GIULIO Romano
Giulio Pippi, detto Giulio Romano, pittore e architetto, figlio di Pietro Pippi; nacque a Roma, secondo il Vasari suo amico, nel 1492, secondo altri computi nel 1499; morì a Mantova nel 1546. Giovanissimo s'iniziò all'arte come aiuto di Raffaello del quale divenne ben presto il discepolo di fiducia, dipingendo sui suoi cartoni, edificando sui suoi disegni. Nel 1515 già dipingeva con caratteri personali la parte sinistra dell'Incendio del Borgo e nel 1517 nella stessa sala terminava le figure monocrome dello zoccolo. Fra il 1516 e il 1519 Raffaello gli trasmetteva la direzione della decorazione delle Logge vaticane; e nel 1518 gli faceva condurre in troppo gran parte i quadri commessigli per Francesco I, e la Favola di Psiche alla Farnesina.
G., per quanto sicuro nel disegno, fu dal proprio talento e dalla propria facilità trascinato a trascurare la morbidezza e succosità del colorito abbandonandosi a una tecnica manieristica di tocco duro e di tono rossiccio con forti risalti chiaroscurali ottenuti col nerofumo e con lumeggiature metalliche. La sua mano si riconosce in quasi tutte le pitture degli ultimi anni di Raffaello, ciò che nocque alla reputazione di questo procurandogli l'indignazione di Michelangelo. Il gusto del tempo a Roma mirava all'imitazione dell'antichità, fosse pure attraverso l'interpretazione del Buonarroti, onde G., pur considerandosi l'erede artistico del Sanzio, si lasciò dirigere da quella corrente. Dopo la morte di Raffaello e di Leone X, Clemente VII commise a G. di terminare la decorazione delle stanze vaticane ed egli, seguendo concetti e disegni del maestro, vi condusse affrettatamente e con deboli aiuti le storie di Costantino e altre figure. Dipinse in quegli anni anche una tavola in S. Maria dell'Anima, il Martirio di S. Stefano per la chiesa omonima di Genova e altri quadri ora in gallerie pubbliche e private. Raffaello, giovandosi di lui anche nelle opere di architettura, nelle quali riusciva eccellente, gli aveva dato a condurre sui proprî concetti la villa del cardinale Giulio de' Medici sotto Monte Mario, oggi Villa Madama. Sebbene incompiuta essa è una delle costruzioni più perfette nell'indirizzo del Bramante, ornata di giardini architettonici, i primi del genere. Altri suoi edifizî in Roma: laVilla Lante sul Gianicolo, il Palazzo Senni, il Palazzo Maccarani, ecc.
Il sacco di Roma nel 1527 interruppe le fastose iniziative artistiche romane e G. fu costretto a riparare a Mantova ove, presentato da Baldassarre Castiglione al duca Federico, fu da questo impiegato nella costruzione e decorazione di tutte le fabbriche con le quali egli volle abbellire quella città e quelle campagne. Sotto la direzione di G., Mantova fu in gran parte ricostruita e difesa dalle frequenti inondazioni del Mincio. La sua opera principale fu il Palazzo del Te, edificio destinato a feste e conviti, con logge, giardini e grotte, una delle meraviglie del tempo, che egli decorò di affreschi condotti con l'aiuto di Rinaldo Mantovano, Benedetto Pagni, Fermo Guisoni, ecc. (i ritratti dei cavalli, la Favola di Psiche la Sconfitta dei giganti, ecc.) e di stucchi bellissimi eseguiti dal Primaticcio. In occasione poi della visita di Carlo V a quel duca, G. ebbe l'incarico di riunire il Palazzo ducale col castello mediante una nuova serie di sale, gallerie, scaloni, logge e cortili formando per tal modo la più sontuosa reggia del suo tempo. La novità e varietà dei partiti architettonici, l'eleganza e ricchezza dei motivi decorativi in stucco e pittura, anche oggi, dopo che i restauri hanno riparato all'abbandono, alle dispersioni e alle infelici trasformazioni, ne fanno uno dei più meravigliosi complessi monumentali dopo sapiente restauro recentemente restituiti a nobile destinazione. Del palazzo di Marmirolo, altro suo edificio, magnificato dai contemporanei, nulla più esiste, come poco rimane di quanto egli costruì per le provincie, se si eccettua la sontuosa trasformazione in stile moderno della basilica di S. Benedetto in Polirone. Una medesima trasformazione egli fece per incarico del cardinale Ercole Gonzaga dell'antico duomo di Mantova, che fu l'ultima sua opera. Eseguì ancora in quegli anni alcuni quadri (Natività, al Louvre; Madonna della catinella, a Dresda; soggetti mitologici, a Londra), cartoni per arazzi, disegni per stampe. Dopo la morte del duca Federico, papa Paolo III lo volle richiamare a Roma per affidargli la direzione della fabbrica di S. Pietro, ma prima di partire si ammalò e morì nella casa da lui costruita di fronte a S. Barnaba.
V. tavv. XCIII e XCIV.
Bibl.: C. d'Arco, Storia di G. R., Mantova 1842; H. Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom u. Florenz, Berlino 1920, voll. 2; J. Vogel, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIV, Lipsia 1921 (con ampia bibl.); A. Venturi, St. dell'arte ital., IX, ii, Milano 1926, pp. 338-387; L. Venturi, Un ritratto di Isabella d'Este dipinto da G. R., in L'Arte, XXIX (1926), pp. 243-45; F. Filippini, Opere di G. R. in Bologna, in Boll. d'arte, n. s., IX (1929-30), pp. 198-207; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932.