LANDI, Giulio
Nacque a Piacenza il 30 maggio 1498 da Federico, conte di Bardi, di antica e illustre famiglia della nobiltà locale, e da Caterina Pallavicini. Un'errata tradizione biografica vuole il L. nato a Firenze, tanto è vero che molte delle notizie che lo riguardano si ricavano da compendi biografici relativi agli scrittori fiorentini (Negri; Poccianti).
Tra i fratelli maggiori del L. fu Marcantonio, che ereditò i beni della famiglia e fu padre del più celebre Agostino.
Il L. compì studi di filosofia, di retorica, di lettere greche e latine, completando la sua formazione a Roma, dove risiedette a lungo durante la giovinezza. Si laureò in giurisprudenza e intorno al 1549 si iscrisse al Collegio dei magnifici dottori e giudici (oltre al L., della potente famiglia Landi vi furono iscritti anche Ottaviano e Costanzo, autore anche di carmi latini). Al periodo trascorso a Roma si può far risalire la consuetudine del L. con la cerchia che faceva capo al cardinale Ippolito de' Medici, di cui divenne stretto amico e collaboratore fino alla morte del prelato (1535). Verosimilmente nel 1534 o poco prima, donò al coltissimo prelato uno scritto in latino in cui veniva descritta l'isola di Madera, con tanto di indicazioni puntuali che presuppongono un viaggio effettivamente compiuto. Da un accenno al matrimonio di don Giovanni III con Caterina d'Asburgo, sorella di Carlo V, celebrato a Lisbona il 10 febbr. 1525, pare che i rapporti del L. con il Portogallo risalgano già a quegli anni, mentre un altro passo indicherebbe la presenza del L. nell'isola nel 1529 (Peloso, 2004, p. 132). La Descriptio, da quanto si ricava dalla dedica a Ippolito de' Medici, sarebbe la rielaborazione degli appunti redatti durante il viaggio eseguita su incoraggiamento del cardinale negli anni che precedettero la sua scomparsa.
Con il titolo di Descrittione de l'isola de la Madera… ne la quale si contengono molto belle, e delettevoli narrationi; e massimamente l'agricoltura del zucchero, e li costumi de gli huomini di quel paese, e particolarmente il giuoco di canne e il modo di lottare, e la caccia de li tori a piedi e a cavallo, l'operetta fu pubblicata nel 1574 (Piacenza, F. Conti), in versione originale e nella traduzione approntata dal sacerdote Alemanio Fini, con due distinte dediche, una del L. e l'altra del traduttore, a Maria del Portogallo, moglie del duca di Parma e Piacenza Alessandro Farnese. A questo scritto, letto nella redazione originale in possesso di P. Giovio, allude favorevolmente C. Tolomei in una sua lettera al L. dell'11 apr. 1545. Vi fa riferimento Apostolo Zeno nelle Annotazioni alla Biblioteca dell'eloquenza italiana di G. Fontanini, mostrando di non conoscere l'edizione volgare e citando la versione latina indicata da Paolo Colomesio nel catalogo dei manoscritti di Isaac Vossius come "Iulii Landi narratio de insula Materia, qua vulgo Madera, ubi diu exul ab aula Romana vixit" (oggi Leida, Biblioteca universitaria, Voss. lat., Q.90). Altri due codici noti dell'opera, nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (Mss., G.22 inf.) e nella Biblioteca del Museo civico di Padova (C.M., 179), testimoniano, unitamente alla lettera di Tolomei, una circolazione manoscritta anteriore alla stampa. Nel 1599 lo scritto del L. fu vittima di un plagio a opera del maderense padre Manuel Costantino, dottore in teologia a Salamanca e professore alla Sapienza di Roma, che pubblicò a Roma una Insulae Materiae descriptio, che riproduce quasi senza variazioni il testo del Landi.
La Descriptio appartiene a un genere letterario particolarmente diffuso all'epoca e conseguente alle recenti scoperte geografiche del Nuovo Mondo. A metà tra la relazione di viaggio e il trattato, si sofferma, oltre che sulle caratteristiche naturali, sugli aspetti sociali ed economici (preziosa la parte sul ciclo della lavorazione della canna da zucchero), sull'amministrazione civile e giudiziaria, sulle tradizioni e le feste popolari. Nel complesso un documento significativo sui processi di colonizzazione e di sfruttamento del Nuovo Mondo oltre le Colonne d'Ercole nella prima metà del XVI secolo.
Poiché i motivi per i quali il L. avrebbe compiuto questa spedizione restano oscuri, fu avanzata l'ipotesi - come abbiamo visto a proposito di Vossius - che il viaggio a Madera fosse stato intrapreso a seguito di una condanna all'esilio, di cui però Tolomei, nella lettera menzionata, non fa alcun cenno, così come pure il traduttore nella dedica della stampa. L'origine della leggenda sta probabilmente in quanto il L. dice nella dedica al cardinale Ercole Gonzaga che sostituisce quella primitiva a Ippolito de' Medici, entrambe tramandate solo dai manoscritti. Nella dedica seriore il L. dichiara di essere stato incarcerato poco dopo la stesura dell'opera - senza però specificare il motivo - e di avere riacquistato la libertà grazie all'intervento del cardinale e del protonotario apostolico Pietro Carnesecchi. Essendogli interdetto di risiedere a Roma, il L. riparò sotto la protezione del vescovo di Gubbio Federico Fregoso, che per lui ottenne il definitivo perdono papale alla fine del 1536. Passato al servizio di Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto, governatore di Milano dal 1538 al 1546, dopo la pace di Crépy (1544) il L. abbandonò gli uffici e rimise mano alla Descriptio, corredandola della nuova dedica a Ercole Gonzaga. Occorre rilevare che i personaggi intervenuti a favore del L. nell'oscuro episodio, collocabile intorno al 1536, dunque poco dopo la tragica scomparsa del suo primo protettore Ippolito de' Medici, sono tutti in varia maniera riconducibili agli ambienti dell'evangelismo italiano, di cui risulta evidentemente partecipe lo stesso Landi.
Nel quarto decennio del secolo cade l'attività della burlesca Accademia della Virtù, iniziata a Roma sotto gli auspici di Ippolito de' Medici. Come dimostrano alcune lettere posteriori, il L. fu in contatto con alcuni membri di questo consesso e giunse a farne parte con il nome di Sere Stentato. Compose un bizzarro elogio del formaggio piacentino, La formaggiata di sere Stentato al serenissimo re della virtute, databile intorno al 1538 e pubblicata per la prima volta a Piacenza, "per ser Grassino Formaggiaro", nel 1542. Una seconda edizione, censurata, fu allestita all'interno del secondo libro delle Lettere facete, et piacevoli di diversi grandi huomini, et chiari ingegni pubblicate da Francesco Turchi (Venezia, F. Coattino, 1575).
Nella Libraria, Doni ne dà notizia come operetta di lode offerta al cardinale Ippolito, mentre essa fu più verosimilmente dedicata a Claudio Tolomei, che, proprio in qualità di re della Virtù, aveva animato la breve ma feconda stagione dell'Accademia romana. È stato fatto inoltre il nome di Giovanni Gaddi, altra personalità di rilievo del milieu romano. L'elogio paradossale è preceduto da una lettera rivolta al lettore che è stata attribuita a Doni, al quale, con molta probabilità, si deve la stampa della Formaggiata, ma la cui paternità resta tuttora incerta. Allo scritto burlesco fa allusione Tolomei nella lettera sopra menzionata, che se non altro documenta gli stretti legami del L. con i letterati presenti a Roma in quel periodo (si veda anche la missiva di Tolomei al L., Roma, 24 genn. 1540).
Una lettera di Annibal Caro indirizzata a Luca Contile il 15 dic. 1547 testimonia i rapporti del L. con Caro: il letterato marchigiano, fuggito da Piacenza in seguito all'assassinio di Pierluigi Farnese avvenuto il 10 settembre, fu ospitato dal L. nel castello di Rivalta. Il 20 febbr. 1558 e il 4 febbr. 1559, e poi un'altra volta ancora nel 1559, Caro scrisse direttamente al L., alludendo tra l'altro alla nota polemica in corso con L. Castelvetro. Il legame del L. con Luca Contile è attestato da alcune lettere di quest'ultimo e dalla presenza del L. fra gli interlocutori del quinto dei Dialoghi spirituali di Contile (Roma 1543, ma composti a Milano l'anno precedente), dove il L. si confronta con la gentildonna Virginia Pallavicino Gambara sul tema della vita contemplativa. Più antica risulta la conoscenza con Pietro Bembo, che fu insegnante a Padova del nipote del L., Agostino (cfr. la lettera di Bembo ad Agostino, di Roma, 28 ag. 1529). Della familiarità con Bembo danno prova alcune lettere del L. da Piacenza (9 e 18 luglio 1541; 2 agosto e 8 sett. 1544), che tuttavia trattano di questioni di poco conto.
Durante il carnevale del 1545 il L. era a Venezia, come si ricava dalla prefatoria di Ludovico Domenichi a La vita di Esopo tradotta e adornata dal Landi (Venezia, G. Giolito, 1545; con una dedicatoria del L. al concittadino Girolamo Anguissola).
La traduzione landiana della vita del leggendario favolista greco, redatta dal greco Massimo Planude nel XIV secolo, ebbe numerose edizioni nel Cinquecento dopo la princeps. Fontanini attribuisce al L. anche la traduzione di alcune favole; esiste in effetti un'edizione delle Dilettevoli favole di Esopo e di altri elevati ingegni raccolte dal conte Giulio Landi (Venezia, G. Bariletto, 1569).
Sempre a Venezia, presso gli eredi di Aldo Manuzio, fu edita nel 1551 l'altra biografia compilata dal L., la Vita di Cleopatra reina d'Egitto, curata da Anton Francesco Doni, al quale, fino a recenti indagini che hanno messo in discussione tale ipotesi, era stata in passato attribuita l'orazione in Lode dell'ignoranza collocata in margine al testo landiano. Doni è altresì l'autore della prima lettera dedicatoria della Vita al conte Lodovico Rangone (17 dic. 1550), mentre il L. firma la seconda, rivolta a Costanza Del Carretto.
Ultima fatica intellettuale del L. sono i due volumi di dialoghi morali e religiosi intitolati Le attioni morali e terminati già nel 1560 (come si evince da una lettera di L. Domenichi al L. del 10 sett. 1560 relativa a un'ipotetica edizione fiorentina dell'opera: ma cfr. Poggiali, 1789, p. 203).
Ottenuto il privilegio per la stampa fin dal 1561, il L. pubblicò il primo dei due volumi dell'opera a Venezia, presso Giolito, nel 1564, intitolandolo Le attioni moralinelle quali, oltra la facile et spedita introduttione all'Ethica d'Aristotele, si discorre molto risolutamente intorno al duello; si regolano in esso molti abusi; si tratta del modo di far le paci; et s'ha piena cognitione del vero proceder del gentilhuomo, del cavaliere, et del principe una seconda emissione, ibid. 1584. Originariamente concepita in tre libri, poi divenuti sette, l'opera si presenta corredata da una lettera dedicatoria di Ludovico Domenichi indirizzata ad Aurelio Porcelaga e datata 28 maggio 1563. Ogni libro del primo volume è introdotto da una dedica specifica del L. (tra i dedicatari Carlo V, Margherita d'Asburgo, "i principi e signori del terrestre mondo", Caro, Domenichi, Tolomei), fatta eccezione per il quinto, che, diviso in più trattati di differente argomento, presenta tre dediche diverse. Nel prologo del volume, il L. riferisce invece di essere stato amico fin dalla giovinezza dell'abate fiorentino Lorenzo Bartolini (morto nel 1533), frequentato assiduamente durante il suo soggiorno giovanile a Parigi e probabile intermediario fra il L., studioso di questioni morali, ed Erasmo, che Bartolini si recò a conoscere a Lovanio nel 1519. Intorno a questa data si deve riportare verosimilmente anche il soggiorno parigino del Landi. I dialoghi sono presentati infatti come il resoconto di una discussione tra Bartolini, J. Lefèvre d'Étaples e il discepolo di quest'ultimo Josse Clichtove. Attraverso l'abate, il L. cominciò a frequentare Lefèvre e a valutarne positivamente il magistero filosofico e religioso: tanto è vero che Le attioni morali possono essere considerate come una vera e propria parafrasi della Artificialis introductio in decem libros Ethicorum Aristotelis di Lefèvre. Il L. vi aggiunse alcune considerazioni relative alle questioni più discusse nella società dell'epoca, quali l'onore o la diffusa e deprecata pratica dei duelli. A questo proposito occorre segnalare, a conferma dell'atteggiamento del L., la Declaratoria sopra la pace fatta fra il c. Giulio Landi et il signor Astor Baglioni (Parma, S. Viotti, 1546), che contiene una serie di documenti utili a ricostruire una contesa avutasi fra i due e conclusa senza spargimenti di sangue.
Il secondo volume de L'azzioni morali, dove si tratta de le virtù intellettuali et de li buoni affetti de gl'animi humani, secondo la intelligenza aristotelica et de le medesime cose trattasi secondo la nostra disciplina cristiana; si discorre ancora sovra il voluntario di Aristotele, e di contra poi sovra il libero arbitrio cristiano, et in ultimo trattasi de la tripartita felicità filosofica, mondana, e cristiana, con le particolari differenze, e convenienze de le sudette cose, fra il filosofo, e noi cristiani, in sei libri, uscì a Piacenza nel 1575 (F. Conti - G.A. de' Ferrari) con dedica del L. al cardinale Paolo Burali, vescovo di Piacenza. Le istanze riformatrici avanzate nel primo volume lasciano il posto ora, in pieno clima postridentino, a un maggiore rispetto della rinnovata ortodossia cattolica.
Sul fronte degli impieghi pubblici, il L. fu al servizio oltre che di Ippolito de' Medici, anche di Guidobaldo II Della Rovere duca di Urbino, di Alessandro Farnese e di Giulio Feltrio Della Rovere. Prudenza e abilità politica fruttarono al L. incarichi d'importanza, che lo portarono a frequenti spostamenti nella penisola, a Milano, a Bologna, a Venezia, a Roma. Ancora giovane compì viaggi fuori d'Italia: oltre che a Parigi e nei possedimenti portoghesi, a Bruxelles (di questo viaggio si ha notizia dalla dedica di Attioni morali, II, 1), in Ungheria, dove partecipò a una campagna militare contro i Turchi. Ricoprì funzioni di governo nello Stato pontificio, amministrando le città di Assisi, Sora, Fano, Macerata e Fermo. Proprio da Fermo scrisse due importanti lettere, indirizzate rispettivamente al duca di Parma Ottavio Farnese e al cardinale Alessandro Farnese in occasione della morte di papa Paolo III (1549), e poi confluite in Lettere volgari di diversi huomini saggi, e bei spiriti, Cremona, V. Conti, 1561. Nella medesima raccolta sono altre lettere del L. che forniscono qualche notizia sui suoi spostamenti: da Fano al letterato piacentino Alberto Bissa; da Macerata a uno sconosciuto monsignore sulla sollevazione di Fermo avvenuta nel 1549 grazie alle manovre di Federico de' Nobili; da Urbino il 1° ag. 1550 al conte Costanzo Landi.
Il L. fu inoltre luogotenente dei principi Landi, suoi nipoti, nei feudi di proprietà della famiglia. Degli ultimi anni rimangono alcuni documenti relativi alla rivolta degli abitanti di Borgo Val di Taro contro il principe Claudio Landi, figlio di Agostino, rivolta che indirettamente favorì la conquista dello stesso Borgo da parte del duca Ottavio Farnese (tra questi il Manifesto della rivolta degli abitanti del Borgo di Val di Taro, fatto stampare nel marzo 1579). Il L. tentò di difendere gli interessi del nipote, cercando senza successo di risolvere la controversia. Della sua mediazione danno testimonianza due lettere indirizzate al console e ai consiglieri della Comunità, redatte, la prima da Roncarolo alla fine del gennaio 1578, la seconda dal castello di Compiano, il successivo 11 febbraio (in Pigorini, pp. 101-103).
Il L. morì il 27 apr. 1579 e fu sepolto nella chiesa di S. Fiorano a Lodi.
La formaggiata di Sere Stentato è edita a cura di A. Capatti, Milano s.d. [1992?]; l'edizione bilingue dell'Insulae Materiae descriptio si legge in S. Peloso, Al di là delle Colonne d'Ercole. Madera e gli arcipelaghi atlantici nelle cronache italiane di viaggio dell'età delle scoperte, Viterbo 2004, pp. 152-229.
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