Giunti
Famiglia di librai e di tipografi «originaria di Firenze che seppe rendere illustre il proprio nome anche a Venezia, a Roma, in Francia e in Spagna» (Pettas 2005, p. 31) nei secc. 15°-17°. La nascita vera e propria dell’impresa editoriale dei G. è legata ai nomi dei fratelli Lucantonio (Firenze 1457 Venezia 1538), iniziatore del ramo veneziano dell’impresa, e Filippo (Firenze 1450 o 1456 - ivi 1517). Quest’ultimo, già attivo come libraio (il 26 agosto 1485 Bernardo Machiavelli comprò presso la sua bottega nel popolo di S. Lucia d’Ognissanti una serie di volumi; cfr. B. Machiavelli, Libro di Ricordi, a cura di C. Olschki, 1954, 2007, p. 207), stipulò nel 1489 un contratto d’affitto con la Badia fiorentina, per aprire una bottega di cartolaio nella zona della città dove i «mestieri del libro» erano più diffusi. Due anni dopo fece società con il fratello per vendere a Firenze i libri che stampava a Venezia. Malgrado la fortuna commerciale (in due anni l’investimento, quasi tutto di Lucantonio, era pressoché triplicato; cfr. Di Filippo Bareggi 1974, p. 318), la società venne sciolta nel 1511, probabilmente per dissapori tra i due fratelli. Nel frattempo Filippo aveva aperto nel 1497 una stamperia propria, nella quale mise a frutto la recente pratica di cartolaio e la precedente esperienza di apprendista orafo nella bottega di Antonio del Pollaiolo. La prima edizione nota di Filippo è del 1497: un’edizione greca dell’epitome dei proverbi di Zenobio, che non dovette avere eccessivo spaccio, se è vero che egli si dedicò successivamente soprattutto alla stampa di classici latini e volgari, «mirando in questo modo a raggiungere un pubblico più largo» (Ceresa 2002b, p. 87). Nei primi anni la preferenza andò prevalentemente ai classici antichi, con un’attenzione particolare ai poeti e agli storici; senza trascurare la produzione filosofica che attesta «il legame intimo della stamperia con la intellighenzia degli Orti [Oricellari]» (Di Filippo Bareggi 1974, p. 321). Giovandosi anche della conoscenza delle tecniche apprese da Pollaiolo, Filippo incise caratteri corsivi derivati in parte da quelli di Aldo Manuzio, da cui mutuò inoltre l’idea della stampa in ottavo, rivelatasi commercialmente vincente. I rapporti con il grande tipografo di Venezia si mantennero inizialmente buoni, come testimonia il riconoscimento della derivazione aldina nella dedicatoria premessa al Catullus/Propertius/Tibullus del 1503 da Benedetto Riccardini detto il Filologo (uno dei principali collaboratori di Filippo, scelto, come gli altri, tra gli allievi di Angelo Poliziano); «in seguito, come forse era inevitabile, la legge della concorrenza prevalse» (Dionisotti 1980, p. 183). Aldo, forse indispettito anche dalle contraffazioni lionesi, che «ripetono servilmente le caratteristiche esteriori delle originali, ma ridondano di errori e sono stampate sovente su pessima carta», e dietro alle quali pare vi fosse Lucantonio (Avanzi 1933, p. 332), nel 1513 chiese e ottenne da Leone X (il neoeletto Giovanni de’ Medici) un privilegio che vietava ad altri tipografi la stampa in corsivo di autori greci e latini. Benché la tipografia aldina avesse ottenuto privilegi simili anche da Alessandro VI e Giulio II, questa volta Filippo ricorse agli Otto di pratica, lamentando che un papa fiorentino negasse a un’impresa della sua stessa città il diritto di operare liberamente; gli Otto scrissero a Francesco Vettori, ambasciatore a Roma, ma il papa diede solo nel 1516 formale soddisfazione alle lamentele dei G. con un analogo privilegio, forse anche considerando l’impossibilità pratica per Aldo «di far valere il privilegio fuori dallo stato veneziano e da quello pontificio» (Delfiol, Decia 1978, p. 26).
Tra gli eredi di Filippo G., il ruolo di principale continuatore dell’attività paterna fu assunto da Bernardo (Firenze 1478 - ivi 1551). Conoscitore del latino e del greco, attestato come autore di epistole dedicatorie fin dal 1503, godette presso i posteri di miglior fama rispetto ai due ‘Filippi’ (suo padre e suo figlio), come testimonia la pungente testimonianza di Donato Giannotti che, in una lettera del 1567 a Pier Vettori, così si esprimeva: «Non vi maravigliate che Filippo Giunti vi sia riuscito uno asino, perché non traligna; così fatto era Filippo, avolo suo. Bernardo era migliore compagno» (in Perini 1992, pp. 435-36). Bernardo, in un periodo di grandi sconvolgimenti politici, «ampliò costantemente l’attività dell’azienda, che raggiunse punte elevate di produzione fino al 1522 e poi tra il 1525 e il 1529», mostrando «una certa libertà nelle scelte editoriali» che comunque «finì per essere tollerata dai Medici»; tra il 1527 e il 1530, nel breve volgere dell’esperienza repubblicana, «i Giunti parvero fiancheggiare il cambiamento», restando comunque saldi anche dopo il ritorno dei Medici (Ceresa 2002a, p. 79). Oltre a continuare con successo la linea editoriale paterna dei classici latini e volgari (a lui si deve la celebre ‘Ventisettana’ del Decameron e la cosiddetta giuntina di rime antiche, di grande importanza per lo studio dei poeti del dolce stil novo), Bernardo aprì anche alle opere degli scrittori contemporanei, italiani e stranieri, sebbene con poche concessioni alla letteratura militante (Dionisotti 1980, p. 346): nel 1518 le Stanze di Poliziano, le Pistole di Luca Pulci a Lorenzo il Magnifico e l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam; nel 1519 l’Utopia di Tommaso Moro (prima edizione italiana, inclusa negli Opuscula di Luciano curati dallo stesso Erasmo), l’Arcadia di Iacopo Sannazaro e le Opere di Girolamo Benivieni (con una lettera a Benivieni di Biagio Buonaccorsi); nel 1520 le opere di Giovanni Pontano; nel 1521 il Libellus de his quae ab optimis Principibus agenda sunt di Agostino Nifo («un’immediata e deliberata reazione» al Principe, Dionisotti 1980, p. 133); nel 1522 e nel 1523 due edizioni dei Rimedi contro la peste di Marsilio Ficino; nel 1528 il Cortegiano di Baldassarre Castiglione; nel 1529 le opere di Girolamo Savonarola e la Vita civile di Matteo Palmieri; nel 1532 le Opere toscane di Luigi Alamanni; nel 1533 le Rime di Sannazaro. Tra i curatori di cui si avvalsero i G., molti letterati vicini, per diversi motivi, a M.: Marcello Virgilio Adriani (suo collega maggiore in cancelleria), Luca Della Robbia (autore della Recitazione del caso di Pietro Paolo Boscoli e di Agostino Capponi, i protagonisti della congiura che costò il carcere a M.), Giovanni Gaddi (dedicatario dei Discorsi) e l’amico più caro, Biagio Buonaccorsi (gli eredi di Bernardo pubblicarono nel 1568 il suo Diario de’ successi più importanti seguiti in Italia e particolarmente in Fiorenza dall’anno 1498 in sino all’anno 1512). Uomini della cerchia machiavelliana, all’epoca giovanissimi allievi di umanisti fiorentini (Dionisotti 1980, p. 184), erano inoltre presenti come dedicatari in numerose edizioni giuntine già dal 1503 (un Orazio dedicato a Filippo de’ Nerli), e ancor più negli anni successivi (nel 1515 un Quintiliano dedicato a Roberto Acciaioli, la Grammatica greca di Costantino Lascaris dedicata a Piero Vettori e un’antologia di scrittori latini De re rustica al cugino Francesco, nel 1517 la Fiammetta di Giovanni Boccaccio dedicata a Cosimo Rucellai, nel 1519 l’Odissea a Bartolomeo Cavalcanti).
In questo contesto culturale si collocano le numerose edizioni delle opere di M. uscite dai torchi giuntini dal 1521 fino alla metà del Cinquecento. La prima, in ordine di tempo, è l’editio princeps dell’Arte della guerra, pubblicata nel 1521 «a dì XVI d’agosto, Leone X Pontifice», con dedica a Lorenzo di Filippo Strozzi e probabilmente corretta dallo stesso M. (Ridolfi 1954, 1978, p. 309; Bertelli, Innocenti 1979, p. XIV). I G. stamparono ancora l’opera nel 1529, «al tempo dell’ultima repubblica fiorentina», quando M. «cominciava ad essere usato in chiave repubblicana e popolare» (Bertelli, Innocenti 1979, p. XV) e nel 1551. I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio uscirono invece il 10 novembre del 1531 come seconda edizione, successiva di sole tre settimane alla bladiana uscita a Roma il 18 ottobre dello stesso anno, edizione «che il Giunti ebbe, almeno in ultimo, sott’occhio» (Inglese 1984, p. 36). L’opera uscì con una dedica di Bernardo a Ottaviano de’ Medici nella quale si rinviava indirettamente a un originale, comunque non posseduto (Inglese 2006, p. 96); Bernardo affermava anche di avere «inteso da alcuni […] amici e domestici» di M. che egli «non bene si sattisfaceva» della sua opera e «haveva intentione di ridurre i lor capi a minor numero, et alcuni altri meglio trattare»: intenzione che, peraltro, è improbabile M. abbia messo realmente in atto (Sasso 1988, p. 307). Intorno alla stampa dei Discorsi, la prima grande opera machiavelliana pubblicata postuma, si aprì una dura contesa tra lo stampatore romano e quello fiorentino: Clemente VII, il 22 agosto 1531, aveva concesso ad Antonio Blado il privilegio di stampare le opere di M.; ma il 20 dicembre, lo stesso papa fiorentino, considerando giusto che i libri di M. si stampassero anche nella sua patria, «e che il Blado aveva già potuto vendere la maggior parte delle copie da lui stampate (lo spaccio ne era stato dunque prontissimo), concedeva ai G. di stampare liberamente» (Ridolfi 1954, 1978, p. 598). In realtà, come si è visto, i Discorsi erano già stati stampati un mese prima del breve papale (ottenuto «attraverso i buoni uffici di Lorenzino de’ Medici», Rinaldi 2006, p. 1211). Una polemica molto interessante sulle due edizioni dei Discorsi si accese nel 1929 tra Arnaldo Momigliano e Guido Mazzoni. Allestendo l’edizione delle Opere storiche e letterarie di M., Mazzoni aveva notato una diversa redazione del cap. xvii del III libro dei Discorsi: di ciò volle dar conto nell’articolo Un capitolo ignoto dei Discorsi del Machiavelli (Mazzoni 1929). Notando la lezione «quasi di abbozzo», ma più vivace, contenuta nella giuntina, Mazzoni ipotizzò una sua anteriorità rispetto a quella «levigata» della bladiana. In realtà, come dimostrò Momigliano, la versione della giuntina riprendeva fedelmente il testo dello storico latino, e addirittura nella prefazione si dichiarava esplicitamente di aver corretto il testo «secondo l’autorità di Tito Livio»; la bladiana aveva invece riprodotto pedissequamente un manoscritto in cui il testo liviano, come spesso accadeva a M., era citato a memoria (Momigliano 1929). La polemica proseguì con repliche e controrepliche venendo a costituire una quaestio filologica esemplare (Dionisotti 1980, pp. 445-55). I G. stamparono i Discorsi ancora nel 1543 e nel 1551.
Il privilegio concesso da Clemente VII ai G. si estendeva anche alle Istorie fiorentine e al Principe; così nel 1532, ancora a brevissima distanza dall’uscita delle stampe bladiane, Bernardo puntualmente pubblicò le altre due grandi opere machiavelliane. Le Istorie apparvero il 27 marzo accompagnate da un’epistola dedicatoria di Bernardo al duca Alessandro de’ Medici, nella quale l’editore, firmandosi «humilissimo servitore», compì un gesto «molto simile a una dichiarazione di fedeltà al nuovo regime» (Ceresa 2002a, p. 79). Il Principe uscì l’8 maggio con La vita di Castruccio, Il modo che tenne il duca Valentino [...], I ritratti delle cose della Francia e della Alemagna. Il volume è introdotto da un’epistola di Bernardo a Giovanni Gaddi, nella quale G. auspica che il dedicatario difenda Il Principe
da quegli che per il soggetto suo lo vanno tutto il giorno lacerando sì aspramente, non sapendo che quegli che l’erbe e le medicine insegnano, insegnano parimente ancora i veleni, solo acciocché da quegli ci possiamo, conoscendoli, guardare.
Difesa che anticipa di un paio di secoli l’interpretazione ‘obliqua’ del Principe cara agli illuministi e resa celebre da Ugo Foscolo. Entrambe le edizioni ricoprono un ruolo assai importante nella costituzione del testo critico delle due opere principali (Carli 1927; Inglese 1994), ma anche del Ritratto delle cose della Magna (Inglese 2006, p. 27). Il Principe fu ristampato dai G. ancora nel 1534, nel 1540 e nel 1551; le Istorie nel 1537 e nel 1551. Di minore importanza ecdotica le edizioni della Mandragola del 1533, uscita come seconda parte di un volume contenente la Calandra del Bibbiena, senza indicazione di tipografo, ma attribuita a G. per i caratteri (R. Delfiol, D. Decia, I Giunti tipografi editori di Firenze, 1978, pp. 256-57), e della Clizia, pubblicata nel 1537 a spese di Antonio Mazzocchi, Niccolò Gucci e Pietro Rezzi, ma che «vide l’interessamento del Giunti, anche se nulla prova che egli abbia concorso alle spese» (Tinti 2003, p. 553). La Mandragola fu ripubblicata dai G. nel 1550; la Clizia nel 1548. Molto importante è invece l’edizione del 1549, comprendente L’asino d’oro (la ‘doratura’ del titolo è stata correttamente rimossa solo in tempi recenti), i quattro Capitoli (con l’indicazione esplicita dei destinatari), i due Decennali e la Novella di Belfagor. Il volumetto tramanda la prima edizione a stampa dei Capitoli, la prima edizione della Novella di Belfagor recante il nome di M. (nel 1545 Giovanni Brevio ne aveva pubblicato a suo nome una versione solo leggermente diversa da quella machiavelliana, in una raccolta di Rime e prose volgari stampata da Blado); e addirittura la testimonianza unica dell’Asino. Dalla dedicatoria di Bernardo a Marino de’ Ciceri si apprende che l’esemplare dell’Asino (probabilmente autografo) venne fornito direttamente da Guido Machiavelli; frutto di un’errata interpretazione della dedicatoria e di congetture (smentite dall’analisi testuale) l’ipotesi che anche le altre opere contenute nel volume siano state esemplate dall’autografo (Inglese 1981, p. 166).
Bibliografia: Fonti: B. Machiavelli, Libro di ricordi, a cura di C. Olschki, Firenze 1954 (rist. anast. Roma 2007); R. Delfiol, D. Decia, I Giunti tipografi editori di Firenze, 1497-1570. Annali 1497-1570, Firenze 1978.
Per gli studi critici si vedano: D. Marzi, Una questione libraria fra i Giunti ed Aldo Manuzio, con edizione dei documenti, Firenze 1895; A. Gerber, Niccolò Machiavelli; die Handschriften, Ausgaben und Übersetzungen seiner Werke im 16. und 17. Jahrhundert, Gotha-München 1911-1913 (rist. anast. Torino 1962); P. Carli, Introduzione, in N. Machiavelli, Storie fiorentine, testo critico con introduzione e note, 2 voll., Firenze 1927; G. Mazzoni, Un capitolo ignoto dei Discorsi del Machiavelli, «Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei, Classe di scienze morali», 1929, VI s., 4, pp. 589 e segg.; A. Momigliano, Un capitolo ignoto dei Discorsi del Machiavelli, «La Cultura», n. s., 1929, 1, pp. 740-42 (poi in Id., Contributo alla storia degli studi classici, Roma 1979, pp. 33-36); G. Avanzi, Giunti, in Enciclopedia Italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, 17° vol., Roma 1933, ad vocem; R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 19787; R. Ridolfi, La stampa in Firenze nel secolo XV, Firenze 1958, pp. 27 e segg.; C. Di Filippo Bareggi, Giunta, Doni, Torrentino: tre tipografie fiorentine fra Repubblica e Principato, «Nuova rivista storica», 1974, 58, pp. 318-48; S. Bertelli, P. Innocenti, Bibliografia machiavelliana, Verona 1979; C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980, pp. 177-92, 445-55 e passim; G. Inglese, Nota al testo, in N. Machiavelli, Capitoli, Roma 1981, pp. 159-78; G. Inglese, Premessa al testo, in N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Milano 1984, pp. 31-42; G. Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 3° vol., Milano-Napoli 1988; L. Perini, Firenze e la Toscana, in La stampa in Italia nel Cinquecento, Atti del Convegno, a cura di M. Santoro, 1° vol., Roma 1992, pp. 432-35; G. Inglese, Introduzione a N. Machiavelli, De principatibus, a cura di G. Inglese, Roma 1994; M. Ceresa, Giunti (Giunta) Bernardo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 57° vol., Roma 2002a, ad vocem; M. Ceresa, Giunti (Giunta) Filippo il Vecchio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 57° vol., Roma 2002b, ad vocem; P. Tinti, Gucci Niccolò, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 60° vol., Roma 2003, ad vocem; W.A. Pettas, I Giunti di Firenze: editori del Cinquecento in Italia, Francia e Spagna, «Biblioteche oggi», 2005, 3, pp. 31-33; G. Inglese, Per Machiavelli, Roma 2006; R. Rinaldi, Appendici a N. Machiavelli, Discorsi; Dell’arte della guerra e altre opere, Torino 2006, pp. 1201-14.