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giurare

di Domenico Consoli - Enciclopedia Dantesca (1970)
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giurare

Domenico Consoli

Il verbo vale fondamentalmente " affermare ", chiamando Dio, i santi o cose sacre e care a testimoniare la veridicità delle proprie parole.

La formula due volte adoperata nel Fiore (giurando loro Iddio e tutti i Santi / ed anche il sacramento della messa, / che ciascuna farai gran baronessa, LIII 3; Iddio e tutti i santi ciascun giura / ched'elle 'l mi faranno comperare, CCIV 5) si raccorda appunto alla consuetudine di " pronunciare ", nel giuramento, il nome stesso di Dio e dei santi. Più comunemente D. ricorre però al modulo ‛ g. per ', sul modello del latino iurare per aliquem o aliquid: Per le nove radici d'esto legno / vi giuro che già mai non ruppi fede / al mio segnor (If XIII 74); per le note / di questa comedìa, lettor, ti giuro / ... ch'i' vidi per quell'aere grosso e scuro / venir notando una figura in suso (XVI 128); Eo giuro per colui / ch'Amor si chiama ed è pien di salute, / che sanza ovrar vertute / nessun pote acquistar verace loda (Rime LXXXIII 70); gli ha giurato per tutti gli dei / ch'ella le farà ancor grande vergogna (Fiore CCXXI 3); E sì lor ha giurato per sua testa, / ched e' non fia nessun che si difenda / ch'ella de la persona no gli offenda (CCXX 5); una volta si serve di una deformazione popolaresca intonata al registro linguistico del Fiore: gli giurai a le sante Guagnele [" per i santi Vangeli "] / che per me non sarebbe mai marrito (XVI 7); in un'altra occasione appoggia il giuramento a un inserto ottativo: io vi giuro, s'io di sopra vada, / che vostra gente onrata non si sfregia / del pregio de la borsa e de la spada (Pg VIII 127): in tutti questi luoghi il verbo è seguito da una proposizione oggettiva, invece in Fiore CXLIV 6 introduce, in dittologia con ‛ dire ', un discorso diretto: La Vecchia che l'avea presa en sua guarda, / le giura e dice: " Per lo Dio sovrano / ... Come tu se', figliuola mia, gentile ".

Senza formule di rinforzo, ancora seguito da subordinata oggettiva, ha senso più generico: Giurato si saria ch'el dicesse ‛ Ave ' ! (Pg X 40): la figura dell'arcangelo Gabriele, intagliata nella prima cornice del Purgatorio, aveva atteggiamento tanto verosimile da indurre lo spettatore a g. che parlasse: non sembrava imagine che tace (v. 39). Analogo il passo di Pg XXIX 149 giurato avria poco lontano aspetto / che tutti ardesser di sopra da' cigli; mentre Vn XIX 11 45 Poi la reguarda, e fra se stesso giura / che Dio ne 'ntenda di far cosa nova si fonda sulla certezza di Amore, posto di fronte alla bellezza e alla purezza di Beatrice, che Dio voglia far di lei qualcosa di straordinario, di superiore all'umano.

Appartengono a un'interessata strategia d'amore, o comunque a un precettismo d'ordine tutto materialistico, inteso oltre ogni scrupolo al godimento di piaceri fisici, alcuni esempi del Fiore (giurale che ma' più nol farai, LXIV 12; Che tu se' tutta loro de' giurare, CLX 9), culminanti nel rito grottesco e blasfemo di CCXIX 11 (dove però g. è adoperato assolutamente): Per far le saramenta sì apportaro, / en luogo di relique e di messale, / brandoni e archi e saette; sì giuraro / di suso, e disser ch'altrettanto vale (entro quest'ambito sono da inserire le già citate occorrenze di LIII 3 e CCIV 5).

Altri esempi di carattere non molto dissimile fanno dipendere dal verbo un infinito preceduto dalla preposizione ‛ di ': ella mi giurò di non reddire (CXLV 6); Quando i portir sentiron quel baratto, / immantenente tra lor si giuraro [si noti la costruzione pronominale reciproca] / di non renderla a forza né a patto (CCVI 10); a un tono apparentemente serio si adegua il discorso di Ragione all'Amante (Falsar tal saramento [di fedeltà ad Amore] è san peccato, / poi ten ciascun, secondo Dicretale, / che, se l'uon giura di far alcun male, / s'e' se ne lascia, non è pergiurato, XXXVII 3), in realtà non estraneo al consueto campo ironico (quando non cinico) del poemetto.

Con sfumature semantiche differenti il verbo ha in tre luoghi costruzione transitiva: Pg V 65 Ciascun si fida / del beneficio tuo sanza giurarlo, " senza farne giuramento, come tu hai fatto di sopra " (Buti: l'allusione riguarda i vv. 61-63); XXVI 109 se le tue parole or ver giuraro, che si rifà ai vv. 104-105 tutto m'offersi pronto al suo servigio / con l'affermar che fa credere altrui, " idest iuramento... quia in sacramento homo invocat Deum in suum testem " (Benvenuto); Pd XXIV 105 Dì chi t'assicura / che quell'opere fosser? Quel medesmo / che vuol provarsi, non altri, il ti giura, dove la struttura del periodo fa coincidere il significato di g. con quello di " assicurare ".

Il passo di Cv IV XVI 1 Lo rege si letificherà in Dio, e saranno lodati tutti quelli che giurano in lui, è traduzione di Ps. 62, 12 " Rex vero laetabitur in Deo; / laudabuntur omnes qui iurant in eo ".

Il participio passato sostantivato, col valore di " vassallo legato da giuramento ", appare in Fiore XXXVII 5 Tu mi proposi che tu se' giurato / a questo Dio, e LXXXII 5 Onde ciascun di voi è mi' giurato.

Simile sembra il caso di Fiore IV 6 E po' mi disse: " I' sì son tu' signore, / e tu sì se' di me fedel giurato ", ma la possibilità che ‛ fedel ' venga usato come sostantivo permetterebbe di assegnare qui a giurato una funzione aggettivale: " che è legato con giuramento ".

Vocabolario
giurare
giurare v. tr. e intr. [lat. iūrare, der. di ius iuris «diritto»; propr. «pronunciare la formula rituale»] (con uso intr. o assol., aus. avere). – 1. a. Seguito da prop. oggettiva, affermare, attestare, promettere con giuramento: giurava...
giuramento
giuramento giuraménto s. m. [dal lat. tardo iuramentum, der. di iurare «giurare»]. – Nella sua nozione fondamentale, atto e formula con cui si invoca la divinità a testimone della verità di quanto si afferma (g. assertorio) o come mallevadrice...
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