PICCINI, Giulio
PICCINI, Giulio (Jarro). – Nacque a Volterra il 28 ottobre 1849 da Francesco, consigliere della Corte di cassazione, ed Elisabetta Boninsegni.
Fin da giovane praticò i classici, frequentando le lezioni del Collegio dei nobili di Lucca, di tradizione purista. Dai Fogli di famiglia dell’Archivio storico comunale di Firenze, risulta celibe e senza figli, residente in Firenze dal 4 maggio 1895, e gli viene attribuita la qualifica di avvocato. Nel 1867 aveva riscoperto e pubblicato a Bologna il volume Degli ordinamenti della compagnia di Santa Maria del Carmino (1280).
Letterato con il gusto romantico dei recuperi, di testi laici o sacri, fra i quali il volgarizzamento di un Trattatello della Quaresima; filologo e scapigliato frequentatore di zone a rischio della città, Piccini non poteva che esprimersi anche con il giornalismo, e La Nazione fu la sua tribuna: in un’annotazione del 14 giugno 1895 dichiarò di «essere in Firenze da circa 35 anni e di essere redattore del giornale La Nazione da circa diciotto anni». Nel 1868-69 fu collaboratore della Gioventù, rivista pubblicata da Mariano Cellini, e di Letture di Famiglia. Nel 1869 divenne anche collaboratore della Gazzetta d’Italia e della Gazzetta del popolo. Lo pseudonimo di Jarro fu impiegato per La Gazzetta d’Italia, presso cui pubblicò recensioni teatrali, letterarie e di varietà, e quello di D’Almaviva lo utilizzò per la musica.
Collaborò alla Gazzetta di Firenze, diretta da Carlo Pancrazi, con rassegne musicali e drammatiche (destinate anche a La Rivista internazionale e a La Rivista europea). Nel 1877 divenne direttore della Gazzetta del popolo, per poi entrare nella redazione de La Nazione. Intensa fu anche la sua attività di traduttore dallo spagnolo di Emilio Castelar (Storia di un cuore, 1886, nuova ed. presso Treves, Milano 1899). Mise mano, operoso e nascosto, ad altri lavori di traduzione, come quella dei Ricordi d’Italia di Castelar, apparsi a stampa nel 1873 con il nome di Pietro Fanfani. Le curatele, quali le Novellette intorno a Curzio Marignoli, poeta fiorentino, scritte da Andrea Cavalcanti già arciconsolo della Crusca (Bologna 1870), cui s’aggiunsero Dante e la musica di Pietro Giordani (Firenze 1904) e le Chiose alla Cantica dell’Inferno di Dante Alighieri scritte da Jacopo Alighieri, con commento (Firenze 1915), depongono di una erudizione preziosa e scaltrita. I suoi libri e opuscoli si scoprono nelle collezioni private e nelle vecchie biblioteche, per l’ancipite natura delle sue arti e saperi, comunicanti a livelli differenziati di lettori ed estimatori.
In via Tornabuoni, cuore borghese e aristocratico della Firenzina 800, sul mezzogiorno, appariva Jarro, con l’andatura di batrace. Una città dai luoghi simbolici, fisse e riconosciute stazioni di posta: il Procacci, il Giacosa. C’era anche d’Annunzio. Il poeta, che all’amico aveva dedicato L’orazione e la canzone in morte di Giosuè Carducci, lo teneva in gran pregio. I due, per la reciproca affezione fraterna, giocavano a motteggiarsi, sul cibo e la forma fisica: alato, snello, sportivo, digiunante Ariel il poeta; pachidermico l’altro.
«Avrei voluto scrivere una Divina Commedia ma ormai, oltre seicento anni fa, l’idea mi fu rubata e non occorre citare da chi. Volevo scrivere canzoni ma il Petrarca e d’Annunzio mi avevano preceduto con canzoni che valgono quanto pesano. Che mi rimaneva da scrivere? Un libro che nessuno ha mai scritto, un libro di cucina che fosse divertente». Premessa a un libro di cucina, steso a piccole dosi, anno dopo anno, a raccogliere i sapori dei tempi. L’Almanacco Gastronomico: ricette, meditazioni, facezie, storielle culinarie, pubblicato regolarmente dal 1911 al 1915.
Un ordine di comunità gli stava nel cuore e una duplice Firenze contrastava quell’ordine: nella cinta della città molle e leggiadra, e l’altra nel brago, case come spelonche, stambugi di lupanari domestici, in tremenda promiscuità, dove in combutta stavano il sicario e il ladro. Firenze sotterranea: appunti, ricordi, descrizioni, bozzetti, uscito in terza edizione presso Le Monnier nel 1885 (1ª ed., agosto 1884), resta uno dei suoi più rappresentativi.
Un ventre fiorentino: «Non di rado in que’ luoghi del vizio, nelle scure cloache, in que’ foschi abituri gli ospiti infami si accapigliano, si scoltellano tra loro, si strappano brani della loro carne, versano il loro sangue: il marito ammazza la moglie, il padre, il figlio e viceversa! E la città è conturbata dalla notizia di un atto esecrando. Entriamo in quegli antri: studiamo insieme, amico lettore, la Firenze sotterranea. Poi verremo, spero, d’accordo, alle conclusioni…» (Firenze sotterranea, 4ª ed., con nuovo Proemio, 1900, p. 31). Impegno sociale, filantropia, per «un documento di storia», a fini di pubblica utilità (pp. XXX s.). «Ripetiamo, mentre porgiamo consigli: manca la simpatia umana. Ove è tracciato il dovere dei forti? Nel sostenere il diritto dei deboli. … L’uomo malvagio ha per collaboratore fatale l’uomo derelitto, spinto alla disperazione» (pp. XI s.). La Firenze della povertà e dello squallore, la Sacra, nei quartieri di Malborghetto, del Campuccio, del Leone e lungo le Mura di San Rocco, dove anche la polizia era prudente, la città delle bische e del malaffare («vi brulica la marmaglia, la bordaglia, la schiuma, il marame della popolazione, insieme accozzato», p. 35), un’infanzia abbandonata alle malattie, penetravano fin nel cuore del Novecento. Da uomo libero, non classista, Jarro scoprì un male profondo della città, la sua piaga, la sua derelizione occulta. «Date aria, date luce! Il che vuol dire date salute, moralità» (p. 36). A tal fine, adottò la forma descrittiva più efficace: «Anche qui, come nel Ghetto, le facciate delle case, se può darsi tal nome a sì orribili catapecchie, sono, specialmente in certi punti, stonacate, ronchiose, incatorzolite, scabbiose, gli acquai con sgrondi rotti, tanto che ne dilaga sulla strada, appuzzolandola, un fiumicciattolo nero, e che mena in sé fecce e lordezze di ogni maniera, e lascia sedimenti e limaccio per dove passa» (p. 37). Un realismo stilistico, autenticato dalla conoscenza, e finalizzato allo scopo. Scrivendo, seppe agire. Ne elogiò distintamente l’assessore per la polizia municipale Filippo Torrigiani e il sindaco marchese Pietro Torrigiani. Firenze sotterranea fu dedicata a Ubaldino Peruzzi, titolare della prima inchiesta sulle miserie della città risalente al 1876.
Altra opera biografica fu Vita aneddotica di Tommaso Salvini e ricordi degli attori del suo tempo (Firenze 1908), dedicata a uno dei grandi del teatro e insigne patriota: nel 1843 l’incontro con Gustavo Modena, che lo scritturò, avviandolo a una eclettica disponibilità di interprete. Fu David nel Saul della tragedia alfieriana, da comparsa e protagonista ebbe tutti i ruoli principali del teatro antico e moderno.
Dell’umanista, versatile, curioso poligrafo, pungente critico di costume, Jarro ebbe la generosità d’intenti, che gli fu ricambiata da un’affezione diffusa, una minuscola leggenda aurea cittadina. Scrisse a nome e per conto della città, e l’amò senza farle sconti. Scritture come pennellate, e stilettate. A leggerne le opere, numerose ed edite in circostanze non sempre facili da accertare, con quel linguaggio intriso di neologismi prensili di una condizione di vita reietta e marginale, se ne apprezzano l’informazione, l’abilità, la professionalità, la modernità, specie nell’ordito del noir: «Poi ci meravigliamo se la marea monta: versiamo lacrimoni di coccodrilli sugli eccessi della corruzione: ci diamo sembiante di cristiani e siamo complici di molto male» (Firenze sotterranea, cit., pp. 50 s.). Il poligrafo seppe immergersi in un’altra realtà prima che in altro realismo di poetica. Svelò con coraggio il volto socialmente di tenebra della città sedicente splendida. Rivelò, all’interno dell’antico ghetto ebraico, la longeva miseria di un popolo. Gli scritti sul tema, in Firenze sotterranea, replicarono dal 1884 in quattro edizioni. Firenze nuova era anche una città ferita nella sua più antica architettura.
Romanziere popolare, cronista di teatri e spettacoli (Sul palcoscenico e in platea, Firenze 1893), cultore del teatro classico e di quello popolare, biografo di cantanti, attori, acrobati, mimi e ballerine, Jarro fu la scrittura continua, l’occhio che vedeva e la penna che fedelmente registrava. Studioso di tradizioni letterarie, umorista-filosofo, frequentatore dell’alto e del basso, lasciò il segno sulla città, in molteplici vesti e tecniche espressive. Ebbe il polso di tutti i quartieri e strade, dalle arterie nobili e ricche alle suburre malfamate della povertà e del delitto («la più guitta gentaglia»). Anche l’arte culinaria diede popolare carisma alla sua saggia pinguedine. Personaggio tra i più caratteristici, estraneo a scuole e correnti di letteratura, nonostante che venisse da ottime scuole (Collegio dei nobili in Lucca, Perugia), padrone di una cultura vera, fu l’eclettico annalista della vecchia Firenze, al traguardo del nuovo secolo. Nel 1883 dava alle stampe L’assassinio nel Vicolo della Luna, uno dei primi polizieschi italiani, che inaugurava la quadrilogia del commissario Lucertolo. Dal sociologo del malessere passò agevolmente all’inchiostro del narratore: «Il più grande scoglio, – aggiunse il presidente – quando si tratta di scoprire un delitto misterioso, è un errore sul movente di esso. … Se le prime ricerche prendono una falsa direzione, più uno si avventura in queste, più si allontana dal vero…» (Il processo Bartelloni, IV ediz. riv. e corretta dall’autore, Milano 1906, p. 61). Si legga il profilo di una mitica gendarmeria: «Appena entrato nella polizia, lo aveva inebriato quella specie di occulta potenza, che trovano in essa coloro che vi appartengono; lo aveva inebriato ciò che essa ha di misterioso, di dominatore, di impreveduto. La polizia!…» (L’assassinio nel Vicolo della Luna, Milano 1883, p. 153).
Cronista del teatro e della sua mondanità: «I nomi degli attori Brunacci, Ferri, della attrice Elisabetta Marchionni son ben noti a coloro che non disdegnarono studii su la minuta storia della nostra Arte drammatica. E della Marchionni, una tra quelle donne, che sono l’incanto, il sorriso di un secolo, abbiamo dato poco sopra il ritratto» (Vittorio Alfieri a Firenze. Ricordo storico di Jarro su documenti inediti, Firenze 1896, p. 19).
Jarro era vissuto negli ultimi anni in un sobrio appartamento, colmo di trofei del tempo, e tavola imbandita, di un vecchio palazzo su cui incombeva la cupola del Duomo, prossimo alla sede della Nazione (dal censimento del 1911 risultava abitante in piazza Duomo, ma era propriamente via Ricasoli). Fu un occhio interiore, acuto e indagatore, nel magma delle sue cronache e storie. Un Ottocento di gazzette e di una piccola ma diffusa editoria popolare, in una Firenze dalla storia secolare, ma segnata ormai più dagli eventi recenti e delusori del processo unitario. La vitalità mitica di quel nome, umorista di razza e sopraffino gastronomo, nemico delle adulterazioni (e non solo ai fornelli), è stata rivelata recentemente, allorché nel 2002 a Ponte Milvio (Roma) è stato inaugurato un Wine-Bar, che riproponeva le sue antiche ricette. Al suo artigianato scrittorio dobbiamo un affresco di una città molto celebrata dalle storie ma che giungeva alle sue pagine vivaci ed esatte, come se fosse stata raccontata per la prima volta, senza infingimenti, semplicemente dal vero della nuova età moderna.
Morì sulle scale di casa propria, colpito da una sincope, il 14 febbraio 1915 a Firenze, città dove è sepolto in una tomba modesta nel cimitero della Misericordia di Soffiano su cui è un’iscrizione in marmo che lo proclama «mente serena arguta / cuore generoso / scrittore geniale / nel giornalismo italiano / dissertò con umorismo / di letteratura e d’arte».
Fonti e Bibl.: Vita di Ubaldino Peruzzi: scritta e pubblicata lui vivente, 2ª ed., Firenze 1891; 3ª ed. popolare con aggiunte…, Firenze 1898, con introduzione di G. Spadolini, Firenze 1992; L’origine della maschera di Stenterello (Luigi Del Buono 1751-1832): studio aneddotico su documenti inediti di Jarro, Firenze 1898 (rist. anast., Bologna 1975); Firenze, Archivio storico comunale, Fogli di famiglia, ad nomen. Firenze sotterranea. Appunti-ricordi-descrizioni-bozzetti, 4ª ed. ill. dal pittore F. Fabbi, con un nuovo Proemio, Firenze 1900; P. Ciampi, Voci della città, in Firenze e i suoi giornali. Storia dei quotidiani fiorentini dal 700 ad oggi, Firenze 2002; I ladri di cadaveri, a cura di C. Gallo e con introduzione di L. Crovi, Reggio nell’Emilia 2004.