, il G. compì una visita pastorale a Nocera, della quale ha lasciato una relazione che si conserva presso l'archivio della curia vescovile di Nocera Inferiore.
Gli ultimi anni della vita del G. dovettero trascorrere in modo piuttosto tranquillo, grazie alla rendita vescovile, in patria, dove si occupò del museo fatto costruire dal padre e dallo zio e della cura delle opere lasciate inedite da Paolo Giovio.
Il G. morì a Como in una data non precisata, ma da situarsi intorno al 1563.
Oltre agli elogi in latino sopra ricordati, il G. ha lasciato altre opere, rimaste inedite, che sono state scoperte e studiate da E. Travi. Si tratta di una Vita Iacobi Medices, il cui manoscritto è conservato presso la Società storica comense e di un commento al De agricoltura di Varrone stilato sotto forma di lettera e riconducibile alle attività che gravitavano intorno al museo gioviano.
L'opera più importante del G., ancora in gran parte inedita, è un ampio poema in ottava rima, il cui progetto e l'inizio della stesura dovevano risalire agli anni della gioventù, nel periodo in cui il G. fu più attratto dalla poesia in volgare. Lo stesso Travi ritiene che forse è da ritenere un unico poema quello che, secondo altre considerazioni, potrebbe invece essere considerato due distinte opere: un Poema sopra la natura e gli uomini (il titolo è di Travi), composto di tre libri, e una Historia, che si potrebbe considerare il quarto libro del poema complessivo. L'opera, oltre che incompiuta, si presenta molto frammentaria: la prima parte è divisa in canti dedicati, fra gli altri, ai giuristi, agli storici, ai pittori, ai poeti, alle armi degli antichi, agli uccelli, ai pesci e ai serpenti; nella seconda si trovano ritratti di illustri contemporanei, ricordi di incontri avuti dall'autore, episodi del conflitto tra l'Impero e la Francia. Fra le altre, il poema del G. ha tramandato la notizia dell'ultimo viaggio compiuto da Giovanni da Verrazzano nel 1528 alla ricerca di un passaggio tra l'Oceano Atlantico e il Pacifico e della morte che vi trovò per mano degli indigeni. Il G. avrebbe raccolto le notizie su questa spedizione direttamente dalla testimonianza del fratello del Verrazzano, Girolamo. Le undici ottave del poema del G. relative a Giovanni da Verrazzano sono state pubblicate da A. Bacchiani, I fratelli da Verrazzano e l'eccidio di una spedizione italo-francese in America (1528), in Boll. della Società geografica italiana, s. 4, II (1925), pp. 395-399; altre ottave del poema sono state pubblicate da E. Travi (1982 e 1983, Il canto "Ad Apelle"…).
Fonti e Bibl.: B. Giovio, Lettere, a cura di S. Monti, in Periodico della Società storica comense, VIII (1891), pp. 122, 156 s., 245; P. Giovio, Lettere, a cura di G.G. Ferrero, I, Roma 1956, pp. 112, 124, 134 s., 299; II, ibid. 1958, pp. 151, 194, 208, 217, 232; G.B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi nelle arti, e nelle lettere illustri, Modena 1784, pp. 110 s.; E. Travi, Casa Giovio e la tradizione delle leggende cavalleresche, in Periodico della Società storica comense, XLIX (1982), pp. 7-32; Id., Il canto "Ad Apelle, sopra i pittori" in un inedito poema di G. G., in Arte lombarda, n.s., LXV (1983), pp. 127-132; Id., Profilo di G. G., in Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, III, Umanesimo e Rinascimento a Firenze e Venezia, Firenze 1983, pp. 749-770; T.C. Price Zimmermann, Paolo Giovio. The historian and the crisis of sixteenth century Italy, Princeton 1995, ad ind.; T. Picquet, Voyages d'un florentin: Giovanni da Verrazzano (1485-1528), in Rinascimento, s. 2, XXXIX (1999), pp. 431-465; Iter Italicum. A cumulative index to volumes I-VI, (s.v.Jovius, Julius).