PASTORE, Giulio
PASTORE, Giulio. – Nacque a Genova il 17 agosto 1902 da Pietro, operaio, e da Teresa Pastore.
Entrambi i genitori erano emigrati dalle valli novaresi. Tornata la famiglia in Valsesia, il padre invalido fu costretto a vendere lunari come ambulante, mentre nel 1905 la madre iniziò a lavorare a cottimo per la fabbrica Manifattura Lane.
Giulio frequentò la scuola ad Aranco e il circolo educativo di Borgosesia; nel 1914 entrò a lavorare in fabbrica insieme alla madre, senza per questo rinunciare allo studio. La sua aspirazione all’emancipazione sociale fu alimentata dall’inserimento nel tessuto cattolico della valle; sostenuto dal clero locale, nel 1918 partecipò alla fondazione del circolo Giosuè Borsi di Varallo Sesia. Licenziato dalla fabbrica nel 1919, Giulio fu riassunto poco dopo la morte del padre; nell’aprile 1920, tuttavia, fu lui a lasciarla per trasferirsi a Varallo e assumere a tempo pieno l’incarico di ‘propagandista di plaga’ della federazione giovanile cattolica, decidendo di completare da autodidatta la propria istruzione.
La formazione sociale e civile di Pastore continuò all’interno del movimento cattolico: legatosi alla corrente sociale del Partito popolare italiano (PPI) di Novara, si trovò a confrontarsi con l’anticlericalismo diffuso in Valsesia fra i militanti socialisti e le classi dirigenti liberali oltre che, più tardi, nel nascente squadrismo fascista. Dopo aver compiuto un periodo di formazione sindacale a Monza, incoraggiato da Achille Grandi, assunse nel settembre 1921 la direzione della sezione valsesiana dell’Unione del lavoro della Confederazione italiana dei lavoratori (CIL). Animato da una passione di pubblicista che restò costante lungo tutta la sua vita, lo stesso anno iniziò a scrivere su Il Monte Rosa, foglio del cattolicesimo valsesiano che in seguito diresse.
Nel 1922 l’azione religiosa, sociale e politica di Pastore iniziò a fare i conti con il progressivo affermarsi del fascismo nelle sue valli. Alle deliberazioni prefettizie contro le ‘avanguardie cattoliche’ si accompagnò la crescente violenza nei confronti dei cattolici, finché nel luglio 1923 gli squadristi assaltarono la tipografia de Il Monte Rosa. Mentre a livello diocesano la Gioventù italiana di Azione cattolica (GIAC) era attraversata dalle tensioni per l’attuazione dei nuovi statuti e per il dibattito sull’apoliticità dell’associazione, le elezioni del 1924 acuirono il conflitto tra fascisti e popolari.
Per Pastore giunse, infine, il tempo di lasciare Varallo: nel dicembre 1924 accettò di dirigere Il Cittadino, giornale della direzione delle Opere cattoliche di Monza, città dove il cattolicesimo sociale era unito sotto la leadership di Grandi. Accanto a lui il giovane direttore sostenne la ‘buona battaglia’: riaffermata l’unità tra fede e azione pubblica e stigmatizzato il moralismo clericale, fra il 1925 e il 1926 richiamò l’attenzione dei lettori sulla difesa della legalità istituzionale contro il regime fascista, sottolineando l’impegno dei cattolici per la democrazia. Nel novembre 1926, dopo numerosi interventi di censura, il prefetto sospese il giornale.
Costretto a tornare in Valsesia e segnalato come antifascista, Pastore affrontò con la sua famiglia gravi difficoltà economiche. Nel maggio precedente si era, infatti, sposato con Maria Marchino, con la quale ebbe tre figli: Pierfranco (nato nel 1927, sacerdote e vescovo), Mario (1929-1996, giornalista e volto noto della RAI) e Maria Teresa (nata nel 1930). Dopo un periodo di disoccupazione, Pastore trovò un umile impiego al Banco San Paolo e riprese la sua azione cattolica nella parrocchia di S. Andrea a Novara, diventando presidente del circolo S. Giorgio; nel luglio 1927 tornò a scrivere, sulle pagine de Il Giovane Piemonte. Luigi Gedda, presidente della GIAC novarese dal 1929, valorizzò Pastore come responsabile della ‘buona stampa’ e poi come vicepresidente: con lui scrisse il volume Gioventù pura. La Federazione giovanile cattolica novarese nel primo decennio della sua fondazione (Novara 1930). Il tentativo di enfatizzare l’alterità cattolica rispetto alla cultura fascista si rifletteva anche nel giornale umoristico cattolico La Giraffa, che Pastore redasse e diresse dall’ottobre 1931 al luglio 1933, quando la pubblicazione fu interrotta dalle autorità.
L’anno seguente Gedda, nominato presidente nazionale della GIAC, lo chiamò a Roma. Pastore giungeva nella capitale nel 1935 con rinnovate aspettative: morta la moglie, prima di partire da Novara egli sposò, infatti, Elisa Cavigioli, che crebbe i figli delle prime nozze insieme a quelli che in seguito costituirono la sua numerosa famiglia: Luisa, Luciana, Paolo, Valeria, Giancarlo, Giorgio. Assunto l’incarico di delegato tecnico centrale della GIAC, Pastore ne impostò l’anagrafe e curò lo sviluppo associativo dei circoli nel Mezzogiorno d’Italia.
Durante la seconda guerra mondiale, egli partecipò alla formazione della Democrazia cristiana (DC). Dopo il 25 luglio 1943 fu nuovamente al fianco di Grandi, nominato commissario nazionale della ex Confederazione fascista dei lavoratori dell’agricoltura; dopo l’8 settembre fu membro della commissione centrale della DC e del comitato d’agitazione interpartitico, organizzando incontri con Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Guido Gonella e Giuseppe Spataro. Con Grandi e Giovanni Gronchi, seguì le trattative clandestine per delineare un percorso di unità sindacale a liberazione avvenuta. Fondato nella clandestinità il giornale Conquiste del lavoro, il 30 aprile 1944 fu arrestato dai fascisti appena fuori dal Vaticano, dove si era rifugiato, e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Liberato il 4 giugno, dopo l’arrivo degli Alleati a Roma, riprese con maggiori responsabilità l’impegno sindacale e politico.
Coinvolto nell’attuazione della Dichiarazione di Roma sulla realizzazione dell’unità sindacale, promossa dai maggiori partiti antifascisti, Pastore fu nominato nel consiglio direttivo del sindacato unitario, la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL). Costituite le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (ACLI), per orientare all’interno del sindacato la corrente democristiana (poi definita corrente sindacale cristiana), Pastore ne fu segretario generale dall’agosto 1944 al febbraio 1946 e primo presidente del patronato. Dopo aver lavorato con Amintore Fanfani alla fine del 1945 nell’ufficio studi, propaganda e stampa della DC, a seguito del congresso dell’aprile 1946 fu eletto nella direzione nazionale democristiana come esponente degli amici di Giuseppe Dossetti. Segretario organizzativo del partito, curò la campagna elettorale del 2 giugno 1946 per l’Assemblea costituente, nella quale fu eletto dal collegio Torino-Novara-Vercelli.
Nel clima di collaborazione tra le forze antifasciste, Pastore rafforzò la componente cristiana nel sindacato, assumendone la guida nel marzo 1947. Di fronte alla corrente comunista maggioritaria nella CGIL, si impegnò perché l’azione sindacale non diventasse strumento conflittuale nelle mani del PCI; all’inizio del 1948 rivendicò la partecipazione al primo organo consultivo sindacale a livello internazionale – il TUAC-ERP (Trade Union Advisory Committee for the European Recovery Programme) – e l’indipendenza del sindacato dalle influenze dei partiti del Fronte democratico popolare, sconfitti alle prime elezioni politiche repubblicane. A seguito dell’attentato a Palmiro Togliatti del luglio 1948, il dissenso sullo sciopero politico generale immediatamente proclamato dalla componente comunista della CGIL provocò la scissione della corrente cristiana da lui guidata, formalmente ratificata dalle ACLI.
Nel dibattito che seguì, Pastore promosse un sindacato aconfessionale, in contrasto con coloro che nella DC sostenevano un sindacalismo cristiano e di partito: segretario generale della Libera confederazione generale italiana dei lavoratori (LCGIL) costituita il 16 ottobre 1948, egli prese parte al processo di fondazione della confederazione mondiale che nacque nel novembre 1949, la International confederation of free trade unions (ICFTU).
Fu allora accusato dal sindacalismo cristiano e da quello comunista di introdurre in Italia un’americanizzazione del sindacato, se non di prestarsi alla politica estera degli Stati Uniti nel clima della guerra fredda: la CGIL contrastò duramente il sindacato ‘libero’ e all’interno della stessa DC si tentò di riproporre una corrente cristiana nel sindacalismo unitario. La risposta di Pastore fu decisa: «la libera Confederazione dichiara di essere pronta a tutte le unificazioni possibili nel quadro di un sindacalismo sinceramente libero e democratico. […] Il giorno in cui ci si vorrà incontrare noi siamo pronti, purché l’incontro avvenga tra forze sindacali e non tra forze politiche» (Ciampani 1991, p. 50). La partecipazione di Pastore all’ICFTU, di cui fu sempre componente dell’esecutivo, significò la permanente assenza di un sindacato confessionale in Italia. Superando i limiti della propria formazione prefascista, egli riassumeva allora il «significato cristiano» della sua azione nell’esercizio della propria responsabilità di laico che «concepisce e realizza l’azione sindacale» (Saba 1982, p. 469).
Nell’autunno del 1949 ricercò la collaborazione di Mario Romani, docente di storia economica all’Università cattolica di Milano, per accompagnare con l’elaborazione di una rinnovata cultura sindacale il processo di unificazione promosso dalla LCGIL con i sindacati della FIL (Federazione Italiana del Lavoro) e quelli dell’UFAIL (Unione Federazioni Autonome Italiane Lavoratori). Infine, il 30 aprile 1950, dal patto d’unità tra i ‘sindacati democratici’ nacque la Confederazione italiana sindacati lavoratori, la CISL. Eletto segretario generale della nuova confederazione, Pastore contribuì allora a imprimere una svolta all’azione sindacale in Italia, ponendo le basi di un ‘sindacato nuovo’ e le fondamenta di un pluralistico sistema di relazioni industriali, giovandosi dell’apporto di Romani alla guida dell’ufficio studi e della formazione sindacale della CISL. Affermata l’autonomia del sindacato rispetto al partito, rompendo con le precedenti tradizioni sindacali italiane, la CISL sviluppò un’intensa opera culturale perché la rappresentanza dei lavoratori potesse avere una classe dirigente capace di orientare lo sviluppo economico.
In questa prospettiva, nel 1950 avviò una battaglia vincente in nome della libertà associativa contro l’intervento legislativo per regolare l’azione contrattuale del sindacato; nel 1951 lanciò la proposta di istituire un comitato nazionale della produttività; fra 1952 e 1953 aprì una dura polemica con la dirigenza confindustriale. Sostenne, inoltre, la presenza sindacale sul posto di lavoro (creando le sezioni sindacali aziendali), propose la contrattazione articolata, promosse la distinzione fra la rappresentanza datoriale dell’industria privata e di quella pubblica, e si impegnò per la partecipazione del sindacato agli organi consultivi internazionali ed europei, rivendicando anche in Italia spazi per una possibile concertazione sociale. Nell’aprile 1950 Pastore affermò in una conferenza internazionale: «la coordinazione degli investimenti in Europa, anche se condotta inizialmente per singoli settori produttivi, o per intese regionali, non può essere lasciata alla sola competenza dei Governi o, più ancora, all’iniziativa dei gruppi industriali interessati» (Il problema europeo della manodopera, in Bollettino d’informazioni sindacali, III, 1950, 8, p. 6). Occorreva che i sindacati, per ciò che riguardava «tutti i problemi attinenti alla mano d’opera, fossero ammessi a partecipare sia pure a titolo consultivo, ma diretto, a tutti gli organismi e le trattative internazionali che si occupano di tale materia» (ibid.).
La CISL prese parte, dunque, al comitato consultivo della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), aderì al Comitato per gli Stati Uniti d’Europa, affiancò nel 1954 il Movimento federalista europeo nella battaglia per la CED (Comunità Europea di Difesa). Nel luglio 1957 sostenne la ratifica dei trattati istitutivi del MEC (Mercato Comune Europeo) e invitò il governo italiano a proporre la creazione di una divisione degli Affari sociali e del lavoro; in novembre, tuttavia, Pastore declinò la nomina a commissario agli Affari sociali della CEE (Comunità Economica Europea).
Nella primavera dell’anno successivo, egli fu chiamato a una nuova scelta. Deputato per la DC dal 1948 al 1969 e membro del consiglio nazionale democristiano dal 1947 al 1967, dopo la nascita della CISL, si era astenuto dall’accettare posizioni di responsabilità nella direzione del partito, ritenendole incompatibili con quelle assunte nel sindacato. Tentò, invece, di costituire una sorta di presenza sindacale nel gruppo parlamentare democristiano: guidò il raggruppamento Coerenze sociali e poi la corrente di Forze sociali, avviata già nel 1952. Infine, il 2 luglio 1958 Pastore accettò la proposta di Fanfani di partecipare al suo secondo governo come ministro senza portafoglio incaricato di presiedere il comitato dei ministri per la Cassa per il Mezzogiorno.
Il passo, pieno d’insidie, fu per lui una sfida a introdurre nell’organizzazione politica il suo ideale di sviluppo sociale. Raccogliendo attorno a sé studiosi affermati, come Vittorio Bachelet, e giovani intellettuali, come Giovanni Marongiu, Pastore impostò un nuovo approccio al problema del Mezzogiorno, e delle aree depresse nell’Italia centrale e settentrionale. Fra il 1958 e il 1963 venne confermato ministro in diversi governi: lavorò a modificare la gestione della Cassa per il Mezzogiorno e tentò di coinvolgere i soggetti sociali nelle politiche di sviluppo; promosse la formazione professionale e il Centro di formazione e studi per il Mezzogiorno (FORMEZ); avviò la ristrutturazione di istituti di credito come l’Istituto per lo sviluppo economico dell’Italia meridionale (ISVEIMER ) e l’Istituto regionale per i finanziamenti industriali in Sicilia (IRFIS); realizzò un articolato piano di rinascita della Sardegna.
Non minore fu l’impegno della sua azione politica dentro e fuori il partito, come in occasione della crisi del governo presieduto da Fernando Tambroni: l’8 aprile 1960, Pastore si dimise dal gabinetto, contro l’ipotesi di un eventuale sostegno missino, non solo in coerenza con il proprio passato (sul quale pubblicò il volume Achille Grandi e il movimento sindacale italiano nel primo dopoguerra, Roma 1960), ma anche per ricordare la ‘vocazione antifascista e anticomunista’ ribadita dalla DC nella fase di formazione del governo.
Sostenuto dalla corrente di Rinnovamento e avvalendosi della rivista Il Nuovo Osservatore (impostata nel dicembre 1958 da Romani, ma passata sotto la sua diretta responsabilità nel giugno 1960), egli intervenne nei convegni democristiani di San Pellegrino del 1961 e del 1962, riaffermando il ruolo fondamentale delle comunità intermedie per la difesa delle libertà personali nello Stato moderno e per l’educazione alla vita democratica. Avvertendo i limiti di una ‘repubblica dei partiti’, ricordò che il potere politico doveva mantenere funzioni di indirizzo e di coordinamento senza sostituirsi alle forze sociali.
Nel dicembre 1964 si affacciò una candidatura di Pastore alla presidenza della Repubblica nelle votazioni che portarono, infine, all’elezione del socialdemocratico Giuseppe Saragat. Nonostante il riconosciuto prestigio della sua azione, dopo aver respinto nello stesso anno un accordo con la corrente della sinistra di Base per avviare il raggruppamento di Forze nuove nella DC, la sua posizione nel partito si fece più difficile. Ancora ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno e nelle aree depresse del Centro-Nord fino al 1968 (senza mai rinunciare, peraltro, a presiedere il Consiglio di Valle della Valsesia), fu deluso da un centro-sinistra ridotto a mera formula politica piuttosto che incontro di partiti popolari, da un intervento legislativo che irrigidiva il confronto economico-sociale, da una DC che sembrava avulsa dalle inquietudini del mondo cattolico postconciliare e dall’impetuoso mutamento sociale. Avendo espresso al X congresso della DC del novembre 1967 le motivazioni del suo dissenso, Pastore restò fuori dal gabinetto presieduto da Giovanni Leone nel 1968 ritenendone insufficiente la qualificazione politico-sociale; rimase, invece, amareggiato per l’esclusione dal primo governo guidato da Mariano Rumor.
Postosi in una posizione di autonomia rispetto a ogni corrente, nel congresso democristiano del giugno 1969 fu sollecitato da Aldo Moro a candidarsi al consiglio nazionale del partito, ma non fu eletto; la delusione politica non fu addolcita dalla successiva nomina a consigliere onorario. Pastore decise, allora, di dedicarsi alla nascita di un Istituto di cultura dei lavoratori, che, ramificato sul territorio nazionale, raccolse giovani, militanti sindacali e intellettuali di area cattolica.
Morì a Roma il 14 ottobre 1969.
Scritti e discorsi. Le relazioni ai primi due congressi della CISL sono pubblicate in: CISL, 1° Congresso nazionale (Napoli, 11-14 novembre 1951). I lavori e gli atti, Roma 1952; CISL, 2° Congresso nazionale (Roma, 23-27 aprile 1955). I lavori e gli atti, Roma 1955. Accanto al volume su Achille Grandi citato e al contributo pubblicato nel libro collettaneo I sindacati in Italia, in sette saggi (Bari 1955, pp. 121-198), si veda I lavoratori nello Stato, Firenze 1963. Degli interventi di Pastore si segnalano: Scritti scelti, introduzione di S. Zaninelli, I-III, Roma 2003; G. P. Discorsi parlamentari (1947-1968), Roma 2012.
Fonti e Bibl.: Nell’Archivio della Fondazione Giulio Pastore di Roma si conservano i fondi della segreteria confederale della LCGIL e della CISL (1948-1958) e le carte personali (1944-1969), insieme a un ampio archivio fotografico. Ulteriore documentazione sindacale è disponibile presso l’Archivio storico nazionale CISL di Roma e presso la Biblioteca Mario Romani del Centro studi nazionale CISL di Firenze. Sull’attività politica e parlamentare di Pastore si possono consultare il fondo Democrazia cristiana dell’Archivio storico dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma, la documentazione disponibile presso l’Archivio centrale dello Stato a Roma e quella on-line sul Portale storico della Camera dei deputati (http://storia. camera.it/deputato/giulio-pastore-19020817#nav).
Tra i molteplici interventi formulati in occasione di commemorazioni e ricorrenze si ricordano: Commemorazione di G. P. nel quinto anniversario della morte, tenuta da Mario Romani in Campidoglio il 14 ottobre 1974, in Annali della Fondazione Giulio Pastore, III (1974), pp. 26-38; i contributi pubblicati a dieci anni dalla morte in Annali della Fondazione Giulio Pastore, VIII (1979).
Si segnalano i seguenti profili biografici: V. Saba, P. G., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, diretto da F. Traniello - G. Campanini, II, Casale Monferrato 1982, pp. 465-470; S. Zaninelli, G. P., in Il Parlamento italiano 1861-1992, XIX, Milano 1992, pp. 312-317; F. Malgeri, G. P. a quarant’anni dalla morte, in L’autunno sindacale del 1969, a cura di A. Ciampani, Soveria Mannelli 2013, pp. 253-266. Fondamentale è ancora la biografia di V. Saba, G. P. sindacalista. Dalle leghe bianche alla formazione della CISL (1918-1958), Roma 1989.
Per una particolare attenzione ad alcuni snodi della formazione e dell’azione di Pastore si vedano: A. Ciampani, La buona battaglia. G. P. e i cattolici sociali nella crisi dell’Italia liberale, Milano 1990; Id., Lo Statuto del sindacato nuovo (1944-1951), Roma 1991; G. Formigoni, La scelta occidentale della Cisl. G. P. e l’azione sindacale tra guerra fredda e ricostruzione (1947-1951), Milano 1991; V. Saba, Quella specie di laburismo cristiano. Dossetti, P., Romani e l’alternativa a De Gasperi, 1946-1951, Roma 1996.
Per il periodo che lo vide impegnato nella gioventù cattolica, si segnalano: Sindacalismo bianco tra guerra, dopoguerra e fascismo (1914-1926), a cura di S. Zaninelli, Milano 1982, ad ind.; A. Ciampani, Cattolicesimo e modernizzazione durante il regime fascista: l’attivismo spirituale de La Giraffa, foglio umoristico d’azione cattolica (1931-1933), in Storia contemporanea, XXIV (1993), 1, pp. 59-130.
Per il significato della sua azione sindacale si vedano: Sindacato industria e Stato negli anni del centrismo. Storia delle relazioni industriali in Italia dal 1948 al 1958, a cura di F. Peschiera, Firenze 1979, ad ind.; Le scissioni sindacali. Italia e Europa, a cura di M. Antonioli - M. Bergamaschi - F. Romero, Pisa 1999, ad ind.; V. Saba, Il problema storico della Cisl. La cittadinanza sindacale in Italia, nella società civile e nella società politica 1950-1993, Roma 2000, ad ind.; G. Berta, L’Italia delle fabbriche. Genealogie ed esperienze dell’industrialismo nel Novecento, Bologna 2001, ad ind.; A. Ciampani, Movimento sindacale e partiti politici nel sistema democratico dell’Italia repubblicana, in Partiti e sistemi di partito in Italia e in Europa nel secondo dopoguerra, a cura di G. Orsina, Soveria Mannelli 2011, pp. 265-313.
Circa l’impatto della sua azione politica, si vedano: S. Zoppi, La classe dirigente meridionale e il fattore umano negli anni 1958-1965 nel progetto del ministro G. P., in Rivista giuridica del Mezzogiorno, XVI (2002), 4, pp. 1391-1434; G. Bianchi, Un episodio laburista nell’Italia degli anni Cinquanta: la vicenda di Forze sociali, in Cattolici e società italiana tra tradizione e secolarizzazione, a cura di O. Bianchi, Modugno 2004, pp. 107-168.
Per la dimensione sindacale internazionale si rinvia, infine, a: F. Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo (1945-1951), Roma 1989, ad ind.; A. Ciampani, La Cisl tra integrazione europea e mondializzazione. Profilo storico del ‘sindacato nuovo’ nelle relazioni internazionali. Dalla Conferenza di Londra al Trattato di Amsterdam, Roma 2000, ad ind.; I Trattati di Roma, a cura di P.L. Ballini, I, I partiti, le associazioni di categoria e sindacali e i trattati di Roma, Soveria Mannelli 2010, ad indicem.