GIGLIOLI, Giulio Quirino
Nacque a Roma il 25 marzo 1886 da Alfredo e da Pierina Galli. Compiuti gli studi classici presso il liceo-ginnasio Visconti di Roma, nel 1904 si iscrisse all'università scegliendo il corso di laurea in lettere classiche, dove seguì, tra gli altri, le lezioni di E. Pais e J. Beloch per la storia antica, di R. Lanciani per la topografia e di E. Löwy per l'archeologia e la storia dell'arte antica. Proprio avendo come relatore il Löwy, il G. si laureò nel 1910 con una tesi sulle decorazioni del trono dello Zeus fidiaco di Olimpia, uno studio analitico e ben documentato, successivamente pubblicato nelle Memorie dell'Accademia dei Lincei (Il trono dello Zeus di Fidia ad Olimpia, XVI [1920], pp. 219-373).
Sempre nel 1910 divenne assistente alla cattedra di archeologia e storia dell'arte antica. Tra l'autunno di quell'anno e l'estate del 1912 fu chiamato come collaboratore dal Lanciani - che considerò sempre come uno dei suoi principali maestri - con l'incarico di segretario della mostra archeologica alle terme di Diocleziano, organizzata in occasione del cinquantenario della proclamazione dell'Unità d'Italia, di cui curò anche il catalogo; questa esperienza costituì la base su cui, molti anni dopo, il G. doveva poggiare il suo progetto di un museo dell'impero romano.
L'attività scientifica di questi primi anni consiste in contributi epigrafici e topografici su materiali provenienti preminentemente dall'Umbria e dal Lazio, in cui già si delinea il carattere delle sue ricerche future: articoli dedicati a singoli monumenti, illustrazione di scavi, caratterizzati dall'attenzione a problemi circoscritti, spesso con eccessiva concessione all'aspetto erudito dei temi affrontati.
Nel 1912 il G. vinse il concorso di ispettore alle Antichità presso il Museo archeologico di Napoli, dove si occupò del riordinamento della collezione dei vasi greci ed eseguì scavi nel territorio della sovrintendenza e a Pompei. Dopo circa un anno, sempre per concorso, fu trasferito a Roma presso il Museo etrusco di Villa Giulia: qui, sotto la guida di G.A. Colini, iniziò la sua fortunata carriera di esploratore dell'Etruria meridionale e del territorio falisco.
Una tappa fondamentale per la carriera e per l'orientamento delle ricerche del G. è legata agli scavi intrapresi nel territorio di Veio fin dal 1914 e interrotti nel marzo del 1915 per partire volontario in guerra. Approfittando di una licenza straordinaria, poté successivamente riprenderli nell'inverno e nella primavera del 1916, riportando alla luce grandi statue fittili, tra cui il celebre Apollo.
Il G. le interpretò come pertinenti a un gruppo isolato su una base, un anathema, ovvero un'offerta votiva, proponendo anche di attribuirne la paternità al famoso scultore Vulca, conosciuto dalle fonti come autore delle statue del tempio di Giove Capitolino (Statue fittili di età arcaica, in Rendiconti dell'Accademia nazionale dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, XVI [1919], pp. 13 ss.; Vulca: la resurrezione di un grande scultore etrusco, in Rassegna d'arte antica e moderna, n.s., VII [1920], pp. 33-42). Anche se successivamente l'ipotesi circa la collocazione delle statue fu respinta in favore di una disposizione sul columen del tetto dell'edificio templare, il G. dimostrò, comunque, in questa occasione, una notevole padronanza nella capacità d'inquadramento cronologico e stilistico delle opere, tenendo soprattutto conto della scarsità delle conoscenze che ancora caratterizzava la produzione artistica etrusca.
Nel 1917 conseguì la libera docenza in archeologia e storia dell'arte antica nell'Università di Roma. Dal 1919 successe al Colini nella direzione del Museo di Villa Giulia e a tale ruolo è principalmente legata l'attività scientifica di questi anni, caratterizzata da contributi in parte originati dalle indagini sul territorio della sovrintendenza, in parte dai materiali presenti nel museo stesso.
Fra l'altro illustrò la collezione di vasi greci del museo (I più bei vasi greci di Villa Giulia, in Dedalo, III [1922], pp. 69-91), cui fece seguire una più sistematica attività di pubblicazione della collezione vascolare nel Corpus vasorum antiquorum in tre fascicoli, tutti editi a Roma rispettivamente nel 1925, 1926 e 1928.
Parallelamente all'impegno nella ricerca archeologica, il G. si dedicò anche alla carriera politica le cui tappe accompagnarono quelle della carriera accademica: nel 1920 venne eletto consigliere comunale a Roma, quindi assessore alle Belle Arti.
Questo incarico lo pose a diretto contatto con le antichità cittadine, permettendogli di affrontare i problemi del restauro dei monumenti (Restauro di capolavori dell'architettura antica, in Architettura e arti decorative, III [1923], 4) e di interessarsi in particolare all'attività della Commissione archeologica comunale e alle raccolte capitoline, di cui promosse il riordinamento.
Nel 1923, già supplente di L. Mariani a Roma per la cattedra di archeologia e storia dell'arte antica, vinse il concorso di professore straordinario per la stessa materia nell'Università di Torino, da dove, pochi mesi dopo, passò a Pisa: qui, come membro della Commissione conservatrice dei monumenti della provincia, si occupò principalmente del riordinamento delle collezioni antiche del Camposanto, finché, nel 1925, fu richiamato a Roma sulla cattedra di topografia dell'Italia antica (L'importanza degli studi topografici per la storia dell'antichità, in Rassegna italiana, IX [1926], pp. 97-108).
Anni dopo R. Bianchi Bandinelli doveva commentare polemicamente che l'unico titolo del G. al riguardo consisteva nell'aver discusso la sua tesi su Clusium (Diario di un borghese, Roma 1996, p. 374).
Nel 1926, nominato rettore del Governatorato di Roma per la II Ripartizione (Patrimonio, antichità e belle arti), partecipò allo scavo e al restauro di alcuni tra i principali monumenti di Roma (foro di Augusto, sepolcro degli Scipioni, teatro di Marcello) ed elaborò un progetto di ampliamento dell'Antiquarium del Celio, avviando i lavori, poi condotti a termine da A. Muñoz. Contemporaneamente dava inizio all'impresa di scavo di un monumento destinato a rivestire, all'epoca, una funzione simbolica non solo culturale ma anche politica: il mausoleo di Augusto.
Lo scavo rispondeva a un duplice scopo, scientifico e, appunto, politico, delineatosi in seguito alla decisione del capo del governo, B. Mussolini, di isolare enfaticamente il sepolcro del fondatore dell'impero. Pertanto il G. dichiarò fin dall'inizio la volontà di acquisire una documentazione precisa al riguardo, pur esprimendosi, al momento, a favore della continuità d'uso del luogo come sala da concerto (Relazione della prima campagna di scavo nel mausoleo di Augusto, in Bull. della Commissione archeologica comunale, LIV [1926], pp. 228-234, in coll. con A.M. Colini).
Nel 1927 fu pubblicata, a Firenze, l'Arte etrusca a doppia firma, di P. Ducati e del G., cui furono affidati la parte introduttiva e i capitoli inerenti all'architettura e alla scultura. L'opera, che seguiva di un anno il I Congresso nazionale etrusco di Firenze, si presenta come una sintesi delle coeve conoscenze sulla civiltà degli Etruschi.
Già in questo lavoro si rivelano le caratteristiche salienti riscontrabili anche nelle successive opere monografiche del G.: presentazione ampia di materiali, descritti con linguaggio semplice e chiaro, privilegiando l'aspetto didattico; assenza di approfondita speculazione sui grandi temi della ricerca archeologica e di una trattazione dei problemi artistici a largo raggio, seguendo piuttosto la concezione di una storia dell'arte trattata attraverso lo studio dei grandi monumenti.
Contemporaneamente all'attività universitaria, il G. non rallentò il suo impegno quale organizzatore di imprese archeologiche, dando il via, nel 1926, ai primi atti per la costituzione del Museo dell'impero romano che può, a buon diritto, essere considerato il primo nucleo del futuro Museo della civiltà romana.
Il G., ora rettore per le Belle Arti del Governatorato di Roma, si incaricò, dunque, di dare concretezza al progetto, ventilato dal suo vecchio maestro Lanciani all'epoca dell'Esposizione del 1911, di raccogliere tutto il materiale in mostra nelle sale delle terme di Diocleziano per collocarlo in un museo che esponesse le testimonianze più complete relative alla storia dell'impero romano: operazione scientifica e museologica perfettamente funzionale agli ideali del fascismo, nell'esaltazione della risorta coscienza dei valori nazionali e del culto della romanità.
Inaugurato nel natale di Roma del 1927 nella primitiva sede dell'ex convento di S. Ambrogio, presso il ghetto, il museo fu poi riordinato, per la cura del G., nominato direttore, nei nuovi locali del vecchio pastificio Pantanella a piazza Bocca della Verità (Il Museo dell'impero romano [catal.], Roma 1929). La nuova istituzione, unica nel suo genere, presentava una vasta documentazione della civiltà romana, raddoppiata rispetto alla mostra del 1911, e a essa facevano capo numerose iniziative didattiche e scientifiche.
Nel contempo il G. non trascurava lo studio di argomenti specifici, affrontando l'esegesi di singoli oggetti che si prestavano a considerazioni storico-antiquarie, e raggiungendo, in alcuni casi, risultati scientifici di notevole livello.
Ne è un esempio il saggio (in Studi etruschi, III [1929], pp. 111-159) sull'oinochoe di Tragliatella - proveniente dalla collezione Tittoni di Roma, di cui l'autore pubblicò altri esemplari - considerato un'esemplare edizione critica di un vaso etrusco del tardo VI secolo a.C. (Pallottino, p. 15). A cavallo degli anni Trenta il G. si occupò della produzione artistica etrusca, dalle oreficerie ai bronzetti, ed eseguì saggi di scavo a Veio, nella necropoli e nel santuario di Portonaccio.
Nel frattempo un nuovo progetto andava lentamente prendendo forma, suggerito dall'enfatizzazione dei saggi di scavo nel mausoleo di Augusto (Il sepolcreto imperiale, in Il mausoleo di Augusto, Roma 1930, pp. 7-42; e, più tardi, L'isolamento dell'Augusteo, in Atti del III Congresso nazionale di studi romani, I, ibid. 1934, pp. 251-255), i quali offrirono al G. l'occasione per proporre alcune ipotesi per le celebrazioni del bimillenario della nascita di Augusto, presentate durante il II Congresso di studi romani (Per il secondo millenario di Augusto, in Atti del II Congresso nazionale di studi romani, I, ibid. 1930, pp. 278 s.). Sul momento, però, ancora nulla faceva prevedere la realizzazione della grande mostra augustea, la cui idea incominciò a circolare solo qualche tempo dopo, nel 1932, come si evince dal carteggio tra il G. e Mussolini. Incaricato ufficialmente di allestirla proprio in quell'anno, e nominato direttore generale, il G. incominciò a raccogliere in ogni parte del mondo il cospicuo materiale scientifico grazie al quale, il 23 sett. 1937, inaugurò la mostra nel palazzo delle Esposizioni.
La mostra, con le sue 82 sezioni, fu il risultato di uno sforzo colossale per illustrare il mondo romano in tutti i suoi aspetti; vi fu raccolto il più insigne patrimonio di testimonianze d'arte e di storia giuntoci da quell'epoca: 200 plastici, più di 3000 calchi, litografie, piante, iscrizioni dalle origini leggendarie dell'VIII sec. a.C. fino al VI sec. d.C. Sebbene il discorso inaugurale e la presentazione del catalogo dichiarassero inequivocabilmente il legame funzionale e politico con il regime fascista da un lato e la strumentalizzazione della figura di Augusto e della romanità dall'altro (Mostra augustea della romanità [catal.], Roma 1938, pp. V ss., XI ss.), va riconosciuto al G. il merito di aver condotto a termine un'impresa di straordinaria portata per lo studio del mondo romano.
Fu questo il periodo di massima attività per il G. sia sul piano organizzativo, sia su quello della carriera accademica e politica. Nel 1935, per decreto ministeriale, ottenne di passare alla cattedra di archeologia e storia dell'arte antica, succedendo a G.E. Rizzo. Nominato direttore del Museo dei gessi dell'università, proseguì l'ordinamento della raccolta, già iniziato da D. Mustilli subito dopo il trasferimento dall'ospizio di S. Michele a Ripa, riuscendo quasi a raddoppiare la collezione di calchi. Nello stesso anno fu eletto deputato. L'intensa attività di scavo nel territorio dell'Etruria e la relativa illustrazione di monumenti etruschi gli consentirono, poi, di pubblicare il più grande repertorio di immagini e di documentazione bibliografica fin allora disponibile (1115 monumenti) nel nuovo volume su L'arte etrusca (Roma 1935).
Anche in questo lavoro il G. privilegia l'interesse per l'aspetto didattico - che è anche uno dei pregi del suo ponderoso volume - esprimendo, inoltre, una positiva rivalutazione dell'arte etrusca, ideologicamente intesa come prima manifestazione culturale italica che riveli una sua "rude, possente originalità", e quindi orientata nel senso indicato dal nazionalismo imperante. In seguito, nella seconda metà degli anni Trenta, la ricerca scientifica del G. appare saldamente attestata sullo studio di ulteriori materiali etruschi, italici e romani che gli offrirono l'occasione di brevi note e osservazioni a margine (Il trofeo d'Augusto alla Turbia, in Palladio, IV [1940], pp. 147-154; Il "Regisole" di Pavia, in Bull. del Museo imperiale, XI [1940], pp. 57-66); mentre la sua attenzione all'arte greca è documentata soltanto dalle dispense universitarie (Archeologia e storia dell'arte classica: lezioni, Roma s.d. [ma 1939-40], raccolte da Maria Floriani Squarciapino).
Gli stretti legami del G. col fascismo furono, dopo la caduta del regime, all'origine dei provvedimenti disciplinari presi nei suoi confronti da parte del governo alleato: dopo l'8 luglio 1944 fu sospeso dall'insegnamento, sottoposto a provvedimento di epurazione e fu tra i pochi che subirono l'umiliazione della deportazione, a Padula; la sua cattedra, ritenuta vacante, fu provvisoriamente affidata all'allievo E. Vergara Caffarelli.
A questo proposito va ricordato che, nonostante il forte coinvolgimento con gli organi politici fascisti e la costante affermazione della retorica della romanità, il G., in alcune occasioni, seppe anche prendere posizioni contrarie alle direttive del regime, come nella circostanza della demolizione della Meta sudans, nel 1934, o in quella della vendita del Discobolo Lancellotti ai Tedeschi, dopo la visita di A. Hitler del 1938, impegnandosi successivamente anche a nascondere alcuni ebrei.
Nel febbraio del 1947 venne reintegrato in ruolo. Per suo merito nel 1948 l'Accademia di S. Luca donò alla gipsoteca dell'università i calchi dei guerrieri di Egina presi dopo il restauro degli originali da parte di B. Thorvaldsen. Ripresa appieno l'attività, volle dotare l'istituto di archeologia di una propria pubblicazione fondando, nel 1949, Archeologia classica.
Ispirato all'American Journal of archaeology e alla Revue archéologique, il periodico, nell'intenzione del G., doveva contenere articoli "non soltanto riferibili ad oggetti e monumenti di recente scoperta, bensì anche ad inediti di musei e collezioni private, ed inoltre saggi critici su singole opere d'arte, personalità di maestri, scuole, culture artistiche e discussioni e notizie e recensioni" (premessa al n. 1). Personalmente egli inaugurò la rubrica Cronache del Museo dei gessi ove presentava ricostruzioni di celebri opere d'arte dell'antichità, come il gruppo dei Tirannicidi e il cosiddetto Oplitodromos attribuito a Epicharinos (Recenti restauri di sculture antiche nel Museo dei gessi dell'Università di Roma, I [1949], pp. 69-72; Restauro dell'Oplitodromo di Tubinga, II [1950], pp. 212-215).
Pochi anni più tardi, nel 1952, portò a compimento uno studio monografico sulla colonna di Arcadio a Costantinopoli in cui dava una presentazione della documentazione sopravvissuta sullo zoccolo e di quella conservata tramite i disegni (in Memorie dell'Accademia di archeologia lettere e belle arti di Napoli, II [1952], pp. 47-51, 60-62): il G., pur riconoscendo la colonna come espressione del "rinascimento claudiano", usualmente ricollegato alla temperie pagana ravvivata dal patriziato romano, vi rintraccia, tuttavia, la presenza di una preminente componente cristiana, sostenuta dall'imperatore Teodosio e rappresentata da eminenti figure della Chiesa.
Il G. riuscì, infine, a vedere il termine dell'impresa museale, iniziata con la mostra del 1911, con l'avvenuta riunificazione dei materiali del Museo dell'impero con quelli della grande mostra augustea, esposti in parte già nel 1952 e poi definitivamente, nel natale di Roma 1955, nel nuovo Museo della civiltà romana (A.M. Colini - G.Q. Giglioli, Il Museo della civiltà romana, Roma 1955).
Fuori ruolo dall'anno accademico 1955-56, il G. morì a Roma l'11 nov. 1957.
La personalità del G. è rimasta a lungo prigioniera in un rigido schema di giudizio i cui termini sono stati costituiti da fascismo e antifascismo. La sua figura è stata, da un lato, eccessivamente posta in ombra dalla critica di sinistra che vi ha visto l'esemplare del "fascista archeologo […] che fa l'archeologo, l'intellettuale […] organico sia al disegno di formazione del consenso […] che alla gestione di quel consenso" (Manacorda, pp. 451 s.) e, dall'altro, delineata troppo benevolmente nella considerazione che egli "vide il fascismo in funzione di un programma nazionale […] e non fu mai il corifeo di una neoromanità" (Pallottino, pp. 9 s.). I suoi tratti si possono meglio comprendere all'interno della tradizione familiare in cui agivano la componente patriottico-militare del padre ufficiale e quella liberal-nazionalistica di stampo mazziniano della madre che lo portò, fin dal 1910, ad aderire al nazionalismo e quindi al fascismo con una forte accentuazione nel senso della romanità.
Sul piano scientifico va soprattutto riconosciuto al G. di essere stato un grande organizzatore, in particolare nell'ambito museale (si veda la voce Museo, in Enciclopedia Italiana, XXIV, coll. 113 s.), e di aver contribuito a dare un notevole impulso agli studi di etruscologia.
Collaborò all'Enciclopedia Italiana sin dal primo volume, con voci di archeologia classica, topografia e storia antica.
Socio dell'Accademia nazionale dei Lincei, accademico di S. Luca, accademico d'Italia, membro dell'Istituto di studi etruschi e italici (di cui nel 1957 diventò presidente onorario), dell'Istituto di studi romani, del Consiglio superiore di antichità e belle arti, socio della Pontificia Accademia romana di archeologia, il G. fu anche deputato al Parlamento e consigliere nazionale del partito fascista.
Fonti e Bibl.: Documentazione sul G. è reperibile nell'archivio privato Bianchi Bandinelli a Geggiano (Siena); Roma, Arch. stor. dell'Università degli studi "La Sapienza", fascicolo personale; G.Q. Giglioli, Rodolfo Lanciani, in Bull. della Commissione archeologica comunale, LVII (1929), pp. 374, 380 ss.; A.M. Colini, G.Q. G., in Studi romani, VI (1958), pp. 68 s.; M. Pallottino, G.Q. G., in Quaderni di Studi romani, s. 1, 1958, n. 19 (con bibl. a cura di R.A. Staccioli); R.A. Staccioli, G.Q. G.: nota biografica e bibliografica, in Archeologia classica, X (1958), pp. 2-8; D. Mancioli, La mostra archeologica, in Dalla Mostra al Museo. Dalla mostra archeologica del 1911 al Museo della civiltà romana, Venezia 1984, pp. 52-61; A.M. Liberati Silverio, 1. Il Museo dell'impero romano, 1927-1929, ibid., pp. 65 ss.; 2. Il Museo dell'impero romano, 1929, ibid., pp. 68-73; G. Pisani Sartorio, Il Museo della civiltà romana, ibid., pp. 105-110; D. Manacorda, Per un'indagine sull'archeologia italiana durante il ventennio fascista, in Archeologia medievale, IX (1982), pp. 452 s.; M. Barbanera, Il Museo dell'arte classica (catal.), Roma 1995, pp. 27 ss.; F. Scriba, Augustus im Schwarzhemd? Die Mostra Augustea della Romanità in Rom, 1937/38, Frankfurt a.M. 1995, passim (in partic., pp. 60-73); G. G.Q., in Enc. Italiana, Terza Appendice, I, p. 758.