GIUNTI (Giunta), Lucantonio, il Vecchio
Nacque a Firenze, da Giunta di Biagio, nel 1457 nel "popolo" di S. Lucia d'Ognissanti, dove trascorse la fanciullezza.
La famiglia, di origine fiorentina, risale al secolo XIII. Giunta di Biagio ebbe sette figli, due dei quali (Filippo e il G.), scelsero l'arte tipografica; da Filippo derivò il ramo fiorentino, mentre il G. fu il capostipite del ramo veneziano.
Morto il padre nel 1471, nel 1477 il G. si trasferì insieme con il fratello Bernardo a Venezia, dove iniziò a praticare il commercio della carta. Dopo qualche anno passò a esercitare l'arte tipografica e il commercio librario, industria allora attiva e prosperosa a Venezia più che in ogni altra città italiana. Il G., peraltro, tenne sempre a sottoscrivere i suoi libri come "Luc'Antonio Giunta fiorentino" e a mantenere stretti contatti con la città di origine, che nel 1514 gli avrebbe conferito un'attestazione di cittadinanza.
Nel 1491 sposò Francesca di Soldano di ser Francesco di Cepparello, di illustre famiglia fiorentina, dalla quale ebbe quattro figli: Tommaso, Giovan Maria e due femmine.
Il G. iniziò la sua attività come editore nel 1484, con un'edizione isolata dell'Imitatio Christi di Giovanni Gerson, nella lezione volgarizzata circolante nell'Italia settentrionale, già diffusa a stampa, diversa da quella fiorentina. Seguì un periodo di apparente inattività fino al 1489, anno nel quale il G. pubblicò le opere di Ovidio e una vita di s. Girolamo, volgarizzamento anonimo della Vita Hieronymi dello Pseudo Eusebio, che aveva già avuto quattordici edizioni; per entrambe le opere si servì del tipografo parmense Matteo Capcasa. Dal 1491 in poi l'attività del G. andò crescendo senza sosta fino alla morte, raggiungendo, secondo gli Annali del Camerini, 410 titoli.
Il 22 ag. 1491 il G. formò una società a scopi editoriali con il fratello Filippo, allora cartolaio a Firenze, con un capitale di 4500 fiorini, al quale ciascuno dei due fratelli contribuì per la metà; al termine di cinque anni, però, i tre quarti del ricavato sarebbero andati al G., che aveva un'attività più avviata e più possibilità di moltiplicare il capitale iniziale. La società prosperò e favorì lo sviluppo dell'azienda veneziana; si sciolse il 1° marzo 1510, con difficili problemi di liquidazione e contrasti sulla divisione degli introiti tra i due soci. Le pendenze si trascinarono fino al 1517, quando fu deciso un arbitrato di un nipote dei due contendenti, Giuntino Giunti. Liquidato Filippo, il G. formò subito una nuova società con lo stesso Giuntino, che ebbe inizio il 1° marzo 1517 e pure ebbe notevole successo nei quattro anni successivi, fino alla morte di Giuntino nel 1521; seguirono, anche in questo caso, problemi di divisione dei capitali con gli eredi del defunto.
Giuntino di Biagio Giunti fu presente sul mercato veneziano come libraio e, dal 1508 al 1511, come editore in proprio: la marca tipografica da lui usata è la stessa del tipografo Andrea Torresani, con l'aggiunta delle iniziali di Giuntino ("Z. F.", per Zontino Fiorentino, e "Z. Z.", per Zontino Zonta). Esercitò in numerose e importanti occasioni la funzione di rappresentante e fiduciario della sua famiglia; appare spesso come negoziatore di partite di libri, anche a Firenze per conto del Giunti.
Il G. non ebbe officina tipografica fino al 1499 o al 1500; fino ad allora svolse un'intensa attività editoriale, servendosi dei seguenti tipografi, ai quali ricorse occasionalmente anche in seguito: Matteo Capcasa (sei volte, una come coeditore), Giovanni Ragazzo (tre volte), Giovanni Rosso di Vercelli (cinque volte), Johann Emerich da Spira (trentuno volte, nel 1506 con dei soci; è chiaramente il tipografo favorito del G.), Giovanni Capcasa (una volta), Filippo Pincio da Mantova (due volte), Pietro Quarengi (due volte), Cristoforo de Pensis da Mandela (tre volte), Giacomo Pencio di Lecco (cinque volte), Bartolomeo Zanni (tre volte), Agostino Zanni (due volte), Bernardino Benagli (una volta), Gregorio de' Gregori (tre volte), Giorgio Rusconi (una volta), Guglielmo da Fontaneto in Monferrato (due volte), Cesare Arrivabene (una volta), Iacopo da Borgofranco nel Pavese (una volta), Aurelio Pincio (cinque volte), Giovanni da Padova (una volta), Venturino Ruffinelli (una volta).
Il Camerini (I, p. 97) data al 1499 il primo libro stampato dal G., le Constitutiones fratrum Ordinis b. Virginis Mariae de Monte Carmelo, impresso con i caratteri di Johann Emerich da Spira, che il G. avrebbe rilevato dal tipografo tedesco (argomento che Camerini fa valere per altre opere di dubbia attribuzione). Nel 1501 il G. pubblicò, per i tipi di Cristoforo de Pensis, il Dittamondo di Fazio degli Uberti, stampato per la prima volta a Vicenza nel 1474. Entrambe le edizioni sono piene di errori.
Nel 1507 il G. si unì in società con i fratelli Battista e Silvestro De Tortis, con Giorgio Arrivabene e Amedeo Scotto, per cinque anni, con spese e profitti da dividere in parti uguali. Il G. e lo Scotto parteciparono solo economicamente alla società, mentre gli altri due si assunsero l'onere della stampa. In una stampa del G. con la data 16 luglio 1507, non registrata negli Annali del Camerini, si trova uno dei primi esempi di imprimatur, concesso per stampare l'Oratio ad principem & Senatum Venetum di Johannes Rebler, ambasciatore dell'imperatore Massimiliano.
Nel 1513 il G., rientrato brevemente a Firenze, si fece portavoce delle lamentele dei Giunti locali contro il privilegio per i libri stampati in caratteri corsivi concesso ad Aldo Manuzio, con il quale a Venezia, invece, non era mai entrato in polemica. L'episodio si pone a ulteriore conferma della maggiore importanza e influenza del G. rispetto al fratello attivo a Firenze. Mentre l'attività editoriale e tipografica di Filippo era sostenuta soprattutto da intenti umanistici, l'officina veneziana del G. si fondava su libri figurati in volgare e sui libri liturgici, gli uni e gli altri di facile smercio. I secondi potevano contare su un pubblico sicuro, il clero, abbiente a sufficienza per assicurare il pagamento senza grande ritardo. Molti dei volumi liturgici stampati dal G. (messali, breviari, salteri, libri d'ore) sono in grande formato, in folio e in quarto, spesso sontuosamente illustrati: il capitale che doveva essere impegnato in tali edizioni dà l'idea della solidità economica dell'azienda.
Le edizioni più frequenti furono il Breviarium Romanum, riproposto più volte a partire dal 1493, e la Biblia sacra vulgata, dal 1490 in poi. Nel 1536 il G., con i due figli Tommaso e Giovanni Maria, si associò al tipografo romano Antonio Blado, che rappresentava anche gli altri due tipografi Benedetto Giunti, nipote del G., e Antonio Salamanca, per la stampa del Breviario riformato del cardinale Francisco Quiñones, che sarebbe rimasto in vigore fino al 1568, quando fu proibito e tolto dalla circolazione da Pio V. Per tale stampa fu decisa una tiratura iniziale di 2000 copie. Il contratto prevedeva, tra l'altro, la possibilità per il G. di vendere i breviari nel Regno di Spagna, mercato nuovo e ricco di sviluppi, che il G., facilitato dai trasporti via mare che partivano da Venezia, coltivò con assiduità. Le disposizioni del concilio di Trento, che consentivano soltanto la stampa di edizioni ufficialmente accettate dalla Chiesa, favorirono il successo editoriale della Biblia sacra vulgata.
Per la stampa di libri liturgici, eseguita anche per diocesi lontane, il G. aveva un concorrente nel tipografo di Colonia Petrus Liechtenstein, che si era specializzato in questa produzione. Le edizioni liturgiche venivano stampate più volte, anche nello stesso anno, con grande continuità, a testimonianza del loro successo e del rapido assorbimento da parte del mercato. Assai impegnative, in grande formato, in rosso e nero, a volte contengono musiche: il G. fu tra i primi tipografi a intercalare al testo pagine di notazioni musicali. Un capolavoro dal punto di vista illustrativo è il Graduale Romanum del 1499 (Camerini, pp. 99 s. nota 46), il primo a presentare una serie di figure originali, di mm 100 x 115, che saranno in seguito usate in altri libri liturgici. Il volume si distingue anche per la nitidezza della stampa e per la qualità della carta. Il G., che dovette impegnare tempo e capitale considerevole per l'opera, ottenne un lungo e particolare privilegio dal Senato veneto, mai accordato prima con la stessa ampiezza a un libraio o tipografo.
Nel 1530 il G. stampò il Nuovo Testamento di greco nuovamente tradotto in lingua toscana, edizione curata da Antonio Brucioli: il volume rappresenta il primo caso italiano nel quale si volle separare il Nuovo Testamento dall'Antico. Il Brucioli, esule toscano trasferitosi a Venezia, si impegnò totalmente, per due anni, forse finanziato dal G., nello studio dell'ebraico e nella traduzione dell'Antico Testamento. Mise poi a frutto i suoi studi con la traduzione dei Salmi, stampati dal G. nel 1531, primo esempio di traduzione di una parte dell'Antico Testamento direttamente dall'ebraico. Nel 1532, infine, il G. stampò l'editio princeps della Bibbia tradotta dal Brucioli, per la quale ottenne un privilegio decennale di stampa. Il volume è ricco di illustrazioni: soprattutto il testo dell'Apocalisse presenta delle xilografie di influsso marcatamente tedesco, con elementi tratti dall'iconografia luterana, forse per l'influenza dell'esule fiorentino, che, durante il suo esilio a Lione, aveva avuto contatti con i riformatori. In seguito, i rapporti tra il G. e il Brucioli dovettero guastarsi, dato che quest'ultimo si allontanò dalla tipografia.
Per la teologia, Tommaso d'Aquino fu l'autore privilegiato dal G., che ne pubblicò i commenti ad Aristotele nel 1514, 1518, 1519 e, tra il 31 nov. 1522 e l'8 genn. 1523, i quattro tomi della Summa theologiae curata dal cardinale Tommaso De Vio, detto Gaetano. Nel 1518 e nel 1520 stampò il commento ad Aristotele di Egidio Romano.
Dopo la liturgia e la teologia, l'attenzione del G. si rivolgeva agli ambiti del diritto, della medicina e della filosofia. La sezione del diritto manca delle opere degli umanisti contemporanei, mentre sono presenti tutte le opere tradizionali, a iniziare dal Corpus iuris canonici cum glossis variorum, pubblicato nel maggio 1514, con il solo titolo Decretum Gratiani sul frontespizio, in rosso e nero come il testo. La pagina si presenta come nei manoscritti del Decretum, con il testo al centro e ai lati le glosse, ma lungo tutta l'opera ricorrono delle piccole ed eleganti incisioni che descrivono il testo; tra di esse, notevoli le due che raffigurano gli episodi salienti della vita di Bonifacio VIII.
Per i classici latini, l'attenzione del G. si rivolse soprattutto a Livio e a Ovidio, stampati più volte. Nel 1493, l'11 febbraio, il G. pubblicò un'edizione di Livio per i tipi di Giovanni Rosso da Vercelli, ricchissima di vignette, alcune siglate da due diversi maestri che si distinsero con le iniziali "F. B.". Parte di queste vignette erano già state utilizzate per la Biblia del 1490. Si riconosce, poi, la presenza di un terzo maestro, che non si firma. Il volume presenta uno schema compositivo originale e abbastanza costante per il rapporto testo-immagine, incentrato sulla sequenza rubrica vignetta testo. L'opera venne riproposta dal G., senza alcuna variazione, nel 1511. L'intuizione di abbinare testo e immagine fu confermata dalla prima edizione del volgarizzamento delle Metamorfosi di Ovidio, sempre per i tipi di Giovanni Rosso, uscita il 10 apr. 1497. Il 21 febbr. 1497 il patriarca di Venezia Tommaso Donà, che doveva avere visto o essere stato informato in anticipo del corredo illustrativo, lo aveva minacciato di scomunica se non avesse modificato le figure di nudi presenti nelle illustrazioni dell'opera, intimazione alla quale il G., naturalmente, obbedì. I nudi vennero ancora più severamente rimaneggiati nelle successive edizioni del 1501 e 1508.
Il G. fu il primo dei Giunti a usare la marca tipografica che sarebbe divenuta tipica della famiglia, il giglio, simbolo di Firenze, con ai lati le iniziali "L. A.", che presenta numerose varianti nel corso dell'attività dei Giunti. La prima edizione in cui appare è la Biblia sacra vulgata nella traduzione del monaco camaldolese Niccolò Mallermi. L'edizione, stampata da Giovanni Ragazzo nel 1490, è ben nota per la straordinaria qualità delle numerose xilografie, che vennero poi riusate in molte altre occasioni, non solo per volumi di soggetto biblico, e nelle quali si incontrano motivi ed echi della pittura coeva veneziana. Una di esse è un presunto ritratto del Mallermi stesso. A rendere imponente l'apparato xilografico del volume contribuiscono alcune figure a piena pagina. Di stile sostanzialmente omogeneo, le xilografie vennero riproposte dal G. nelle Bibbie volgari del 1492, 1494 e 1507, da lui finanziate. Dopo il 1511, parti della serie compaiono nelle edizioni di Bernardino Bindoni e nel 1493 furono oggetto di contraffazione da parte di Guglielmo da Trino, detto Guglielmo Anima mia.
Nel 1491 il G. fece stampare le Vitae ss. Patrum nel volgarizzamento toscano di Domenico Cavalca. Anche quest'opera è ricchissima di xilografie, ben 387, mentre suo ulteriore valore è quello linguistico, trattandosi di una testimonianza della prima età del volgare. Anche altri testi editi dal G., come il citato volgarizzamento toscano delle Metamorfosi di Ovidio del 1497, vennero segnalati per la purezza della lingua, nonostante la presenza di alcune scorrettezze e idiotismi dovuti ai correttori.
Anche altre edizioni si segnalano per la squisita fattura del corredo illustrativo: il Trialogus super Evangelio de duobus discipulis euntibus in Emaus di s. Antonino da Firenze, stampata da Johann Emerich nel 1495; un minuscolo Officium b. Virginis Mariae, stampato sempre dall'Emerich nel 1496; il Martyrologium Romanum, del 1498, prima edizione illustrata, e, soprattutto, un libro d'ore del 26 giugno 1501, considerato dal Camerini (I, pp. 111 s.) il capolavoro dell'editoria giuntina, con tredici xilografie a piena pagina e ogni pagina inquadrata in bordure xilografiche. Ancora di particolare pregio ed eleganza sono il Missale monasticum Ordinis Vallisumbrosae, del dicembre 1502, il Missale Ecclesiae Augustensis, dell'agosto 1504, che contiene una bellissima xilografia tratta da un legno di origine tedesca, e il Breviarium Pataviensis Ecclesiae, stampato dal G. per i fratelli Leonhard e Lucas Allantsee, librai viennesi, che presenta tra l'altro un paragrafo dove vengono descritte le differenze tra le feste liturgiche secondo il rito romano e quello della diocesi di Passau. Un esemplare in pergamena di un libro d'ore stampato nel 1505, ricco di illustrazioni, si trova ora alla Biblioteca Casanatense di Roma (Rari 402).
Per quanto riguarda gli autori delle xilografie delle edizioni giuntine, uno di loro è stato identificato in Benedetto Bordon, miniatore, editore e intagliatore di legni a Padova e a Venezia tra il 1477 e il 1530, attivo anche per Aldo Manuzio. Del Bordon sono alcune iniziali xilografiche per volumi liturgici in grande formato, per coro e con musiche, stampati per conto del G. dall'Emerich negli anni 1499-1504 e dal G. in proprio nel 1507. Il curatore dei volumi fu il francescano osservante Francesco de Brugis, teorico musicale.
Il modello di libro proposto dal G., a partire dalla Biblia sacra vulgata del Mallermi alle edizioni di Livio e di Ovidio, cioè volgarizzamenti formato in folio, con ricche xilografie all'inizio del testo e numerosissime vignette all'interno, incontrò grande successo per almeno un secolo, soprattutto presso i ceti mercantili, ecclesiastici e curtensi, ai quali si rivolgeva questo tipo di produzione.
Il G. e i tipografi che eseguirono lavori per lui fino al 1500 usarono prevalentemente caratteri gotici, soprattutto per i libri liturgici, ma anche per volumi scientifici e filosofici, con alcune eccezioni riguardanti edizioni di classici latini, testi della letteratura devota e opere storiche, per le quali furono preferiti caratteri romani.
Dagli Annali manca un opuscolo stampato il 20 maggio 1514, contenente le costituzioni del concilio di Firenze promulgate da Eugenio IV il 4 febbr. 1442 (1441 secondo la datazione fiorentina) circa le unioni dei greci, degli armeni e dei giacobiti (copti ed etiopi) alla Chiesa di Roma, e inoltre due bolle di Giulio II. Non trattandosi di documenti ufficiali, della cui pubblicazione, manoscritta o a stampa, si occupava direttamente la Curia di Roma, si tratta evidentemente di una ristampa, affidata al G. forse perché Venezia era il luogo ideale per diffondere materia riguardante l'Oriente.
Il G. fu, tra i vari Giunti, uno dei primi a capire l'importanza di una rete internazionale di distribuzione dei libri. Approfittando della favorevole situazione di commerci e scambi che offriva Venezia, con la possibilità per le merci di viaggiare per mare senza dazi e dogane, che soffocavano invece a Firenze il fratello Filippo, il G., come si è accennato, portò la sua attività fino in Spagna. Nel giugno 1501 stampò Las siete partidas, raccolta delle leggi castigliane voluta da Alfonso X il Saggio per unificare la legislazione del Regno, prima edizione che presenta il commento del celebre giurista Alonso Diaz de Montalvo. Quattrocento esemplari dell'edizione furono consegnati dal fiorentino Pietro Rondinelli al mercante pesarese Andrea de Lion de Dei a Siviglia nel 1504. Nel settembre 1506 J. Emerich stampò per Jacobus Hirdus, libraio di Maiorca, il Missale Maioricensis Ecclesiae, primo messale a stampa per quella diocesi. Il frontespizio presenta però anche il nome del G. quale partecipante all'impresa, tanto da far pensare a una società tra lui e Hirdus. Nello stesso anno il G. stampò da solo un Breviario a uso della stessa diocesi.
Nel 1520 il G. volle espandere ulteriormente il suo commercio, aprendo una filiale a Lione, centro attivissimo di commercio librario, che acquistava un'importanza crescente anche per la presenza di una delle maggiori fiere commerciali europee.
La succursale, per la quale il G. impegnò una somma iniziale di 2000 fiorini, fu affidata al nipote Iacopo di Francesco (n. 1486), che da Firenze si era trasferito da lui a Venezia. Già nel febbraio 1520 Iacopo è presente nella Compagnie des libraires di Lione, insieme con Lussemburgo da Gabiano, fratello minore del tipografo veneziano Baldassarre, e Aymé de la Porte. Iacopo divenne subito uno degli editori più importanti di Lione; si associò spesso ad altri librai. L'insediamento giuntino di Lione rappresentò uno dei principali canali attraverso i quali la tradizione libraria italiana si propagò in Francia. Fino al 1546, Iacopo estese i suoi depositi di libri ad Anversa, Francoforte, Medina, Salamanca, Saragozza, Lisbona, Parigi; a Lione comperò varie case e occupò cariche pubbliche. Iacopo si valse dell'opera di numerosi tipografi lionesi; la produzione era simile a quella che il G. sviluppava a Venezia, con impegnative edizioni illustrate in folio e in quarto, liturgiche, teologiche, di diritto e di medicina. L'edizione forse più notevole della casa lionese fu pubblicata più tardi, nel 1566: si tratta di un Flavio Giuseppe con una serie molto interessante di incisioni di maestri che lavoravano nella città. La rappresentanza fu disdetta dal G. nel 1535, quando la sede lionese aveva già avuto grande sviluppo: per qualità e vendite dopo la casa madre veneziana, l'officina giuntina di Lione risulta quella di maggior successo.
Il successo economico e la durevolezza di molte delle filiali stabilite dal G. in Europa, spesso affidate a parenti, confermano l'efficienza e la modernità della loro concezione di una rete internazionale di distribuzione, che si protrasse anche nelle epoche successive. Il prosperare dell'officina del G. è testimoniato anche dai continui acquisti di case e pezzi di terra effettuati dal G. a Firenze e dintorni dal 1512 in poi.
Il G. morì a Venezia il 3 apr. 1538, ma chiese di essere sepolto a Firenze, in S. Maria Novella, a conferma del fatto che si sentì fiorentino per tutta la vita.
Aveva fatto testamento già nel 1523, nominando i due figli Tommaso e Giovan Maria eredi universali in parti uguali e lasciando ampi legati alla vedova. Questa gli sopravvisse un anno e si spense il 3 ag. 1539, a Firenze.
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