GIULIO
Nulla sappiamo circa la sua famiglia e il suo luogo di provenienza; nacque, presumibilmente, nei primi anni del sec. XII. Nel 1144 papa Lucio II lo nominò cardinale prete di S. Marcello.
Con questo titolo egli si sottoscrisse per la prima volta il 28 maggio 1144 in un privilegio di Lucio II per il monastero di S. Albano presso Magonza e per l'ultima volta il 6 nov. 1158, sotto il pontificato di Adriano IV. Intrattenne buoni rapporti anche con Eugenio III, il quale, poco dopo la sua elezione, il 4 giugno 1145 immise G. e i suoi successori nel possesso della chiesa di S. Maria di Cannella, nel centro di Roma, che era stato oggetto di una lunga contestazione e che gli sarebbe stato confermato da Anastasio IV (30 maggio 1154) e da Adriano IV (21 ag. 1155). Le sue numerose sottoscrizioni presenti nella documentazione pontificia indicano che dovette far parte della cerchia dei consiglieri più assidui dei papi che si succedettero in questi anni. Nel 1148, quando la Curia si trovava nel Regno di Francia, fu incaricato da Eugenio III dapprima di dirimere insieme con Giovanni, cardinale diacono di S. Adriano, la vertenza tra gli abati di Jumièges e di Le Mans, quindi, a fianco del cardinale Giacinto, la lite tra l'abate di Aniane e i canonici del S. Sepolcro.
Nel 1156 fu inviato da Adriano IV con il cardinale Ubaldo di S. Prassede e il cancelliere Rolando Bandinelli presso la corte del re Guglielmo I di Sicilia per intavolare una trattativa che ponesse fine alle ostilità intraprese dal sovrano normanno, il quale aveva invaso alcune zone del Lazio. Proprio grazie alla mediazione di G. e degli altri cardinali si arrivò alla pace di Benevento, alla stipula della quale egli fu quasi certamente presente. A seguito del successo di questa operazione diplomatica Adriano IV nel 1158, verosimilmente nel mese di dicembre, lo nominò cardinale vescovo di Palestrina e come tale G. si sottoscrisse dal 1° dic. 1159 al 30 sett. 1161.
Al momento della doppia elezione papale del 1159 si schierò dalla parte di Alessandro III e partecipò alla redazione sia della lettera con la quale i ventitré cardinali fedeli al Bandinelli chiedevano a Federico Barbarossa di recedere dall'appoggio a Vittore IV, sia dell'enciclica che essi diressero a tutti gli arcivescovi, vescovi e abati della Cristianità per guadagnarli alla causa di Alessandro III. Questi nel 1160-61 incaricò G., insieme con Pietro di S. Eustachio, della importante legazione presso gli Ungari, nella quale i due cardinali ottennero che il re degli Ungari non riconoscesse Vittore IV e scegliesse una posizione di attesa. Quando ormai quasi tutti i sovrani dell'Occidente avevano riconosciuto Alessandro III, G. svolse una seconda legazione presso gli Ungari, nel corso della quale poté stipulare un ampio concordato.
Tornato in Italia fu nominato vicario di Roma come successore di Gregorio di Sabina dallo stesso Alessandro III, costretto a lasciare la città dalle continue sedizioni dei fautori di Vittore IV e dai fedeli del Barbarossa, che occuparono tutto il Patrimonio. In questo frangente difficilissimo G. non riuscì a opporsi alla presa della basilica di S. Pietro e all'occupazione del comitato sabinense da parte degli Imperiali.
Nella sua veste di vicario tra il 1162 e il 1164 delegò il giudice Pietro per la vertenza tra il vescovo di Veroli Foramundo e il monastero di S. Domenico circa il possesso della chiesa di S. Lucia di Ceprano, vertenza che si concluse a favore del monastero. Circa il sinodo da lui presieduto a Foligno in questo stesso periodo, cui accennano alcuni biografi, non abbiamo notizie più precise.
Rivestì la carica di vicario di Roma fino al momento della morte, che avvenne nel settembre o nell'ottobre 1164.
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