Giuntina di rime antiche
. Si usa indicare con questo nome un volume miscellaneo di rime, edito dalla stamperia fiorentina dei Giunti (per l'esattezza da Bernardo, figlio di Filippo Giunti, il fondatore della casa tipografica) nel 1527, il cui titolo preciso è: Sonetti e canzoni di diversi antichi Autori Toscani in dieci libri raccolte (ma in realtà in undici libri). Il volume comprende, secondo la dicitura originale, rime di D. (libri quattro), di Cino da Pistoia (libro uno), di Guido Cavalcanti (libro uno), di Dante da Maiano (libro uno), di Guittone d'Arezzo (libro uno), di " diversi, Canzoni e Sonetti senza nome di Autore " (libro uno; ma si tratta in realtà dei libri nono e decimo, e i componimenti sono per lo più segnati dal nome degli autori, alcuni noti altri anche sconosciuti, come Franceschino degli Albizi, Fazio degli Uberti, Lapo Gianni, Iacopo da Lentini, Chiaro Davanzati, Ricco di Varlungo, Cione Baglioni, ecc.).
La G. è un testo d'importanza notevole per l'attribuzione di una serie di rime di D. (e non soltanto di D.), che non compaiono nella tradizione manoscritta a noi nota, e anche per le varianti di lezioni, spesso assai significative, di rime che usufruiscono di una più ricca messe di codici. Si può pertanto postulare per la G. una fonte manoscritta a noi ignota o smarrita; anzi, a giudizio del Barbi, il testo del '27 non si limita a essere soltanto " la riproduzione materiale d'un codice ", ma una vera e propria " edizione critica, fatta col riscontro di più testi ", tra i quali, con molta probabilità, l'altro famoso volume a stampa veneziano del 1518 (Canzoni di D.: Madrigali del detto: Madrigali di M. Cino e di M. Girardo Novello, Venezia, Guglielmo da Monferrato, 1518); " e ciò in molti casi accresce le incertezze, non avendo noi modo di determinare quello che provenga dall'uno o dall'altro testo o anche dall'arbitrio dei curatori della ventisettana ". Il codice andato perduto doveva comunque essere molto affine al fondamentale codice Escorialense e al codice Marciano IX ital. 191 (Mc1), che dal primo deriva. Alcune rime di dubbia attribuzione, infatti, compaiono riferite a D. soltanto nella G. e in questi due codici o in codici della stessa famiglia (Questa donna che andar mi fa pensoso; Lo fin piacer di quell'adorno viso; Da gli occhi belli di questa mia dama; ecc.).
Sempre in tema di attribuzioni l'ultima sezione della G., nell'XI libro (Sestine ritrovate in uno antichissimo testo insieme con la sestina di D.) registra accanto a una delle sestine delle ‛ petrose ' (Al poco giorno) altre due sestine: Amor mi mena tal fiata a l'ombra e Gran nobiltà mi par vedere a l'ombra, che compaiono, insieme con quella di D., anche nel codice Laurenziano Med. Pal. 119, ma che, a un'attenta analisi, non paiono potersi attribuire a Dante.
Talvolta alcune lezioni fornite dalla G. si discostano notevolmente da quelle della tradizione manoscritta anche affine, sia nel caso di rime di dubbia attribuzione, come, ad es., per il verso iniziale del sonetto Da gli occhi belli di questa mia dama, che secondo l'autorevole codice Escorialense ha invece la forma Da gli occhi di quella gentil mia dama; e sia nel caso di rime di sicura attribuzione, come, ad es., per la variante una donna invece di Lisetta nel sonetto Per quella via che la bellezza corre (CXVII), noto per la particolare complessità della recensio.
Ma l'aspetto più interessante della G. è costituito dal gruppo di rime riferite a D., per le quali non si ha nessuna testimonianza manoscritta. Non sempre esse sono ascrivibili con certezza a D.: l'attribuzione, ad es., della ballata lo non domando, Amore (che, dopo la stampa del '27, compare nell'edizione del 1529 dell'Arte poetica del Trissino come opera di Cino da Pistoia) resta incerta; ma almeno due sonetti di una delle tre tenzoni poetiche con Dante da Maiano registrate dalla G. (la cosiddetta tenzone del " Duol d'Amore ") possono sicuramente attribuirsi all'Alighieri. Si tratta di un gruppo di cinque sonetti così suddivisi secondo la stampa del '27: il primo (Per pruova di saper) con il tema di proposta (E chero a voi... il dol maggio d'Amore / qual è...) di Dante da Maiano, i successivi tre (Qual che voi siate; Lo vostro fermo dir; Non canoscendo), quali risposte, di D. Alighieri, e l'ultimo (Lasso! lo dol) ancora di Dante da Maiano. Il Barbi pensò verosimilmente che il terzo sonetto della serie (Lo vostro fermo dir) fosse stato ascritto a D. per un errore tipografico causato dalla somiglianza dei nomi dei due autori, e che fosse in realtà del Maianese, riducendo a due (il secondo e il quarto) i sonetti attribuibili al maggiore dei due poeti, contro la tesi di un altro studioso, il Santangelo, che assegnava a D. il primo sonetto di proposta, e poi il terzo e il quinto, e a Dante da Maiano di conseguenza il secondo e il quarto (tesi ripresa in seguito da K. Foster e P. Boyde e dal Pézard). L'ordinamento dato dal Barbi è stato mantenuto nell'ultima edizione italiana delle Rime di Dante da Maiano (XLVIII-L) curata da R. Bettarini, e delle Rime di D. (XLI-XLV), curata, sulla scorta degli appunti del Barbi stesso, da F. Maggini e V. Pernicone (pur riconoscendo il Pernicone che " elementi obbiettivamente sicuri a favore dell'una o dell'altra soluzione mancano ").
Bibl. - G. Bertacchi, Rime di Dante da Maiano, Bergamo 1896; S. Debenedetti, Nuovi studi sulla Giuntina di Rime Antiche [1907], Città di Castello 1912; Barbi, Studi, passim; F. Pellegrini, La tenzone del " Duol d'amore " tra D.A. e Dante da Maiano, in " Bull. " XXIV (1917) 160-168; V. Crescini, I sonetti del " Duol d'amore ", ibid. XXV (1918) 78-85; S. Santangelo, D.A. e Dante da Maiano [1920], in Saggi danteschi, Padova 1959; Contini, Rime; D. De Robertis, Censimento dei manoscritti di rime di D., in " Studi d. " XXXVII (1960) 141-273 (e si vedano anche le successive puntate); Barbi-Maggini, Rime 155-172; Dante's lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1967; Dante Da Maiano, Rime, a c. di R. Bettarini, Firenze 1969, XXVII-XXVIII e 152-163; Barbi-Pernicone, Rime 705-714.