PRINETTI CASTELLETTI, Giulio
PRINETTI CASTELLETTI, Giulio. – Nacque a Milano il 6 giugno 1851 da Luigi e da Giulia Brambilla, figlia del negoziante Giovanni.
La famiglia – originaria di Miasino sul lago d’Orta, presso Novara – si trasferì a Milano all’inizio del Settecento, dopo che alla fine del Cinquecento il patrizio Giulio Castelletti ne aveva ereditato nome e patrimonio.
Dediti alle attività di banco e di negozio, grazie a Ignazio (1754-1838) i Prinetti conobbero una spettacolare ascesa economica nel corso degli anni francesi, consolidata socialmente tramite un’abile strategia di intrecci matrimoniali con l’élite commerciale e imprenditoriale lombarda, di cui si avvantaggiò in particolare il primogenito Giulio, sposato con Giovanna Ciani e divenuto unico proprietario del negozio alla morte del padre Ignazio. A metà Ottocento, i figli maggiori di Giulio – Ignazio (1814-1867) e Carlo (1820-1911) – collocarono decisamente il casato sul fronte nazional-patriottico e liberale, partecipando attivamente al processo risorgimentale fra il 1848 e il 1859, e poi alla vita politica postunitaria in qualità di consiglieri comunali e provinciali di Milano oltre che di senatori del nuovo Regno, nominati rispettivamente nel 1860 e nel 1874. Lo stesso fratello minore Luigi (1828), il padre di Giulio Prinetti, nella primavera del 1848 fu inviato ufficioso del governo provvisorio lombardo presso la Confederazione elvetica e dopo l’unificazione fu a lungo sindaco di Merate, in Brianza, dove possedeva vasti fondi terrieri e un palazzo medievale, acquistato dalla famiglia nel 1810.
Lo zio Carlo, celibe e attivo dirigente della Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri di Milano, contribuì a trasmettere a Giulio non solo la passione per la politica, condivisa con i fratelli, ma anche quella ereditata dal nonno e dal padre per le attività imprenditoriali e per le innovazioni tecnologiche.
Insieme a molti futuri industriali della sua generazione, Prinetti frequentò l’Istituto tecnico di Milano e di seguito, dopo un biennio alla facoltà di matematica di Pavia, si iscrisse all’Istituto tecnico superiore, il futuro Politecnico, dove si laureò in ingegneria meccanica. Alla fine del 1873 il giovane Prinetti investì un prestito ricevuto dalla zia Carolina in quella «nuova officina per la fabbricazione dei turaccioli» (Licini, 1999, p. 39) che in breve tempo avrebbe fatto di lui e del cognato Augusto Stucchi, marito della sorella Gina e suo socio, i pionieri dell’industria meccanica italiana attraverso l’allargamento della produzione prima alle macchine da cucire (circa 10.000 all’anno con 400 operai impiegati), poi alle biciclette e, sul finire del secolo, ai tricicli e ai quadricicli a motore.
Dal 1878 consigliere provinciale di Como per il mandamento di Brivio, dove nel gennaio del 1864 lo zio Carlo era stato eletto alla Camera in una suppletiva contro Benedetto Cairoli, nel 1881 Prinetti prese il posto dello zio Ignazio sui banchi del Consiglio comunale di Milano e nelle consultazioni politiche dell’anno seguente si presentò con successo come candidato della Destra liberale trasformista nel collegio plurinominale di Como II, comprendente Lecco e la Brianza. Durante la campagna elettorale, condotta al fianco dell’ingegnere e imprenditore Giulio Vigoni, egli si proclamò, in omaggio allo spirito dell’allargamento del suffragio, «democratico per convinzione quando per democrazia non s’intenda il sovvertimento dello Stato» e dichiarò di accettare «in massima il programma di Stradella» (Carteggi elettorali. Collegio di Como II, in Corriere della sera, 21-22 ottobre 1882). Confermato nel maggio del 1886 anche grazie al sostegno del neoeletto industriale siderurgico Giulio Rubini, nel corso della XVI legislatura abbandonò la maggioranza trasformista e si distinse anche operativamente come esponente di spicco della Destra lombarda intransigente nella battaglia politica contro la «megalomania» statalista e riformatrice della prima esperienza di governo di Francesco Crispi, giudicato un «radicale autoritario» e pertanto combattuto strenuamente fuori e dentro il Parlamento.
Il 4 dicembre 1886 a Inverigo, in provincia di Como, Prinetti sposò Maria Francesca dei marchesi d’Adda Salvaterra (1860-1920) con la quale il 19 marzo 1891 ebbe Nicoletta, mentre due figlie gemelle nate il 14 marzo 1895 – Maria e Maddalena – morirono prematuramente.
Insieme a Cesare Alfieri di Sostegno, a Giuseppe Colombo e alla maggioranza dell’Associazione costituzionale di Milano, fu protagonista di un tentativo di organizzazione della politica inedito per l’universo liberale del tempo: la fondazione a Roma, nel giugno del 1889, della Federazione Cavour, dotata di un comitato esecutivo che si assegnava un ruolo direttivo e propulsivo nei confronti dell’associazionismo politico moderato allo scopo di spostare nella società civile lo scontro in atto con la leadership crispina, sul modello organizzativo e comunicativo dell’Estrema Sinistra, ma anche del nuovo ‘torysmo’ britannico.
Consapevole della crescente centralità della personalizzazione mediatica della politica, dalla fine degli anni Ottanta Prinetti fu particolarmente attivo con interventi e interviste su giornali e periodici, conferenze e discorsi in pubblico, al servizio dei quali mise la sua cultura di liberale conservatore, ancorata a solidi studi economici e alla conoscenza appassionata del positivismo coevo, in particolare di Herbert Spencer.
Dopo la rottura del maggio 1890 con il leader della Destra ministeriale Antonio Starabba di Rudinì, prendendo la parola al banchetto organizzato il 9 marzo 1891 al Caffè di Roma dall’Associazione nazionale conservatrice in onore di Stefano Jacini che ne assumeva la presidenza, Prinetti si impose come il trait-d’union fra una rinnovata tradizione moderata e l’orizzonte di un partito conservatore in costruzione. Di esso propose una declinazione neocavouriana – liberale, liberista e laica, ma non anticlericale – che avrebbe ispirato la sua condotta politica nel decennio successivo, secondo un’autonomia di azione assicuratagli anche dal collegio incontestato di Brivio, in cui fu eletto ininterrottamente dal 1892. Tuttavia, dopo la morte improvvisa di Jacini (al quale era legato sia da parentela per il matrimonio di quest’ultimo con la cugina Teresa Prinetti, sia da sintonia politica e comune fede religiosa cattolica), il deputato-imprenditore ritenne che, a causa del venir meno della personalità che da sola aveva fino ad allora incarnato il programma conservatore, una lunga fase organizzativa dovesse preparare il progetto del nuovo partito. A Milano il Circolo popolare e L’Idea liberale fondata nel 1892 da Giovanni Borelli con il sostegno economico di Prinetti divennero il primo fulcro dell’immaginato partito liberale conservatore, la cui costruzione subì però una duplice battuta di arresto.
Prima fu dilazionata dal breve ritorno al governo, fra il febbraio 1891 e il maggio 1892, della Destra di Antonio di Rudinì, con il quale Prinetti si riconciliò temporaneamente prima di contribuire alla sua caduta insieme a Colombo, ministro dimissionario delle Finanze, perché contrario all’aumento della pressione fiscale per mantenere invariate le spese militari. In seguito quel processo fu complicato dalla svolta filomoderata della seconda esperienza ministeriale di Crispi, che si guadagnò in chiave antiradicale e antisocialista il favore di ampi settori del cattolicesimo transigente e del liberalismo temperato centro-settentrionale, ai quali si rivolgeva parimenti l’offerta politica di Prinetti e dei suoi amici, ricollocatisi all’opposizione dal marzo 1892 ai primi mesi del 1896.
Riavvicinatosi a di Rudinì, al quale il Circolo popolare offrì simbolicamente un ricevimento durante il suo tour politico milanese di fine febbraio 1895, Prinetti ne sostenne inizialmente la nuova fase di governo apertasi all’indomani della definitiva caduta di Crispi. L’11 luglio 1896 entrò nel terzo dicastero presieduto dal marchese siciliano come ministro dei Lavori pubblici, dove era stato confermato come sottosegretario il deputato del collegio di Napoli XII, a lui vicino, Giacomo De Martino.
Il mandato si caratterizzò, da un lato, per il completamento dei lavori della commissione d’inchiesta sulle spese di costruzione delle ferrovie e la presentazione di una impietosa relazione da parte del ministro nel dicembre del 1896, dall’altro, per un’attenzione al Meridione basata sulla convinzione espressa in diverse sedi che «se l’Italia nuova non riuscirà a risolvere il problema amministrativo economico del Mezzogiorno, sarà venuta meno ad una delle maggiori finalità per le quali è sorta a dignità e grandezza di nazione» (Un discorso del ministro Prinetti a Foggia. Le bonifiche e l’acquedotto pugliese, in Corriere della sera, 15-16 novembre 1897).
Perplesso di fronte alla progressiva apertura verso la Sinistra liberale di Giuseppe Zanardelli, sancita dalla nomina di quest’ultimo a presidente della Camera, insieme al piccolo gruppo di parlamentari – per lo più industriali e professionisti lombardo-veneti, ma anche aristocratici e alti funzionari meridionali – che si era nel frattempo raccolto intorno alla sua leadership, Prinetti si schierò all’opposizione della strategia di concentrazione liberale promossa da di Rudinì con la formazione, a metà dicembre del 1897, del suo quarto ministero. Critico anche verso la strategia (e gli eccessi) della repressione del maggio 1898, intese in quei frangenti rimarcare la sua distanza dai moderati milanesi con un discorso tenuto al Circolo popolare il 19 maggio e dichiarando alla Camera il 18 dicembre 1898 di non essere «mai stato in attinenza con quella parte politica, con quel complesso di persone» chiamate la «consorteria lombarda» (Canavero, 1976, p. 224). Il giorno seguente sostenne la necessità di introdurre leggi restrittive su stampa e associazioni entro i limiti dello Statuto, ribadendo a fine mese al Circolo popolare l’appello all’unione delle forze liberali conservatrici, alla cui organizzazione aveva nel frattempo ripreso a lavorare intensamente, assumendo a fine luglio del 1898 la presidenza della nuova Associazione nazionale monarchica di Napoli e promuovendo dal 22 al 24 aprile 1899 a Milano un congresso delle associazioni liberali conservatrici con l’adesione di ottantacinque sodalizi in rappresentanza di 25.000 soci, conclusosi con il varo di una federazione sul modello di quella intitolata a Cavour nel 1890-91.
In questo quadro di rilancio del programma e della mobilitazione liberale conservatrice, dopo gli iniziali timori per la coloritura di sinistra, Prinetti e il suo gruppo assicurarono il loro sostegno al primo governo Pelloux, votando in prima e seconda lettura i disegni di legge concernenti i cosiddetti «provvedimenti politici». Come dichiarato da Prinetti alla Camera il 25 febbraio 1899 in un discorso dal forte valore progettuale e pubblicato – in presa diretta sulla Rassegna nazionale (XXI (1899), pp. 537-549), poi in opuscolo – con il titolo Per un programma conservatore-liberale, l’appoggio era tuttavia condizionato all’attuazione di riforme economiche e sociali che avrebbero dovuto accompagnare il ripristino del principio di autorità per sfidare apertamente sul piano politico le dottrine «collettiviste» dei rossi e dei neri. Il sostegno dei ‘prinettiani’ venne pertanto ritirato all’inizio dell’autunno del 1899 di fronte all’avvitarsi della situazione politica, dopo che il leader già nell’estate, nonostante l’iniziale adesione in chiave antiostruzionistica alla trasformazione in decreto-legge dei «provvedimenti politici», aveva preferito mantenersi indipendente rifiutandosi di entrare nel secondo ministero Pelloux, dominato esternamente dalla figura di Sidney Sonnino.
Dopo molti anni di collaborazione si concludeva il sodalizio con Colombo che, accettando alla riapertura dei lavori parlamentari la presidenza della Camera, decideva di coprire con la sua personalità il tentativo liberticida in atto, mentre Prinetti si ritrovava al fianco di Antonio di Rudinì, andando vieppiù le sue analisi a coincidere con quelle di Giolitti e Zanardelli, per i quali l’uscita dalla crisi di fine secolo sarebbe stata possibile soltanto attraverso una svolta riformatrice e progressista.
Dopo le elezioni politiche del giugno 1900 combattute nel quadro dell’opposizione costituzionale di Destra, Prinetti aprì ufficialmente alla Sinistra liberale, a lungo da lui avversata, con un discorso tenuto al cospetto dei suoi principali amici politici il 4 novembre 1900 a Merate, ma di vasta eco mediatica, in cui sostenne che «nell’orbita dei nostri ordinamenti v’è campo per tutte le riforme adatte a togliere le ragioni principali di malcontento, ad applicare tutta quella giustizia che è conciliabile colla essenza stessa dell’umanità» (Il programma politico dell’on. Prinetti, in La Stampa, 5 novembre 1900). Pertanto, forte di un seguito parlamentare ed extraparlamentare che si appoggiava su una oramai lunga esperienza politica, nel febbraio del 1901 Prinetti fu chiamato a ricoprire la carica di responsabile degli Affari esteri nel governo Zanardelli-Giolitti come esponente di maggiore spicco della Destra liberale conservatrice che si era ritratto per tempo dalle involuzioni autoritarie di fine secolo e poteva godere, per consuetudine pregressa, della fiducia del giovane re Vittorio Emanuele III.
Tradizionalmente riluttante riguardo alla Triplice alleanza e sensibile all’irredentismo, il nuovo ministro, che nell’assumere l’incarico aveva provveduto a mutare la ragione sociale della propria azienda da Prinetti Stucchi & C. in Stucchi & C., inserì l’inevitabile rinnovo del trattato, a fine giugno 1902, all’interno di un nuovo rapporto di amicizia con la Francia e la Gran Bretagna, garantito dal carattere difensivo e pacifico del legame con Germania e Austria-Ungheria. Ne seguirono le dichiarazioni riguardanti il riconoscimento italo-francese dei rispettivi interessi su Tripolitania e Marocco, nonché alla fine del 1902 gli accordi fra Prinetti e l’ambasciatore francese Camille Barrère che, sviluppando le precedenti obbligazioni assunte da Emilio Visconti Venosta nel 1900, stabilirono la reciproca neutralità franco-italiana in caso di aggressione.
Più in generale, egli portò nella sua breve permanenza alla Consulta un approccio nuovo alle relazioni internazionali, promuovendo, accanto a un’impostazione puramente diplomatica, la connessione virtuosa fra interessi economici e politica estera.
Il 29 gennaio 1903, mentre si trovava in udienza dal sovrano con Zanardelli e gli altri ministri, Prinetti fu colpito da un colpo apoplettico che, dopo un miglioramento che sembrò consentirgli di riprendere il suo posto, lo costrinse definitivamente alle dimissioni il 21 aprile. La sua carriera politica era praticamente finita, anche se fu rieletto nel 1904 e non rinunciò a partecipare alla vita parlamentare dichiarando apertamente il suo sostegno a Giolitti, con il quale aveva sviluppato un rapporto di amicizia personale oltre che politica.
Il 3 maggio 1903 aveva ottenuto tramite motu proprio reale il titolo di marchese, mentre fra il 1905 e il 1906 fu autorizzato ad aggiungere al proprio cognome quello di Castelletti.
Morì nella sua abitazione di Roma il 9 giugno del 1908 per una broncopolmonite.
Pochi mesi prima, nel febbraio del 1908, dopo un fidanzamento che aveva riempito le cronache mondane, la figlia Nicoletta aveva sposato il principe Francesco Boncompagni Ludovisi, con il quale avrebbe avuto quattro figli: Laura (1908), Gregorio (1910), Giulia (1914) e Alberigo (1918).
Opere. Scritti e discorsi: oltre ai testi citati si segnalano L’attuale situazione parlamentare e politica. Discorso del deputato G. P. pronunziato il 27 gennaio 1889 nella Sala della società permanente di belle arti per iniziativa del Circolo popolare di Milano, Milano 1889; La crisi del sistema parlamentare e i partiti politici in Italia, in Nuova Antologia, s. 3, XXVI (1890), 5, pp. 65-82; La politica ecclesiastica. Discorso detto alla Camera dei deputati il 7 dicembre 1891, Firenze 1892; Sui limiti della politica coloniale. Discorso alla Camera nella tornata del 18 Marzo 1896, Parma 1896; Sull’amministrazione dei Lavori pubblici. Discorsi di G. P. ministro dei Lavori pubblici pronunziati alla Camera dei deputati nelle tornate dell’11, 12 e 19 dicembre 1896, Roma 1896; Il discorso dell’ex-ministro P. all’Associazione nazionale monarchica di Napoli, in Corriere della sera, 1-2 agosto 1898; Sul bilancio degli Affari esteri. Discorso dell’onorevole ministro degli Affari esteri G. P. pronunciato alla Camera dei deputati nella tornata del 14 giugno 1901, Roma 1901.
Fonti e Bibl.: L’Archivio privato Stucchi Prinetti è conservato dagli eredi Stucchi Prinetti; documenti e carteggi di Prinetti sono rinvenibili a Roma presso il ministero degli Affari esteri, Archivio storico, e presso l’Archivio centrale dello Stato, Giovanni Giolitti, Fondo Cavour; Archivio di Stato di Brescia, Carte Zanardelli; Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Fondo Luigi Luzzatti; Biblioteca del Museo civico Correr, Epistolario Pompeo Molmenti; Milano, Biblioteca nazionale Braidense, Carteggio Bodio; La Spezia, Archivio Manfredo Da Passano; necr.: Marchese G. P., in L’Illustrazione italiana, 14 giugno 1908, p. 560.
A. Casati, Milano e i principi di Savoia. Cenni storici corredati di documenti storici, Torino 1853, p. 345; E.A. Foperti, G. P. e Antonio di Rudinì, in Rassegna nazionale, XXX (1908), pp. 61-67; S. Jacini, Un conservatore rurale della nuova Italia, II, Bari 1926, pp. 222, 231 s., 234, 239, 244; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, Milano 1932, pp. 506 s.; E. Serra, Camille Barrère e l’intesa italo-francese, Milano 1950; Id., L’intesa mediterranea del 1902. Una fase risolutiva nei rapporti italo-inglesi, Milano 1957; F. Fonzi, Crispi e lo ‘Stato di Milano’, Milano 1965, ad ind.; M. Belardinelli, Un esperimento liberal-conservatore: i governi di Rudinì (1896-1898), Roma, 1976, ad ind.; A. Canavero, Milano e la crisi di fine secolo 1896-1900, Milano 1976, ad ind.; P.L. Ballini, La destra mancata. Il gruppo rudiniano-luzzattiano fra ministerialismo e opposizione (1901-1908), Firenze 1984, ad ind.; F. Cammarano, Il progresso moderato. Un’opposizione liberale nella svolta dell’Italia crispina (1887-1892), Bologna 1990, ad ind.; A.A. Mola, G. P., in Il Parlamento italiano, VII, Roma 1990, pp. 122 s.; C. Besana, Economia e politica in Lombardia nell’età giolittiana. Composizione, azione parlamentare e cultura economica della deputazione lombarda negli anni della trasformazione strutturale della regione, in Archivio storico lombardo, CXIX (1993), pp. 198, 242; P. Pastorelli, G. P. ministro degli Esteri (1901-1902), in Nuova Antologia, 1996, vol. 576, pp. 53-70; S. Levati, La nobiltà del lavoro. Negozianti e banchieri a Milano fra Ancien Régime e Restau-razione, Milano 1997, pp. 183-185, 266-270, 299; F. Cammarano, Storia politica dell’Italia liberale 1861-1901, Roma-Bari 1999, ad ind.; P. Carusi, Superare il trasformismo. Il primo ministero di Rudinì e la questione dei partiti ‘nuovi’, Roma 1999, pp. 89, 272 s., 276, 286; S. Licini, Guida ai patrimoni milanesi: le dichiarazioni di successione ottocentesche, Soveria Mannelli 1999, pp. 39, 68, 142; Cattolici e Liberali. Manfredo Da Passano e «La Rassegna Nazionale», a cura di U. Gentiloni Silveri, Soveria Mannelli 2004, pp. 41, 147, 157, 160; Camera dei Deputati, Portale storico, http:// storia.camera.it/deputato/giulio-prinetti-dimerate- 18510606/componentiorgani#nav (12 febbraio 2016).