RICASOLI, Giulio
– Nacque, probabilmente a Firenze, il 9 settembre 1520 da Antonio di Bettino Ricasoli e da Ginevra di Jacopo Conte Medici. Suo unico fratello fu Leone, il cui percorso biografico s’intrecciò con quello di Giulio sia nelle ambascerie stabili a Siena sia nei ruoli di carattere amministrativo-militare assunti nel corso della guerra tra le forze franco-senesi e dei fuoriusciti contro le truppe imperiali e medicee. Al battesimo di Giulio fu padrino il cardinale Giulio de’ Medici, poi Clemente VII, all’interno di una trama di amicizia, fedeltà e parentela che da allora avrebbe costantemente legato i Ricasoli ai Medici. Del periodo giovanile della sua vita, dal 1520 al 1553, non conosciamo quasi niente.
Nel 1553 Cosimo I inviò a Siena Giulio come ambasciatore, dopo aver richiamato il fratello Leone la cui congiura per rovesciare il governo popolare protetto dai francesi era stata scoperta. Giulio in realtà continuò la pericolosa azione di destabilizzazione avviata da Leone e, dopo la scoperta di una nuova congiura filomedicea in cui erano coinvolti i Salvi nella primavera del 1553, l’ambasciatore riuscì a stento a mettersi in salvo. Nel 1554 lo troviamo nelle fila dell’amministrazione militare medicea come commissario di Lucignano in Val di Chiana, carica che occupava ancora nel 1556 (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 439, c. 253; 453). Sempre nel 1554 venne inviato in ambasceria presso il marchese Giovanni Giacomo Medici, comandante in capo delle forze ducali e imperiali. Con l’inizio delle ostilità militari Giulio offrì ai Medici l’importante base logistica dei suoi possedimenti del Chianti e, ricevendo l’incarico di commissario di guerra, operò per conquistare le terre limitrofe fedeli ai senesi. Nel febbraio del 1554 l’assedio del paese senese di San Gusmè da lui condotto ebbe esito negativo e Ricasoli fu costretto a ritirarsi dietro la pressione delle popolazioni rurali delle limitrofe località delle Crete, rimaste fedeli alla Repubblica, riuscendo soltanto a salvare l’artiglieria e a riparare a Brolio, che provvide a fortificare. Nelle fasi belliche successive alla caduta di Siena (aprile 1555), continuò a operare in Val di Chiana come commissario generale delle bande granducali e si mosse contro i centri rimasti fedeli a Siena, Chiusi e Sarteano, riuscendo a espugnare personalmente solo la seconda delle due località. Nell’agosto del 1555 si adoperava per assicurare la spedizione dei dispacci tra i comandanti medicei (Mario Sforza di Santa Fiora tra questi) e il nuovo governatore spagnolo di Siena don Francisco de Toledo, intercettati dai francesi che a dispetto della caduta della città capitale ancora controllavano ampie fasce del territorio (ibid., Miscellanea Medicea, 126, ins. 4, cc. 84-85).
Nel 1557, lasciate le armi, iniziò quella che sarebbe stata una lunghissima attività diplomatica al servizio di Cosimo I; in quell’anno fu inviato prima a Parma e poi a Torino a trattare con i rispettivi duchi un loro eventuale coinvolgimento nella guerra contro Paolo IV Carafa. Nel giugno del 1559 fu di nuovo inviato presso il duca di Savoia Emanuele Filiberto I per congratularsi del ritorno nei suoi Stati dopo Cateau-Cambrésis e del matrimonio, stabilito nelle clausole del trattato, con Margherita di Valois, figlia di Francesco I; proprio da questo matrimonio, secondo Ricasoli, sarebbe discesa «la tranquillità di tutta Italia afflitta già molti et molti anni» (Mediceo del Principato, 2634, nn. 458, 461). Sempre sul finire del 1559 fu inviato a Roma per congratularsi con Pio IV Medici dell’assunzione al soglio papale. In ricompensa dei suoi servigi fu eletto nel 1563 tra i senatori fiorentini, nei cui ranghi da dieci anni sedeva anche il fratello Leone. In quello stesso anno si recava nuovamente a Roma, nel quadro delle trattative e dei preparativi che accompagnarono la concessione della porpora al cardinal Ferdinando de' Medici e ad Agnolo Niccolini.
La sua ambasceria più significativa fu comunque quella condotta a Vienna presso l’imperatore Massimiliano II d’Asburgo. Giunto a Vienna gli ultimi di giorni di settembre del 1564 per condolersi della morte dell’imperatore Ferdinando I, avvenuta nell’agosto precedente, Ricasoli e il suo segretario Emilio Vinta sostituirono stabilmente il residente mediceo Antonio dell’Albizzi e il segretario Iacopo Dani. Nel corso della missione che si protrasse fino al marzo del 1565, Giulio dovette curare la delicatissima questione del progettato parentado tra i Medici e gli Asburgo attraverso il matrimonio del principe Francesco e della principessa Giovanna. I negoziati si protrassero per circa un biennio, vincolati come furono al pagamento effettivo della dote che la famiglia dello sposo in questo caso avrebbe dovuto versare nelle casse degli Asburgo, e terminarono con la firma dei capitoli matrimoniali da parte dell’imperatore Massimiliano nel marzo del 1565 (Mediceo del Principato, 4327, c. 63r). Per tutto il tempo della sua missione, Ricasoli sembra aver faticato non poco ad accreditarsi in una corte popolata da nobili titolati, e in sostegno di una figura che sembra patire l’assenza di dignità formali dovettero intervenire sia Mario Sforza conte di Santa Fiora sia Sigismondo de’ Rossi, conte di San Secondo, due feudatari e comandanti medicei che come Ricasoli erano stati impegnati nel conflitto senese.
Fu forse alla luce della necessità di corredare i propri diplomatici di un blasone signorile, unita al riconoscimento dei preziosi servigi, che proprio Giulio dal marzo 1565 cominciò a essere qualificato, primo della sua famiglia, barone della Trappola e Rocca Guicciarda (o Ricciarda; il principe Francesco a Giulio Ricasoli, Seravezza, 28 marzo 1565, ibid., 4327, c. 63). Si trattò di un titolo, ottenuto grazie al benigno favore di Cosimo I Medici, che trasformò in dignità feudale l’antica signoria rurale esercitata per consuetudine da alcuni Ricasoli su quei territori montuosi ubicati tra l’alto Valdarno e il Casentino.
A Vienna Ricasoli, oltre a incontrare in più occasioni l’imperatore Massimiliano II e l’arciduca d’Austria, ebbe prossimità e amicizia con le più importanti figure della corte asburgica: Giovanni Zasio di Costanza consigliere dell’imperatore, il conte di Harrach, il nunzio Zaccaria Delfino, che ricevette la nomina cardinalizia proprio mentre si trovava a Vienna. In questo seguiva alla lettera le istruzioni che aveva ricevuto da Firenze, volte a intercettare in maniera mirata favori del d’Harrach, allora maggiordomo maggiore dell’imperatore. Oltre a loro venne necessariamente in contatto con molti principi e ambasciatori rappresentanti del composito mondo dell’Europa centrosettentrionale, con i quali avrebbe dovuto comportarsi cautamente nel cerimoniale, fatta salva la regola di non cedere mai luogo all’ambasciatore di Genova e Ferrara (ibid., 2634, c. 580r).
Se il suo obiettivo fu sovrintendere all’accordo matrimoniale che avrebbe legato Medici e Asburgo, conseguendo una parentela che i rivali Este avevano già conquistato, egli dedicò molte delle sue lettere a descrivere vicende e momenti delle guerre condotte sul fronte orientale contro i turchi e il voivoda di Transilvania, rilanciando verso Firenze un flusso serrato di informazioni militari che giungevano a Vienna dall’Europa dell’Est. In corte cesarea Giulio dovette anche difendere il proprio duca dalle voci che arrivavano all’imperatore Massimiliano suggerendo un suo coinvolgimento nella sollevazione dei corsi (ottobre 1564, ibid., 4324). Ricasoli doveva anche garantire sulla gestione delle carceri delle Stinche, smentendo una falsa e cattiva relazione avuta dall’imperatore su quelle prigioni, da lui definite «carceri de’ gentilhuomini e le più accomodate che si costumino per prigioni» (c. 585r). Era chiamato inoltre a interessarsi alla causa portata davanti ai consiglieri imperiali dagli Orsini, i conti Nicola (Niccolò) e suo padre Giovan Francesco, in merito alla titolarità del feudo di Pitigliano al confine meridionale tra Granducato e Stato della Chiesa, su cui i Medici, mentre sostenevano la parte del conte padre e dei suoi avvocati, coltivavano chiari interessi territoriali (ibid., 4327, c. 64r; Fosi 2007).
Giulio lasciò Vienna nel maggio del 1565 e nel giugno successivo tornò nuovamente in missione diplomatica a Roma presso Pio V, per professare la consueta fedeltà medicea e trattare più concretamente alcune questioni inerenti il conte Sigismondo de Rossi, il conte Giovan Francesco da Bagno e l’assegnazione di una coadiutoria dell’arcivescovato di Firenze richiesta da Alessandro de’ Medici (Mediceo del Principato, 2634, cc. 584-585). Fu di nuovo sui confini dello Stato mediceo sul finire del 1569 per incontrare Michele Bonelli, il nipote di Pio V latore della bolla papale che concedeva a Cosimo il titolo granducale.
Questo viaggio, che coronava le aspirazioni coltivate dai Medici per più di un decennio, fu il suo ultimo incarico. Morì senza lasciare eredi l’anno successivo, nel 1570, probabilmente a Firenze e dopo l’ottobre, quando figura ancora come luogotenente del Magistrato supremo (ibid., Raccolta genealogica Sebregondi, Ricasoli, 4431).
La luogotenenza del massimo tribunale mediceo fu solo l’ultima di una serie di numerosi uffici interni ricoperti da Giulio, spesso con serrata iterazione: fu dei Dodici buonomini nel 1537 e 1564; nel 1563 fu del Senato dei 48; nei quattro anni successivi fu uno degli Otto accoppiatori, carica che tenne ancora nel triennio 1568-70. Nel 1565 fu tra i consiglieri del granduca, e così ancora nel 1569; nel 1565 fu tra gli Otto di pratica, nel 1566 tra gli Otto di custodia e l’anno successivo tra i Capitani di Parte guelfa.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, Carteggio universale di Cosimo I de’ Medici, 431, 439, 448, 449, 449/a, 450, 450/a, 452, 453 (v. inventario del Carteggio Universale per l’indicazione delle carte); 544, 546; 2634-2635 (Istruzioni); 4324-4328; Raccolta genealogica Sebregondi, Ricasoli, 4431; Manoscritti, 321; Miscellanea Medicea, 126, ins. 4; 294, ins. 21.
D.M. Manni, Il Senato Fiorentino, ossia la notizia de’ Senatori Fiorentini, Firenze 1771, pp. 101 s.; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, ad ind.; I. Fosi, Niccolò Orsini ribelle a Cosimo I e al papa, in Les procès politiques (XIVe-XVIIe siècle), Roma-Paris 2007, pp. 273-289.