Abstract
Viene esaminata la struttura e la funzione della giurisdizione amministrativa esclusiva attraverso l’analisi dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ne ha delimitato progressivamente l’ambito. Fondamentale in materia è stato il ruolo svolto dalla giurisprudenza costituzionale, i cui principi sono recepiti nel nuovo Codice del processo amministrativo assieme ad un accorpamento organico, sebbene non tassativo, delle numerose ipotesi riconducibili a tale tipo di giurisdizione.
Con l’espressione giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si intende quel tipo di giurisdizione in cui questi conosce, in relazione a determinate materie indicate dalla legge, oltre che di interessi legittimi, anche di diritti soggettivi, in deroga al tradizionale criterio di riparto delle giurisdizioni fondato sulla cd. causa petendi, ossia sulla natura della situazione giuridica dedotta in giudizio. In tal senso la giurisdizione si definisce esclusiva di quell’organo, con esclusione, cioè, per quelle materie, della giurisdizione di ogni altro giudice e, in particolare, del giudice ordinario.
L’introduzione espressa della giurisdizione amministrativa esclusiva risale al R.d. 30.12.1923, n. 2840, successivamente trasfuso nel T.U. Cons. St. (R.d. 26.6.1924, n. 1054). Tuttavia, per taluni rapporti e determinate materie, la nozione di giurisdizione esclusiva preesisteva alla stessa legge abolitiva del contenzioso amministrativo e, tendenzialmente, coincideva con la «giurisdizione propria» del Consiglio di Stato. Prima del 1923, cioè, la giurisdizione esclusiva veniva intesa non solo come giurisdizione comprensiva della cognizione dei diritti soggettivi, ma anche come giurisdizione estesa al merito e, in quanto tale, ricomprendeva tutti i poteri in concreto necessari alla reintegrazione dei diritti o delle situazioni di interesse lese dai comportamenti illeciti e dagli atti amministrativi illegittimi (Mortara, L., Commentario del Codice e delle leggi di procedura civile, I, Teoria e sistema della giurisdizione civile, Milano, 1910, 515 ss).
Se questo quadro fosse rimasto immutato, oggi non vi sarebbe stata ragione alcuna di distinguere fra i due tipi di giurisdizione (di merito ed esclusiva). Con il R.d. n. 2840/1923, invece, i caratteri dell’esclusività della giurisdizione amministrativa e della totale sottrazione di quelle materie alla cognizione del giudice ordinario vennero sanciti in modo esplicito e, al contempo, definitivamente dissociati dall’idea di una giurisdizione piena (o di merito). Nella giurisdizione esclusiva, il giudice pronunciava ora come giudice di merito ora come giudice di legittimità, a seconda che le materie in essa confluite fossero attribuite al giudice in cognizione piena o limitata. L’avere reso «esclusivo» il sindacato del giudice amministrativo relativamente alla cognizione ratione materiae di una serie di controversie, dipeso dall’esigenza di concentrazione e specializzazione, non aveva prodotto l’effetto di modificare, per quelle materie, il tipo o i contenuti della tutela giurisdizionale che l’ordinamento giuridico riservava tradizionalmente alle situazioni giuridiche soggettive (Caianiello, V., Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, 196). È per queste ragioni che la giurisdizione esclusiva è stata definita un «ibrido» in cui il giudice può assicurare diverse tutele, conoscendo contemporaneamente di interessi e diritti (Benvenuti, F., Consiglio di Stato (competenza e giurisdizione), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 318 ss.).
La distinzione fra situazioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, dunque, se perdeva rilievo ai fini dell’individuazione del giudice munito di potestà decisoria, continuava a sussistere in riferimento ai poteri di cognizione e di decisione del giudice amministrativo, il quale poteva conoscere degli interessi legittimi secondo i suoi normali poteri e dei diritti soggettivi solo in «sostituzione» del giudice civile. Le incertezze e le contraddizioni caratterizzanti l’elaborazione normativa dell’istituto si sono inevitabilmente ripercosse sul processo amministrativo «esclusivo», che, pur nella frammentazione e diversificazione dei poteri di cognizione e decisione del giudice in ragione delle diverse situazioni giuridiche soggettive controverse, subivail pesante condizionamento del modello processuale impugnatorio proprio della giurisdizione di legittimità. Sul piano processuale, quindi, la riforma del 1923 non solo non ha assicurato pienezza di tutela alle situazioni di interesse legittimo, ma, addirittura, ha comportatoun affievolimento della tutela dei diritti soggettivi che, in sostanza, perdevano le azioni, le garanzie processuali, i mezzi di prova che il processo davanti al giudice ordinario avrebbe invece loro assicurato.
Anche se nel tempo sono stati in parte attenuati questi «vizi di origine» del processo esclusivo, soprattutto grazie ad incisivi interventi della giurisprudenza costituzionale relativi aipoteri cautelari ed ai limiti dell’istruzione probatoria (cfr. C. cost., 25.6.1985, n. 190 e 23.4.1987, n. 146), tali innovazioni non hanno dissipato le intime contraddizioni, le profonde lacune, la strutturale inadeguatezza del dettato positivo.
Non si può, però, imputare alla giurisprudenza amministrativa l’intera responsabilità per la mancataevoluzione della giurisdizione esclusiva in termini di pienezza di tutela. Infatti, seppur tenendo ferma la distinzione tradizionale fra tutela erogabile nei confronti dei diritti soggettivi e tutela riservata agli interessi legittimi, il giudice amministrativo da tempo si è dato carico di assicurare maggiori garanzie ai primi, affrancandosi dai condizionamenti del processo impugnatorio. Il primo decisivo passo in tal senso risale alla nota decisione del Consiglio di Stato (sez. V, 1.12.1939, n. 795) sul «caso Ricciardi» (pronuncia nota anche con il nome del giudice estensore, autore di un coevo saggio sul tema, Fagiolari, G., L’atto amministrativo nella giustizia amministrativa, in Scritti giuridici in onore di S. Romano, II, Padova, 1940, 297 ss.), che ha introdotto la distinzione tra atti cd. autoritativi e paritetici (dalla quale trae ulteriore conferma – o meglio costituisce presupposto – l’idea che la giurisdizione esclusiva «introdotta» nel 1923 non rappresentava affatto un autonomo tipo di giurisdizione amministrativa da quella generale di legittimità ed eccezionale di merito).
Gli interventi della giurisprudenza costituzionale e di quella amministrativa, tuttavia, se hanno riconquistato le necessarie garanzie ai diritti soggettivi, hanno al contempo ulteriormente radicato la differenza di tutela fra questi ultimi e gli interessi legittimi. Solo con riferimento ai diritti soggettivi, infatti, il giudice non restringeva l’area della propria cognizione alla legittimità dell’atto da essa posto in essere, ma si spingeva ad indagare il rapporto giuridico controverso.
Tale impostazione si riteneva confortata dalla Carta costituzionale e, in particolare, dall’art. 103, co. 1, da cui si ricavava l’imprescindibilità della distinzione tradizionale tra le due situazioni soggettive, nel senso della necessaria corrispondenza con le rispettive forme e modi di tutela assicurati dal giudice ordinario e dal giudice amministrativo. In realtà, una lettura aderente ai caratteri dello Stato democratico avrebbe potuto svelare la varietà di significati attribuibili alle disposizioni costituzionali e le interpretazioni alternative che esse consentono. In particolare, nell’art. 24 Cost., il richiamo ai diritti soggettivi ed agli interessi legittimi ben poteva esser letto come una garanzia di totalizzazione della copertura giurisdizionale e, in questo senso, interpretato non già in funzione di un obiettivo di discriminazione e separazione, bensì di completezza ed assolutezza della tutela giurisdizionale. Questa prospettiva, però, è rimasta inascoltata e, soprattutto a livello di elaborazione giurisprudenziale, è rimasta granitica la differenziazione delle forme di protezione assicurate alle diverse situazioni giuridiche soggettive nell’ambito della medesima giurisdizione esclusiva. Prima delle modifiche intervenute con il d.lgs. 31.3.1998, n. 80, del resto, l’attenzione si incentrava prevalentemente sul dato quantitativo delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Non avvedendosi, invece, che si impone uno strettissimo parallelismo tra il profilo dell’ampiezza (delle materie) della giurisdizione esclusiva e quello della qualità e sostanza della tutela giurisdizionale.
L’ambito della giurisdizione esclusiva si è determinato per successive stratificazioni legislative che hanno aggiunto al corpus iniziale delle materie individuate dal legislatore del 1923 una serie di numerose altre materie o controversie specifiche.
Il nocciolo originario delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo era quello indicato dagli artt. 29 T.U. Cons. St. e 4 del r.d. 26.6.1924, n. 1058. La gran parte di queste controversie coincideva sostanzialmente con quelle devolute alla giurisdizione di merito, con un’unica, vistosa ed importante eccezione, rappresentata da «i ricorsi relativi al rapporto di impiego prodotti dagli impiegati dello Stato, degli enti o istituti pubblici sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dell’Amministrazione centrale dello Stato»: in altre parole,il pubblico impiego. Fatta eccezione per le controversie di minore importanza indicate dall’art. 4 del r.d. n. 1058/1924, era quella del pubblico impiego l’unica materia di giurisdizione esclusiva che non fosse anche di giurisdizione di merito e, nonostante si trattasse di un’unica materia, essa costituiva uno spazio di giurisdizione amplissimo, soprattutto dal punto di vista quantitativo, rappresentando le controversie relative all’impiego pubblico una buona metà del carico di lavoro dei nostri giudici amministrativi. Anche questa materia di giurisdizione esclusiva, però, è venuta a perdere gran parte della sua importanza a seguito delle riforme legislative che, nell’arco degli anni novanta, hanno disposto la privatizzazione dei rapporti di lavoro con le pubbliche Amministrazioni (cfr. infra, § 5).
Del nucleo originario delle attribuzioni della giurisdizione esclusiva, pertanto, non resta ormai quasi più nulla. A quel corpus, tuttavia, si sono aggiunte nel tempo numerosissime materie e rapporti. In particolare, un notevolissimo impatto sull’impianto della giurisdizione amministrativa esclusiva hanno avuto le previsioni degli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80/1998, che hanno dato una prima applicazione al criterio di riparto «per materie omogenee».
Nello specifico, l’art. 33, co. 1, del d.lgs. n. 80/1998, così come modificato dall’art. 7 della l. 21.7.2000, n. 205, devolveva alla giurisdizione amministrativa esclusiva tutte lecontroversie – individuate in via esemplificativa dal secondo comma – in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità. L’art. 34 del d.lgs. n. 80/1998, anch’esso successivamente sostituito dall’art. 7 della l. n. 205/2000, contemplava le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle Amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati inmateria urbanistica ed edilizia, materia che dalla medesima norma veniva intesa comequella concernente «tutti gli aspetti dell’uso del territorio» (co. 1 e 2); nulla innovando, comunque, né quanto alla giurisdizione del giudice delle acque, né quanto alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità di esproprio (co. 3).
I profili di criticità relativi all’individuazione della nozione di «pubblico servizio» e di «uso del territorio» (sul punto sia consentito rinviare a Police, A., Le forme della giurisdizione, in Scoca, F.G., a cura di, Giustizia amministrativa, Torino, 2013, 112 ss.) lasciavano in eredità alla dottrina ed alla giurisprudenza successive consistenti dubbi e perplessitàin ordine alla legittimità costituzionale della devoluzione dei cd. «blocchi di materie» (servizi pubblici, urbanistica ed edilizia) alla giurisdizione amministrativa esclusiva. Come è noto, i dubbi sono stati riconosciuti anche dalla Corte costituzionale che è intervenuta in materia con un significativo ed invasivo intervento manipolativo.
In primo luogo, la Corte (sentenza del 6.7.2004, n. 204) ha ritenuto incostituzionale l’art. 33, co. 1, del d.lgs. n. 80/1998 nella parte in cui prevedeva che fossero devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi anziché le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (...), ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore (...)». Inoltre, è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 33, co. 2, nella parte in cui individuava controversie «nelle quali può essere del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità».
Di minore portata, ma altrettanto significativa, è stata la modifica del successivo art. 34, co. 1, ritenuto incostituzionale nella parte in cui deferiva alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie, in materia urbanistica ed edilizia, aventi ad oggetto «gli atti, i provvedimenti e i comportamenti» anziché «gli atti e i provvedimenti» della pubblica Amministrazione e dei soggetti ad essa equiparati.Le controversie aventi ad oggetto i comportamenti meri della p.a. sono state così restituite alla cognizione del giudice ordinario, ad eccezione di quelle concernenti fattispecie riconducibili, seppur «mediatamente», all’esercizio di un pubblico potere (C. cost., 11.5.2006, n. 191).
Il ragionamento della Corte si fondava sull’assunto secondo cui la «particolarità» delle materie di giurisdizione esclusiva cui fa riferimento il Costituente si riferisce specificamente a quel particolare tipo di controversie in cui la «sicura e necessaria compresenza o coabitazione (...) di posizioni di interesse legittimo o di diritto soggettivo legate da un inestricabile nodo gordiano» è tale da giustificare una deroga al tradizionale criterio di riparto. Fermo restando, comunque, che le materie devolute alla giurisdizione esclusiva «devono partecipare della medesima natura» di quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità «che è contrassegnata dalla circostanza che la P.A. agisce quale autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo». Questa soluzione, ribadita ancor più di recente dalla pronuncia n. 35 del 5.2.2010 della Corte Costituzionale, è stata accolta in dottrina con molte critiche, tanto che si è addirittura giunti a dubitare della stessa sopravvivenza della giurisdizione esclusiva (cfr. Police, A., La giurisdizione del giudice amministrativo è piena ma non è più esclusiva, in Giorn. dir. amm., 2004, 974 ss.; Scoca, F.G., Sopravvivrà la giurisdizione esclusiva?, in Giur. cost., 2004, 2209 ss.).
Investita della questione di legittimità costituzionale della devoluzione alla giurisdizione amministrativa esclusiva dei c.d. blocchi di materie, la Consulta non poteva non considerare, quanto meno in relazione al disposto dell’art. 35, co. 1, d.lgs. n. 80/1998, se anche la tutela risarcitoria fosse configurabile come una «materia» devoluta in blocco a tale giurisdizione.
A tal riguardo, la Corte ha ritenuto che «il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione», che «affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri» (cit. C. cost., 6.7.2004, n. 204).
L’art. 35, co. 1, d.lgs. n. 80/1998, dunque, consentiva al giudice di disporre una condanna alla reintegrazione, anche in forma specifica e, quindi, una condanna dell’Amministrazione ad un dare, ad un facere e ad un praestare specifico. Si è trattato di una profonda rottura del tradizionale sistema di giustizia amministrativa, seppure limitata ad alcuni blocchi di materie. Come è stato affermato anche dal giudice della legittimità (Cass. civ., S.U., 22.7.1999, n. 500), «viene delineata una nuova giurisdizione esclusiva: nuova, rispetto a quella preesistente, perché nel contempo esclusiva, nel significato tradizionale di giurisdizione amministrativa indifferentemente estesa alla cognizione degli interessi legittimi e dei diritti, e piena, in quanto non più limitata all’eliminazione dell’atto illegittimo, ma estesa alla reintegrazione delle conseguenze dannose dell’atto,perché comprensiva del potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto». A questo ampliamento dei poteri di decisione del giudice della giurisdizione piena si accompagnava un incremento dei poteri istruttori di tale giudice, che, al fine di assicurare un effettivo sindacato sul fatto, poteva disporre tutti«i mezzi di prova previsti dal Codice di procedura civile, nonché della consulenza tecnica, esclusi l’interrogatorio formale ed il giuramento» (art. 35, co. 3, d.lgs. n. 80/1998). Si può davvero affermare che, nella vigenza dell’assetto normativo delineato dal d.lgs. n. 80/1998, erano ravvisabili innovazioni talmente incisive da configurare un vero e proprio modello processuale a sé stante, quello della giurisdizione piena.
Se la tradizionale giurisdizione esclusiva non è una terza specie di competenza rispetto a quella di legittimità ed a quella di merito (v. supra, § 1), la «nuova» giurisdizione esclusiva si presenta del tutto diversa ed autonoma, e nel suo ambito il giudice risulta titolare di amplissimi poteri istruttori e di peculiari e penetranti poteri di condanna. Questi caratteri della nuova giurisdizione esclusiva sono stati mantenuti del tutto fermi, nei precisi termini appena indicati, anche dal nuovo Codice del processo amministrativo (cfr., in particolare, l’art. 7, co. 1, 5 e 7; l’art. 30, co. 1 e 2; l’art. 63).
Le materie attualmente devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sono elencate all’art. 133 del Codice. L’elenco, peraltro, non è tassativo, giacché il co. 1 dell’articolo in esame fa salve le «ulteriori previsioni di legge». In considerazione della loro importanza, occorre richiamare le seguenti ipotesi, concernenti le controversie in materia di:
Accesso alla documentazione amministrativa (art. 133, lett. a), n. 6). L’accesso ai documenti amministrativi è qualificabile come situazione giuridica di diritto soggettivo, oltre che per la sua formale definizione, per alcuni profili della disciplina concreta, quali la mancanza di discrezionalità per le amministrazioni, una volta verificati i presupposti per l’accesso, nell’adempiere alla pretesa del soggetto privato di prender visione ed estrarre copia dei documenti, ovvero la non necessità che il documento amministrativo sia relativo ad uno specifico procedimento. Ciò in ossequio al principio costituzionale di imparzialità dell’azione amministrativa, che non sarebbe evidentemente tale se essa non venisse assicurata «in modo uguale in ogni luogo della Repubblica» (Cons. St., sez. cons. atti norm., n. 3585/2005). Tale natura dell’accesso è stata confermata anche dall’Adunanza Plenaria (cfr. Cons. St., A.P., 18.4.2006, n. 6), che ne ha riconosciuto l’inclusione fra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), Cost.
Pubblici servizi (art. 133, lett. c). Il giudice amministrativo conosce in via esclusiva delle controversie inerenti ai «pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni e altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità». La norma in commento è quella che risulta dall’intervento manipolativo della Consulta (cit. C. cost. n. 204/2004) sull’art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, senza alcuna ulteriore addizione.
Contratti pubblici (art. 133, lett. e), n. 1). Si tratta delle controversie in materia di «procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolti da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitone e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative». Questa norma, nella parte in cui prevede la devoluzione al giudice amministrativo esclusivo della sorte del contratto di appalto a seguito dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione definitiva, rappresenta il prodotto del processo di armonizzazione che ha determinato il recepimento a livello interno, in via giurisprudenziale (v. Cass. civ., S.U., ord. 10.2.2010, n. 2906) ancor prima che normativa (art. 244, d.lgs. 12.4.2006, n. 163), della dir. 66/2007/CE (c.d. direttiva ricorsi).
Urbanistica ed edilizia (art. 133, lett. f). Vengono in rilievo le controversie riguardanti «atti e provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa ed ablativa». Anche questa disposizione legislativa è il risultato delle statuizioni della ricordata giurisprudenza costituzionale relative all’art. 34, co. 1, del d.lgs. n. 80/1998. Risulta, così, espunto ogni riferimento alle fattispecie comportamentali, viceversa considerate dall’art. 133, lett. g), sulle espropriazioni, che, nel ricollegare i comportamenti alla giurisdizione esclusiva solo se riconducibili almeno «mediatamente» all’esercizio di pubblici poteri, adotta una formula chiaramente ispirata alla sentenza della Corte Costituzionale n. 191/2006. La giurisdizione esclusiva in materia si estende alle controversie di cui all’art. 16 della l. 28.1.1977, n. 10 (successivamente abrogato dall’art. 136 del T.U. in materia di edilizia), comprese quelle relative alla determinazione, alla liquidazione ed alla corresponsione degli oneri concessori risultanti dal rilascio del titolo abilitativo, trattandosi di pretese del Comune fondate su provvedimenti amministrativi.
Rapporti di impiego in regime di diritto pubblico (art. 133, lett. i). Ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, vengono in considerazione: magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle Forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, dipendenti della Banca di Italia, della Consob e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale della carriera dirigenziale penitenziaria, professori e ricercatori universitari. Data la devoluzione al giudice ordinario delle controversie inerenti ai «rapporti di impiego», la giurisdizione amministrativa ancora sussiste in materia di procedure concorsuali per l’assunzione del personale alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche. Rispetto a tali ipotesi torna ad applicarsi il tradizionale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione giuridica dedotta (di interesse legittimo): si tratta, pertanto, di giurisdizione amministrativa di legittimità.
Atti delle autorità amministrative indipendenti (art. 133, lett. l). Si afferma la giurisdizione amministrativa esclusiva rispetto alle «controversie aventi ad oggetto provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d’Italia, dagli Organismi di cui agli articoli 112-bis, 113 e 128-duodecies del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, (dalla Commissione nazionale per le società e la borsa), dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, e dalle altre Autorità istituite ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità della pubblica amministrazione, dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private, comprese le controversie relative ai ricorsi avverso gli atti che applicano le sanzioni ai sensi dell’articolo 326 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209».
Il Codice ha incluso tutte le diverse ipotesi di giurisdizione esclusiva sugli atti delle Autorità indipendenti in una unica disposizione, con lo specifico intento di riordinare una materia che, in passato, veniva disciplinata da una pluralità di leggi speciali. In particolare, la norma in esame ha introdotto due novità di rilievo (Chieppa, R., Il processo amministrativo dopo il correttivo al Codice, Milano, 2012, 762 ss.). La prima consiste nell’espressa esclusione dalla giurisdizione esclusiva delle controversie inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, che impone di fondare il riparto di giurisdizione per il personale delle Authorities avendo riguardo alla disciplina sostanziale del rapporto di lavoro: se questo non è contrattualizzato sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva; in caso contrario, invece, la giurisdizione è del giudice ordinario. La seconda novità attiene alla portata generale della giurisdizione esclusiva su tutti i provvedimenti sanzionatori adottati dalle Autorità di garanzia. La ratio della novella va ricondotta all’asserita connessione tra potere di vigilanza, che già costituiva servizio pubblico nei settori di cui all’art. 33, d.lgs. n. 80/1998, e potere sanzionatorio.
A seguito dell’entrata in vigore del Codice, dunque, sono state abrogate le disposizioni dell’art. 145 del d.lgs. 1.9.1993, n. 385, e dell’art. 195 del d.lgs. 24.2.1998, n. 58, che attribuivano alla competenza funzionale della Corte d’Appello di Roma la giurisdizione sulle sanzioni in materia rispettivamente creditizia e mobiliare, nonché, per espressa previsione codicistica (art. 4, n. 35, All. 4), i co. 5 e 6 dell’art. 24 della l. 28.12.2005, n. 262, che attribuivano alla giurisdizione del T.A.R. Lazio i ricorsi «avverso gli atti adottati dalle Autorità di cui al comma 4 (Banca d’Italia, Consob, Isvap, Covip e Agcm)». Il quadro normativo, peraltro, è nuovamente cambiato dopo la sentenza con cui la Corte Costituzionale (sentenza del 27.6.2012, n. 162, che ha ispirato il successivo intervento correttivo in materia apportato dal d.lgs. 14.9.2012, n. 160) ha censurato gli artt. 133, lett. l), 134, co. 1, lett. c), 135, co. 1, lett. c), 4, n. 19, All. 4, del Codice nella parte in cui attribuivano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito ed alla competenza funzionale del T.A.R. del Lazio, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Consob.
Quelle appena esaminate sono materie assai rilevanti e sempre più numerose. Sembra potersi concludere, al riguardo, nel senso che alla limitazione dei caratteri «intrinseci» della giurisdizione esclusiva, imposta dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, abbia corrisposto, al tempo stesso, un notevole aumento delle ipotesi di questa stessa giurisdizione, che sono divenute a tal punto numerose da farla sembrare (di nuovo) la più importante tra le forme di giurisdizione rimesse al giudice amministrativo.
Artt. 7 e 133 c.p.a.
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