STRASSOLDO, Giulio Giuseppe
– Nacque a Gorizia il 1° settembre 1771 dal conte Vincenzo Strassoldo di Sotto, del ramo di Chiasottis, e da Amalia di Valvasone-Cucagna.
Il padre era consigliere segreto e cameriere della duchessa Maria Amalia d’Asburgo, arciduchessa di Parma. Signore feudale di Mortegliano, Chiasottis, Malisana e Fratta, egli apparteneva dunque a quell’aristocrazia castellana filoasburgica che aveva le sue basi in alcune aree del Friuli di antico regime, il cui vivido ritratto ci viene restituito dalle parti iniziali delle Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo (si pensi, in particolare, al personaggio del Partistagno, appartenente a una famiglia che era imparentata a quella materna di Strassoldo). Le tenute della famiglia Strassoldo, negli ultimi anni di esistenza della Serenissima, erano lavorate da 17 coloni e fruttavano 31.468 lire venete all’anno.
Entrato nel 1796 al servizio del granduca di Toscana, a fine secolo, al momento del passaggio all’Austria dell’ex Repubblica di San Marco, Giulio Giuseppe collaborò con Gian Pietro Grimani all’organizzazione del nuovo Stato austro-veneto, ricoprendo la carica di segretario di governo, con l’incarico specifico di curare in particolare la corrispondenza in lingua tedesca tra le autorità civili e quelle militari. Cessato nel 1806 lo Stato austro-veneto, tra il 1809 e il 1814 la sua carriera di funzionario imperiale virò transitoriamente verso la sponda militare. Nel 1809, infatti, fu alla testa di un reggimento a Graz e cinque anni più tardi discese in Italia, come tenente maresciallo, al fianco del feldmaresciallo Heinrich von Bellegarde, il quale guidava l’esercito austriaco lanciato alla rioccupazione dei territori di quello che era stato il Regno d’Italia napoleonico. Nell’estate del 1814 Bellegarde lo inviò a Parma, che negli anni precedenti era stata direttamente aggregata all’Empire di Bonaparte, dove Strassoldo avviò il riassetto dell’amministrazione del ducato di cui si stava allora organizzando la rinascita. Passò poi a Bologna dove, tra la fine del 1814 e l’inizio del 1815, esercitò la carica di vicepresidente per gli Affari civili del governo che, per conto del papa, prese transitoriamente in mano la gestione delle province di Bologna, Ferrara e Ravenna, già dipartimenti del cessato Regno d’Italia. Nell’aprile del 1815 Bellegarde lo richiamò a Milano, affidandogli un incarico di grande delicatezza: quello di direttore generale della polizia lombarda. In questa veste, Strassoldo svolse allora un ruolo determinante nella selezione del personale destinato a ricoprire le cariche politico-amministrative più importanti (quelle di consigliere di governo e di delegato e vicedelegato provinciale) nella porzione lombarda dell’erigendo Regno lombardo-veneto. Con i suoi pareri riservati egli contribuì largamente all’allontanamento dalle responsabilità di governo di gran parte delle figure legate al precedente establishment napoleonico e al loro rimpiazzo con esponenti del mondo aristocratico e conservatore, al quale evidentemente il suo stesso profilo esistenziale tendeva ad avvicinarlo in modo naturale. A legittimare la revanche nobiliare che ebbe luogo in Lombardia all’inizio della Restaurazione fu, dunque, soprattutto lui. E sempre lui fu il regista, in quegli stessi mesi tra la primavera e l’autunno del 1815, dell’occhiuta sorveglianza alla quale venne assoggettato Ugo Foscolo, che in un rapporto del 3 maggio 1815 Strassoldo descrisse come «sotto qualunque governo, un uomo pericoloso, senza religione, senza moralità, senza carattere» (Corio, 1873, p. 95).
Nell’agosto del 1816 Strassoldò abbandonò provvisoriamente Milano, per andare a ricoprire la carica di governatore delle province illiriche a Laibach (Lubiana). Era giunto così, quarantacinquenne, a toccare, sotto il profilo del rango formale, il vertice della carriera politico-amministrativa che, in virtù di ben collaudati meccanismi cetuali, era all’epoca dischiusa agli esponenti di un’antica aristocrazia feudale che stava però cambiando profilo, trasformandosi in aristocrazia itinerante di servizio, e alla quale veniva affidata nell’Impero asburgico dell’età della Restaurazione la responsabilità di governarne le province. Ma, un anno più tardi, nell’autunno del 1817, un’ulteriore promozione lo riportò in Lombardia, sempre nel ruolo di governatore. La turbolenta sede di Milano era certo più prestigiosa di quella di Laibach; ma, soprattutto, governarla comportava il possesso di una capacità politica più raffinata.
Tra il 1818, l’anno al cui inizio prese ufficialmente servizio, e il 1821, Strassoldo si trovò ad affrontare molti problemi spinosi. In primo luogo, quello rappresentato dal Conciliatore, la nota rivista di orientamento liberale che funse da canale di irradiazione della cultura romantica a Milano e, al tempo stesso, da principale luogo di aggregazione culturale dell’opposizione al governo. Nel 1819 Strassoldo ne decretò la sospensione, dopo averne ripetutamente ostacolato la pubblicazione con insistenti interventi censori. Poi gli spettò il compito di disarticolare, tra il 1820 e il 1821, le trame cospirative che, in coincidenza con le rivoluzioni costituzionali napoletana e piemontese, gli stessi uomini che avevano animato Il Conciliatore si stavano sforzando di annodare anche in Lombardia. Fu essenzialmente opera sua la regia delle operazioni che culminarono negli arresti e nei successivi processi e condanne al carcere nella fortezza morava dello Spielberg di figure come Silvio Pellico, Pietro Maroncelli e Federico Confalonieri. E con una circolare del 6 maggio 1821 ordinò che in ogni capoluogo di provincia della Lombardia venisse solennemente cantato un Te Deum in segno di celebrazione del soffocamento del moto costituzionale piemontese a opera dell’esercito austriaco.
Sulla base di questi presupposti, era inevitabile che, da parte dell’opposizione liberale al regime, Strassoldo venisse identificato, nel corso degli anni Venti, come una delle personificazioni più tetramente coerenti di una politica viennese, che veniva percepita come gravemente lesiva dei diritti dei lombardo-veneti e della loro aspirazione alla libertà.
E, tuttavia, un esame più spassionato del suo operato induce a mettere, se non altro, in rilievo anche altri tratti della sua personalità. Con il mondo dell’aristocrazia lombarda più tradizionalista – quel mondo che nel 1815 egli aveva non poco contribuito a riportare in auge – Strassoldo mantenne infatti legami non rapsodici, rinsaldando, in particolare, l’amicizia con il conte Giacomo Mellerio, figura con la quale aveva avuto intensamente a che fare già sul finire del 1815, quando Mellerio stesso aveva condotto a Vienna come rappresentante della Lombardia le trattative dalle quali sarebbe scaturito l’assetto costituzionale e istituzionale del Regno lombardo-veneto. Ma non solo. Anche una figura di orientamento politico-culturale decisamente diverso da quello del cattolico-tradizionalista Mellerio, come Pietro Giordani, intrattenne in quell’epoca un rapporto sostanzialmente di fiducia con il governatore della Lombardia, se è vero che in alcune pagine autobiografiche avrebbe poi ricordato come «il conte Giulio Strassoldo, che fu lungamente Direttore generale di polizia e poi Governatore di Milano, e mi conosceva, era solito dire, non aver trovato pensatore più libero di me, né uomo più quieto» (Giordani, 1848, p. 34).
Per quello che riguarda gli anni Venti, oltre che la gestione degli sviluppi del complesso nodo politico che gli si era parato davanti tra il 1819 e il 1821, sono documentate alcune importanti iniziative di Strassoldo, che ce lo mostrano come uomo intensamente impegnato a individuare qualche possibile ponte tra gli umori della società locale e il governo centrale imperiale di Vienna. In un denso memoriale inviato il 29 luglio 1820 al principe di Metternich – dunque, nel pieno della turbolenta stagione intercorsa tra la sospensione del Conciliatore e il marzo 1821 – Strassoldo insisteva, ad esempio, su due temi cruciali ai fini del miglioramento del rapporto tra Vienna e le sue province italiane, le quali stavano dando segni sempre più inequivoci di effervescenza politica. Gli pareva, da un lato, necessario rimettere mano, sotto il profilo della politica economica, al sistema proibitivo, che stava arrecando gravi danni agli interessi del commercio lombardo, e che, lungi dal portare giovamento alle finanze imperiali, sortiva il solo effetto di incoraggiare la pratica massiccia del contrabbando. Dall’altro, riteneva altamente consigliabile effettuare ogni sforzo per evitare di suscitare nei sudditi italiani la sensazione che l’appartenenza dei loro territori all’Impero asburgico implicasse una tendenza alla germanizzazione, i cui indizi si potevano cogliere, per esempio, nella composizione del corpo giudiziario e degli apparati di polizia del Regno, i cui vertici erano in quegli anni spesso appannaggio di funzionari originari delle province di lingua tedesca o del Trentino.
Al tempo stesso, però, al momento di tirare le somme di una grande inchiesta sull’amministrazione del Regno svoltasi qualche mese prima, Strassoldo aveva suggerito di limitare le competenze delle congregazioni, gli organi di rappresentanza costituzionale del notabilato locale, poiché gli pareva che quest’ultimo ne facesse spesso la leva per intralciare l’operato del potere esecutivo, vanificandone l’efficacia. Il dialogo con la società lombarda, dunque, non doveva ai suoi occhi spingersi oltre una certa soglia, pena l’inceppamento di un meccanismo di governo dall’alto, i cui buoni esiti avrebbero dovuto acquietare i sudditi italiani di casa d’Austria e distoglierli dall’inseguire pericolosi sogni di indipendenza.
Si trattava di vincere l’ostilità degli italiani con l’arma del buon governo. E in questa direzione andava un’iniziativa di cui Strassoldo fu nel 1822 il principale promotore – o, quanto meno, il lungimirante iniziatore – e che avrebbe lasciato un segno duraturo nella struttura della società lombarda e nei rapporti tra quest’ultima e il pubblico potere: la fondazione della Cassa di risparmio delle provincie lombarde, che il governatore non solo facilitò grazie alle interlocuzioni con il governo viennese, ma che anche sostenne attivamente disponendo la raccolta delle informazioni necessarie per attivarla. Fu Strassoldo, infatti, a fornire al conte Giovanni Pietro Porro, presidente della Commissione di beneficenza milanese ed esponente di spicco del notabilato aristocratico lombardo, gli statuti e altri materiali informativi relativi a un’analoga istituzione già operativa da alcuni anni a Vienna.
Altre opere realizzate su impulso governativo durante il mandato milanese di Strassoldo furono i lavori relativi al Passo dello Spluga, in direzione della Svizzera, l’avvio del sistema di navigazione a vapore sul lago di Como e su altri specchi d’acqua lombardi, il restauro del Cenacolo di Leonardo da Vinci presso la chiesa di S. Maria delle Grazie a Milano.
Tra i titoli onorifici che Strassoldo veniva nel frattempo accumulando, vanno ricordati quelli di cavaliere di prima classe dell’Ordine imperiale austriaco della Corona di ferro; di commendatore dell’Ordine reale di S. Stefano d’Ungheria; di Gran Croce dell’Ordine de’ Ss. Maurizio e Lazzaro di Sardegna e dell’Ordine constantiniano di S. Giorgio di Parma; infine di ciambellano e consigliere aulico attuale di sua maestà imperiale e reale d’Austria.
Morì, senza eredi diretti, il 3 marzo 1830 a Milano.
Secondo il giornalista Aurelio Bianchi Giovini (1853), era in cattive acque economiche, poiché nel corso del suo mandato si era lasciato andare «alla dissipazione, alle lascivie», restando a corto di denaro e facendo debiti «che il suo caro amico conte Mellerio soleva tacitare» (p. 44).
Fonti e Bibl.: P. Giordani, Prose inedite, Parma 1848, passim; A. Bianchi Giovini, L’Austria in Italia e le sue confische, Torino 1853, passim; L. Corio, Rivelazioni storiche intorno ad Ugo Foscolo, Milano 1873, passim; A. Stern, Memoriale del conte S. al principe di Metternich sulle condizioni e i sentimenti della Lombardia, in Rivista storica del Risorgimento italiano, 1895, vol. 1, pp. 570-576; F. Bianco, Nobili castellani, comunità, sottani. Il Friuli dalla caduta della Repubblica alla Restaurazione, Udine 1983, ad ind.; M. Meriggi, Amministrazione e classi sociali nel Lombardo-Veneto (1814-1848), Bologna 1983, ad ind.; M. Gottardi, L’Austria a Venezia. Società e istituzioni nella prima dominazione austriaca, Milano 1993, ad ind.; S. Cavazza, G.G. S., in Dizionario biografico dei friulani , III, Udine 2009, http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/strassoldo-giulio-giuseppe/ (15 gennaio 2019); S. Baragetti, Patologia del “Conciliatore”: Silvio Pellico e la censura, in L’italianistica oggi: ricerca e didattica, Atti del XIX Congresso dell’Associazione degli Italianisti... 2015, a cura di B. Alfonzetti et al., Roma 2017, http:// www.italianisti.it/Atti-Congresso?pg=cms &ext =p&cms_codsec=14&cms_codcms=896 (15 gennaio 2019).