PEDICONI, Giulio
PEDICONI, Giulio. – Nacque a Roma il 31 gennaio 1906, figlio di Tito e di Gertrude Guerrieri.
La famiglia, originaria di Poggio Bustone nel Reatino, trasferita a Roma nel XVII secolo, faceva parte dell’alta borghesia romana. Dall’Ottocento risiedette e fu proprietaria del palazzo Capponi Pediconi in via degli Orsini.
Fin da giovane Pediconi manifestò una particolare attitudine per il disegno che fu incoraggiata da Clemente Busiri Vici, amico di famiglia, appartenente alla storica stirpe romana di architetti di origine italo-francese, che lo sostenne nella decisione di iscriversi alla Regia Scuola superiore di architettura. Nel 1930 si laureò con il massimo dei voti presentando un progetto di una pinacoteca nei giardini del Vaticano, un edificio a pianta circolare rappresentato con raffinati effetti chiaroscurali che richiamava lo stile di Borromini e in generale il barocco romano.
Non appare casuale il riferimento stilistico al maestro del barocco se si pensa che, in una memoria del suo percorso formativo (Muntoni, 1987, pp. 7-9), Pediconi citava il testo di Eberhard Hempel su Francesco Borromini (1924, trad. it. 1926) tra i primi libri di architettura che aveva acquistato appena iscritto alla Scuola.
La figura del tempietto circolare si sarebbe ripresentata anche in altri suoi progetti: da quelli per piccole chiese e scuole nella campagna romana (1932), considerati da Marcello Piacentini (Muntoni, 1987, p. 19) piccoli capolavori proprio perché recepivano la poesia della tradizione italiana, fino al più recente complesso della basilica e orfanotrofio della Misericordia a Macerata (1953-58).
Durante gli studi universitari conobbe Mario Paniconi con il quale condivise orientamenti teorici e passione per l’architettura e subito dopo la laurea fondò uno studio tra i più attivi a Roma, in cui si manifestò la loro personale cifra linguistica basata sull’interpretazione della modernità secondo una rilettura della scuola svedese, del pacato classicismo scandinavo e del coevo, concettuale e materico, stile novecentista dei milanesi Giovanni Muzio, Giò Ponti e Alberto Alpago Novello.
L’organizzazione del lavoro includeva una divisione dei compiti secondo le attitudini personali: l’impostazione del progetto era sempre condivisa e non fu mai dichiarata alcuna paternità individuale; nella conduzione dello studio, Paniconi era l’uomo delle relazioni e Pediconi l’artigiano del progetto, capace di elaborare come dei quadri anche le tavole dei dettagli costruttivi. La loro diversità divenne quindi complementarietà; insieme misero l’architettura al centro delle loro vite, tanto che programmavano anche le vacanze scegliendo come destinazione quelle città che ospitavano le opere dell’architettura moderna.
Ancor prima di laurearsi, nel 1925 Pediconi costruì a Roma una casa in viale Giotto e nel 1928-29 un edificio residenziale a via Nemorense. Dalla fondazione dello studio (1930) Paniconi e Pediconi progettarono sempre insieme, salvo rare eccezioni: nel 1936, quando Pediconi prestò il servizio militare; nel 1937, in occasione dei tre concorsi per l’E42, per i quali decisero strategicamente di firmare congiuntamente il progetto per la piazza imperiale, mentre Paniconi presentava una proposta per il palazzo dei Congressi e Pediconi una per il palazzo delle Forze armate; infine, nel periodo di collaborazione con la SGI (Società Generale Immobiliare), tra il 1955 e il 1959, furono loro assegnati incarichi separati per due nuclei di case unifamiliari a Casalpalocco (Roma).
Nel primo decennio di attività fu intensa la partecipazione ai concorsi di architettura e urbanistica. Il primo con Giuseppe Fioretti fu per un gruppo di palazzine per l’INCIS (Istituto Nazionale per le Case degli Impiegati dello Stato) a Roma. Il progetto fu premiato e il ricavato utilizzato per un viaggio in treno fino a Istanbul. Vinsero il primo premio al concorso (in due gradi) per la Cassa di risparmio di Foligno che comprendeva proposte per la sistemazione del centro storico (1929, 1931) e, al concorso per la Palazzata di Messina (1931), ottennero un ulteriore riconoscimento. Seguirono i concorsi per le chiese di Messina (1932), nel 1933 quelli per i palazzi postali romani, le questure della capitale, il ministero dei Lavori pubblici a Bari e il palazzo dell’Economia corporativa a Pesaro, la cui costruzione fu completata nel 1936.
Importanti le partecipazioni ai concorsi per le città di fondazione e nel 1945 per i piani di ricostruzione di Orbetello e Porto Santo Stefano e di Macerata, elaborati con Gaetano Minnucci, il primo, e con Giuseppe Perugini il secondo.
Gli inizi della carriera di Pediconi coincisero con il periodo del dibattito sull’architettura moderna italiana, nel corso del quale le proposte teoriche presentate per le mostre temporanee e le strategie rappresentative del regime fascista sostenevano le opposte visioni dei componenti del MIAR (Movimento Italiano per l’Architettura Razionale) e del RAMI (Raggruppamento Architetti Moderni Italiani), di cui Pediconi fece parte. I primi auspicavano una modernità radicale basata sulla lezione dei razionalisti mitteleuropei; i secondi proponevano la ricerca di un equilibrio tra tradizione e innovazione che in Paniconi e Pediconi assunse la forma di «una concretezza creativa» come è stata definita da Enrico Guidoni (Muntoni, 1987, p. 5), capace di coniugare la modernità come valore dell’architettura imprescindibile dal sapere costruttivo e dal contesto storico. In questo senso va letto il progetto «Casa di campagna per un uomo di studio» presentato nel 1933 alla V Triennale di Milano dal gruppo composto da Pediconi, Paniconi, Moretti, Mosè (Mario) Tufaroli Luciano e Igino Zanda, che esibiva un uso espressivo degli elementi architettonici, a favore di una nuova modernità classica: figure geometriche pure, incorniciate da un grande portale pleonastico all’ingresso, elementi tipici del linguaggio razionalista, al contempo denunciano la loro appartenenza al modello della casa mediterranea per l’inserimento di astratti pergolati. Allo stesso modo, il complesso edilizio INA (Istituto Nazionale Assicurazioni) a Littoria (Latina,1938-39), composto da volumi indipendenti ma collegati con un sistema di passaggi porticati tra giardini, se da un lato proponeva una composizione dei blocchi ordinata, tipica del movimento moderno, dall’altro si riferiva alla casa tradizionale di impianto rinascimentale, con le logge disegnate da archi che rinforzano lo spessore del muro, accentuano l’effetto chiaroscurale e sostengono istanze autarchiche. Più di venti anni dopo i due architetti avrebbero riproposto sostanzialmente la stessa immagine urbana nel complesso residenziale a piazza Pio XI (Roma 1961-66), con logge squadrate e volumi posati su un basamento continuo.
Il villino Pantanella arroccato in cima alla collina dei Parioli a Roma (1937-38), demolito negli anni Sessanta, con i suoi netti riferimenti a Le Corbusier fu invece un limpido esempio di casa a ville sovrapposte razionalista, forse uno dei più interessanti realizzati nella capitale.
La ricerca sull’abitazione, divenne tema di riflessione teorica nel progetto Studio per un Lotto misto (1942): un lungo testo redatto da Paniconi e illustrato in tutte le sue parti da Pediconi (Architettura, luglio 1942, pp. 1-7; Muntoni, 1987, pp. 90-95) presenta l’integrazione tra diverse tipologie abitative come modello di insediamento che si oppone alla specializzazione delle zone residenziali in periferie popolari e città storica per il ceto medio-alto.
Meritano una menzione particolare in questo primo periodo di attività: la casa del balilla a Pescara (1933), la chiesa di S. Felice da Cantalice a Roma (1934), una delle prime architetture ecclesiastiche ad abbandonare lo stile eclettico, la colonia femminile a Tirrenia (1935) e la fontana del Foro Italico: un’ampia vasca circolare contenente una grande sfera di marmo, che riassume in un unico oggetto geometrico l’astrazione materica del Novecento e la purezza dei volumi razionalisti.
La realizzazione delle esedre dell’INA e dell’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) all’Eur (1938-39) concluse l’attività del decennio. Per le esedre-propilei dell’Eur, Piacentini e Cipriano Efisio Oppo decisero di assegnare l’incarico ai giovani Paniconi e Pediconi grazie ai risultati positivi dei tre concorsi per l’E42, e di affiancare loro Giovanni Muzio, di esperienza e fama collaudate.
Dietro all’esedra dell’istituito previdenziale, quasi venti anni dopo, tra il 1957 e il 1967, i due architetti furono incaricati di realizzare la nuova sede centrale dell’INPS, un imponente quanto delicato ampliamento che mantiene invariati gli assi del sistema monumentale attraversato dalla via Cristoforo Colombo, parallelamente alla quale collocarono il volume semplice del palazzo per uffici, scandito secondo un partito modulare. A questo affiancarono il palazzetto per i servizi terziari, rivestito in marmo apuano. In un periodo nel quale l’architettura italiana si era spinta verso modelli espressivi neorealisti negli interventi per le nuove periferie, questo complesso rappresentava, secondo gli autori, l’architettura della ricostruzione per la città.
Finita la guerra, il tema della residenza ritornò centrale. Pediconi fece parte di alcuni raggruppamenti di progettisti coinvolti nel programma settennale di costruzione di case per i lavoratori (Piano Fanfani - legge n. 43/1949), che con il contributo dell’ente INA-Casa concorse al rilancio dell’economia del Paese. Partecipò alla realizzazione dei complessi del Tuscolano, di Valco San Paolo e di Torrespaccata a Roma e di molti altri nei comuni di Porto San Giorgio, Ferrara, Mantova, Pistoia, Monsummano, Porto Santo Stefano.
L’attività professionale si rafforzò nel dopoguerra con la grande committenza privata a carattere religioso. L’EREE (l’Ente per la ricostruzione dei beni ecclesiastici distrutti dalla guerra) si rivolse a un gruppo ristretto di professionisti, tra cui lo studio Paniconi-Pediconi cui furono assegnati numerosi incarichi. Notevoli furono la ricostruzione del Duomo di Capua (1948-58) e della chiesa di Porto Santo Stefano (1950). Alla ricostruzione seguì l’espansione delle città e a Roma le periferie si trovarono sprovviste di servizi e di centri di aggregazione. Di conseguenza il Vicariato attivò una importante politica per la costruzione di parrocchie in queste aree. Pediconi, con Paniconi, ne realizzò quattro: la chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria (1947-55), la chiesa di S. Gregorio VII (1962), la parrocchia di S. Giuseppe Cafasso al Prenestino (1968) e la chiesa della S. Famiglia al Portuense (1978).
Infine, per le Congregazioni religiose costruirono la casa generalizia dei frati minori della chiesa di S. Maria Mediatrice a Roma, un incarico che nel 1942 era stato offerto a Muzio il quale, non potendo seguire i lavori, propose di occuparsene ai giovani romani con i quali collaborava all’Eur. In seguito, l’economo generale dell’ordine, padre Dominik Mandić, li mise in contatto con altri ordini religiosi e nel 1947 affidò loro l’ampliamento dell’Ateneo Antoniano di via Merulana. Alla fine degli anni Sessanta, esempi maturi di questa tipologia furono il Collegio Serafico internazionale di Terra Santa e la casa generalizia delle Suore missionarie della Negrizia.
Nel dopoguerra furono impegnati anche nella progettazione di numerosi edifici per il terziario, prodotto di approfondite analisi tipologiche determinanti anche le scelte figurative, non omologabili le une con le altre: la sede della Sgi a Catania, quelle per l’INA a Taranto e a Brindisi, il cinema Ariston a Lecce, la sede dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) a Roma e quella del ministero delle Poste all’Eur, sono esempi dell’attitudine a progettare edifici integrati nel contesto, rifiutando l’uso del curtain wall come soluzione scontata, ancora una volta eleggendo la materia solida quale elemento caratterizzante della loro architettura.
Di rilievo la soluzione proposta al concorso (1949) per la sede dell’Istituto mobiliare italiano e Ufficio italiano cambi (IMI UIC).
L’edificio di notevoli dimensioni si doveva collocare su via delle Quattro Fontane, tra il complesso borrominiano di S. Carlino e il palazzo ottocentesco del Collegio pontificio canadese. Il gruppo composto da Paniconi e Pediconi, con Vincenzo Passarelli, vinse il primo premio; il complesso costruito presenta una lunga facciata bidimensionale leggermente aggettante dal primo piano, posta su un basamento in pietra, interrotta dal manifestarsi improvviso della sala di rappresentanza chiusa da un bow-window in ferro e vetro (Prospettive, 1956, n.11, pp. 3-32).
Fin da giovane Pediconi partecipò alla vita accademica.
Nel 1934 fu nominato assistente di ruolo presso la cattedra di disegno di Vincenzo Fasolo, ottenendo poi la libera docenza nel 1939. Insegnò rilievo dei monumenti e forme classiche dell’architettura e dal 1959 fu titolare della cattedra di disegno I presso la facoltà di ingegneria e direttore dell’Istituto di disegno fino al 1976.
L’attività dello studio Paniconi-Pediconi si interruppe con la morte improvvisa di Paniconi il 24 settembre 1973, dopo più di 40 anni di attività comune.
Portati a compimento i lavori in fase di esecuzione, tra cui il ministero delle Poste all’Eur e la chiesa della S. Famiglia, Pediconi decise di dedicarsi esclusivamente ai suoi incarichi istituzionali come componente dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), accademico dei Virtuosi al Pantheon, accademico di S. Luca.
Nel 1937 aveva sposato Giulia Pallotta, dalla quale ebbe due figli, Giancarlo e Camillo, entrambi architetti.
Morì a Roma il 19 settembre 1999.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio Mario Paniconi - Giulio Pediconi (consta di quasi 200 progetti, dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio nel 1998); G. Ponti, Stile di Paniconi e P., in Lo stile nella casa e nell’arredamento, Roma 1942; M. Paniconi - V. Passarelli - G. Pediconi, Palazzo per uffici sede dell’I.M.I. e dell’U.I.C. a Roma. Architettura di Paniconi, Passarelli, P., in Prospettive, 1956, n. 11, pp. 3-32; P. Marconi, La sede centrale dell’I.N.P.S. a Roma, in l’Architettura. Cronache e storia, dicembre 1967, n. 146, pp. 512-519; Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, a cura di P. Portoghesi, IV, Roma 1969, p. 399; R. Bizzotto - L. Chiumenti - A. Muntoni, 50 anni di professione, Roma 1983, pp. 109-112, 169 s.; P.O. Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna (1984), Roma 2012, schede 19, 38, 64, 74, 82, 91, 127; A. Muntoni, Lo studio Paniconi-P. 1934-1984, Roma 1987; Architectonicum. Vite professionali parallele, a cura di G. Latour, Roma 1992, pp. 221 s.; L. Finelli - F. Foà Di Castro, G. P. Un testimone imparziale, Roma 2001; M.L. Neri, Paniconi, Mario - P., G., in Dizionario dell’architettura del XX secolo, a cura di C. Olmo, V, Torino 2001, pp. 18 s.;M. Guccione - D. Pesce - E. Reale, Guida agli archivi privati di architettura a Roma e nel Lazio, Roma 2007, p. 159; A.P. Briganti - A. Mazza, G. P., in Roma Architetture Biografie 1870-1970, Roma 2010, pp. 394-397; R. Quattrini, Il disegno di scuola romana negli anni Trenta. I progetti di concorso dello studio Paniconi e P., in Disegnare idee e immagini, 2010, n. 41, pp. 78-89.