GIUNONE (Iuno)
La dea Iuno italica non ha in origine alcun rapporto con Hera (v.). È oggi rifiutata la identificazione con Διώνη, ed è negato lo stesso nesso linguistico che, attraverso la forma lovino, ne faceva derivare il nome dalla stessa radice di Diovi-lovi. Etimologia più probabile è da *iun (fiorente, donna da marito, cfr. iuvenis).
Come divinità celeste rappresenta l'aspetto femminile di Iuppiter, ed è figura scarsamente autonoma e individualizzata; presiede all'atmosfera ed alla pioggia, le son sacre la capra (v. oltre per la I. Lanuvina), la cornacchia, il cane. La identificazione con la luna dà luogo ad una più vasta fortuna della dea: originariamente a questo aspetto sembra connesso l'epiteto di Lucina, come Lucetia, Fulgura, Covella (che testimoniano inoltre della sua ancor stretta dipendenza da Iuppiter), Domiduca e Iterduca.
In conseguenza entra in relazione col calendario (I. KaZendaris a Laurento): le sono dedicate le calende di ogni mese, e viene in parte assimilata a Giano (Ianus Iunonius). G. diviene così la protettrice di quanto è collegato ai cicli lunari nella vita della donna: le mestruazioni (I. Fluonia), la fecondità, il parto: a questo è riferito più comunemente l'epiteto di Lucina. Nel bosco lanuvino a lei sacro si sperimentava la verginità delle ragazze, e come protettrice della castità delle matrone le sono dedicati i Matronalia e le Nonae Caprotinae (in cui riappare la capra come simbolo sessuale). La sua connessione col matrimonio (Iuga, Pronuba, Unxia, Cinxia, Domiduca, Iterduca) è tarda e di poca importanza nel culto. Ormai è affermato il parallelo con la coppia coniugale Hera-Zeus e G. segue Iuppiter come protettrice delle nozze; i primi due attributi sono calcati sui greci Ζυγία e Γαμηλία. In quest'ultimo aspetto era venerata nelle Curie, centro rappresentativo dei vincoli familiari. Piuttosto frequente nelle rappresentazioni di matrimoni la presenza di G., come nel sarcofago vaticano della Sala delle Muse.
Data la stretta relazione con la vita della donna, di cui diviene la protettrice con la dedica dei sopraccigli, Iuno divenne anche, da epoca relativamente tarda, il corrispondente di Genius per la donna, strettamente individuale per ciascuna.
Diffusissimo infine nell'Italia centrale è il culto di G. come protettrice ed amministratrice delle città. In questa attribuzione G. si differenzia nettamente da Iuppiter (non esiste uno Iuppiter rex, protettore della comunità, come non esiste il concetto di Iuppiter protettore individuale), e questo aspetto discende dal precedente, di tutela matronale, esteso alla vita politica. Il culto della I Curitis di Falerii (dal tempio falisco proviene una testa in nenfro attribuita alla statua di culto, forse un acrolito, del VI sec.) fu trasportato a Roma dopo il 241 nel tempio del Campo Marzio meridionale. Ciò era già avvenuto per la dea veiente chiamata dai Romani I. Regina (secondo il Ferri calco linguistico di Uni turan) evocata da Camillo nel 396 e trasferita nel tempio dell'Aventino; la cosiddetta Kourotròphos Chiaramonti è un'elaborazione tarda del simulacro veiente, il cui culto continuava ad Otricoli in età ellenistica. Forse a Roma entrò anche il culto della I. Populona, variamente venerata nel Sannio.
Ma il culto più importante è quello della I. Sispes (o Sospita) Mater Regina, entrato a Roma dopo il 338, dove ebbe il tempio nel Foro Olitorio nel 194. Il simulacro lanuvino, derivante da un tipo arcaizzante, mentre il volto riporta all'arte attica del V sec., ha gli attributi della veste di pelle di capra, calcei repandi, asta, piccolo scudo, serpente, ed è riprodotto in copia d'età antonina nel colosso della Rotonda Vaticana; un'altra testa proviene da Lanuvio. Monete repubblicane e tessere plumbee riproducono ancora il tipo, con in più gli attributi del corvo, la spiga, la lupa coi gemelli, la testa radiata del Sole, il crescente lunare. Un tipo di antefissa assai diffusa nel VI-V sec. mostra Giunone con elmo di pelle bovina. Ancora ben documentati sono i culti italici di Ardea, Norba (in un bronzetto del III sec. a. C., trovato nel santuario, si riconosce la dea), Tibur, Tusculum, Gabii, Eretum.
Il culto romano della I Regina compendia elementi da tutti questi, che sono anteriori; ebbe due templi a Roma, quello del portico d'Ottavia (in cui rimane la base del simulacro), e l'altro di largo Argentina (tempio B ?) di cui si è trovato il simulacro, un acrolito colossale; nel 250 d. C. si usò per quest'ultima l'attribuzione transitoria di I. Martialis. G., entrata nella religione di stato a Roma, fa parte della triade capitolina. Come membro della triade la troviamo rappresentata in un gruppo (di G. rimane la testa in terracotta) dal tempio della Mater Matuta di Conca, a Satricum.
Specificazione più tarda della I. Regina è la I. Moneta, il cui tempio fu dedicato da Camillo sul Campidoglio nel 345.
Ormai stabilmente unita a Iuppiter, parallelamente alla coppia celeste greca, G. è assimilata sempre più ad Hera: greca era la liturgia dei culti sull'Aventino e sul Campidoglio.
Come membro della triade di stato G. ebbe universale diffusione nell'Impero, mentre negli aspetti italici fu conosciuta solo nella Gallia Cisalpina e Narbonense. In Germania si trovano triadi variamente formate da G., Iuppiter ed un Genius loci.
Rara è l'assimilazione di dee provinciali a G.: largamente diffuso e ben documentato è il culto di I. Dolichena, in cui però l'assimilazione è secondaria rispetto a quella di Iuppiter: G. appare in piedi su un cervide, avendo nelle mani uno specchio e lo scettro sormontato dal pavone. Il santuario dolicheno di Roma era sull'Aventino.
Da Virgilio in poi fu identificata con G. la cartaginese Tanit (I. Caelestis) che ebbe un tempio sul Campidoglio da Settimio Severo.
Le dediche a I. Augusta infine sono in relazione con il culto della famiglia imperiale.
Monumenti considerati. - (Per i pezzi provenienti da santuari e per gli edifici, v. in bibliografia): G. Sospita dei Mus. Vaticani: G. Lippold, Skulpturen d. Vatik. Mus., iii, i, p. 142, n. 552. Testa da Lanuvio: G; Kaschnitz-Weinberg, in Festschrift C. Weickert, Berlino 1955 p. i ss. Antefisse laziali e falische: da Satricum: A. Della Seta, Cat. Villa Giulia, Roma 1918, un. 10229-10238, p. 259; da Signa: id., ibid., n. 19088, p. 217; da Falerii Veteres (Vignale): id., ibid., n. 26745, 7246, p. 207. Tessere di piombo: M. Rostowtzev, Tesserarum urbis Romae syll., Pietroburgo 1903, un. 2589, 2590, 2591, 2588, 2596 passim. Altri tipi di G.: conî repubblicani: I. Overbeck, Kunstmythologie, ii, p. 160; E. Babelon, Monnaies de la république rom., ii, nn. 20, 224, 240, 283, 286, 402, 434. Triade "capitolina" dal tempio di Satricum (Conca): A. Della Seta, op. cit., nn. 9982, 9983, 9984. Acrolito di Largo Argentina: G. Marchetti Longhi, in Annali Ist. Italiano di Numismatica, iii, 1956, p. 65 ss. Kourotròphos Chiaramonti: W. Amelung, Skulpturen d. Vatik. Mus., i, p. 471, n. 241. G. Dolichena: C. Pietrangeli, Cat. Mus. Capitolini - I culti orientali, Roma 1951, p. 34 ss.; J. A. Richmond, in Memoirs F. Saxl, Londra 1957, p. 47 ss. Sarcofago con G. pronuba: G. Lippold, Skulpturen d. Vatik. Mus., iii, i, p. 79, n. 552.
Bibl.: Edificî dei culti di G. nella zona falisco-laziale: G. Sospita di Lanuvio; A. Galietti, in Bull. Com., LVI, 1928, p. 199 ss. G. Regina di Veio: S. Ferri, in St. Etr., XXIV, 1955-56, p. 107 ss. Tempio di Norba: L. Savignoni-R. Mengarelli, in Not. Sc., 1903, p. 254. Tempio di Falerii: E. Stefani in: Not. Sc. 1947, p. 69 ss. Tempio di Ardea; V. Paladini, in Epigraphica, XII, 1950, p. 29 ss. Inoltre i problemi di storia delle religioni sono trattati in: L. Ross Taylor, Local Cults in Etruria, Roma 1923; V. Basanoff, in Rev. Hist. Religions, CXXIV, 1941, p. 110 ss.; L. Banti, in St. Etr., XII, 1943, p. 191 ss.; M. Renard, in Phoibos, V, 1951, p. 141 ss.; G. Giannelli, in Diz. Epigrafico, s. v. Iuno, Roma 1931; P. Haug, in Pauly-Wissowa, XIX, 1917, col. 1114 ss., s. v. Iuno.