Giurisdizione e responsabilità nelle società pubbliche
Le Sezioni Unite della Cassazione, in coerenza con la disciplina del codice civile sulla responsabilità degli organi sociali, che distingue tra responsabilità di tali organi nei confronti della società e responsabilità degli stessi nei confronti dei singoli soci e dei terzi, senza, peraltro, dettare speciali disposizioni per le società partecipate da soggetti pubblici, escludono la giurisdizione della Corte dei conti sulla responsabilità degli amministratori di tali società per i danni cagionati al patrimonio sociale sul rilievo che, a fronte della mancanza di un rapporto di servizio tra il socio pubblico e gli amministratori della società e della alterità soggettiva tra l’ente pubblico partecipante e la società medesima, il pregiudizio arrecato al patrimonio di quest’ultima non è configurabile come danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico erariale, a meno che la società non abbia uno statuto legale che la qualifichi come ente pubblico (cd. società legali). Le Sezioni Unite della Cassazione ritengono che sussista la giurisdizione della Corte dei conti quando l’azione di responsabilità miri al risarcimento di un danno che – come nel caso del danno all’immagine – sia stato arrecato al socio pubblico direttamente, e non quindi quale mero riflesso della perdita di valore della partecipazione sociale conseguente al danno arrecato alla società, sia quando essa trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio o li abbia esercitati in modo tale da pregiudicare il valore della partecipazione. Quando, però, la società è “in house”, in quanto costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possono essere soci, che statutariamente svolga la propria attività esclusivamente o comunque prevalentemente in favore degli enti partecipanti, e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, conmodalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile, la giurisdizione sulle azioni di responsabilità nei confronti dei relativi organi spetta alla Corte dei conti pur se è contestato il pregiudizio al patrimonio sociale.
L’art. 2392, co. 1, c.c. – che, disciplinando la responsabilità degli amministratori verso la società per azioni, detta una norma applicabile anche alla società in accomandita per azioni (art. 2454 c. c.) ed alla società cooperativa se modellata, come è normale, su tale tipo (art. 2519, co.1, c.c.) – prevede che «gli amministratori… sono responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di… doveri…» «…ad essi imposti dalla legge e dallo statuto».
Nel medesimo senso depone l’art. 2476, co. 1, c.c. che, in tema di società a responsabilità limitata (e di società cooperativa dichiaratamente modellata su tale tipo: art. 2519, co. 2, c.c.), prevede che «gli amministratori sono… responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge o dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società».
L’art. 2394 c.c., dettato in tema di società per azioni (ma applicabile anche alle società cooperative modellate, come è tipico, sulla stessa: art. 2519, co. 1, c.c.), dispone che gli amministratori della società sono responsabili anche nei confronti dei creditori sociali «per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale » (co. 1) e che tale azione «può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti».
L’art. 2395 c.c., infine, dispone che, nella società per azioni (e nelle società in accomandita per azioni e nelle società cooperative ad esse ispirate: artt. 2454 e 2519, co. 1, c.c.), anche i soci ed i terzi hanno il diritto al risarcimento dei danni direttamente subiti in conseguenza di atti illeciti dolosi o colposi compiuti dagli amministratori della società.
Quest’ultima norma è, nella sostanza, riprodotta, per la società a responsabilità limitata (e per le cooperative modellate su tale tipo: art. 2519, co. 2, c.c.), dall’art. 2476, co. 6, c.c. L’azione dei creditori sociali, invece, è disciplinata espressamente solo in caso di società per azioni ma non anche nella società a responsabilità limitata, alla quale, tuttavia, si estende in applicazione analogica della norma dettata dall’art. 2394 c.c.: la disciplina dell’azione dei creditori sociali è, quindi, identica tanto nella società per azioni, quanto nella società a responsabilità limitata1.
In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria, l’azione sociale e l’azione dei creditori sociali sono proposte, rispettivamente, dal curatore, dal commissario liquidatore e dal commissario straordinario (artt. 2394 bis c.c., 146, co. 2, lett. a), e 206 l. fall.)2. Il socio ed il terzo direttamente danneggiati rimangono, invece, legittimati in via esclusiva all’esercizio dell’azione.
L’azione sociale di responsabilità attribuisce alla società il diritto ad agire nei confronti dei suoi amministratori per il risarcimento del pregiudizio che gli stessi, violando con dolo o colpa i propri doveri giuridici, abbiano arrecato al patrimonio sociale, in termini di lucro cessante o di danno emergente.
L’azione dei creditori sociali consiste nel diritto dei creditori della società di agire nei confronti degli amministratori della stessa che, violando i doveri di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, lo abbiano, per l’effetto, danneggiato in modo da renderlo insufficiente al completo soddisfacimento dei crediti, per ottenere il risarcimento dei danni conseguentemente subiti per non aver ricevuto la prestazione dovuta dalla società debitrice. L’azione dei soci e dei terzi direttamente danneggiati, infine, attribuisce al socio o al terzo (che può anche essere un creditore sociale) il diritto al risarcimento del danno che gli amministratori abbiano, con atto illecito, doloso o colposo, ad essi arrecato in via diretta, e cioè non quale mero riflesso del danno cagionato al patrimonio sociale3.
La giurisdizione sulle azioni predette appartiene, in linea di principio, al giudice ordinario (art. 1 c.p.c.). Tuttavia, in caso di società costituita o partecipata da un ente pubblico, si discute se (ed, eventualmente, in quali casi) la giurisdizione in materia di responsabilità dei relativi amministratori (liquidatori, sindaci, ecc.) appartenga, anziché al giudice ordinario, alla Corte dei conti, la quale, come è noto, a norma dell’art. 103, co. 2, Cost., «…ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge», tra cui, a norma dell’art. 13 R.d. 12.7.1934, n. 1214, la responsabilità amministrativa dei funzionari pubblici per i danni arrecati all’erario nell’esercizio delle proprie funzioni.
Si tratta, come è noto, di una forma di responsabilità non limitata alla sola attività provvedimentale, ma comprensiva di tutti i comportamenti commissivi o omissivi degli stessi, imputabili a dolo o colpa grave, dai quali sia derivato un danno per lo Stato o l’ente pubblico4 e caratterizzata per essere, tradizionalmente e storicamente, fondata sull’esistenza – al momento del danno5 – del rapporto di servizio che lega i dipendenti pubblici alla pubblica amministrazione6 «anche quando – come ha in seguito precisato l’art. 1, co. 4, della l. 14.1.1994, n. 20 – il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza».
La questione riguarda, quindi, la determinazione della giurisdizione e dei criteri per il suo (eventuale) riparto in tema di azioni di responsabilità promosse nei confronti dei soggetti che abbiano svolto funzioni di gestione o di controllo (amministratori, liquidatori, sindaci, ecc.) in società di capitali costituite e partecipate da enti pubblici nel caso in cui tali soggetti, avendo inadempiuto con dolo o colpa ai doveri derivanti dalla carica, abbiano cagionato un danno al patrimonio sociale (e, di riflesso, al valore delle quote di partecipazione dei soci) ovvero un danno diretto al patrimonio dell’ente pubblico socio.
La presenza di una partecipazione in titolarità dello Stato o di un altro ente pubblico, infatti, può indurre (ed, in effetti, ha indotto) a ritenere che, in siffatte ipotesi, gli amministratori (nonché i liquidatori, i sindaci, ecc.) di tali società siano assoggettati alla stessa responsabilità amministrativa cui sono tenuti, in ragione del rapporto di servizio che li lega alla pubblica amministrazione, i funzionari pubblici per i danni arrecati al patrimonio pubblico nell’esercizio delle proprie funzioni.
In passato, come è stato osservato7, i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti, al pari di quella del giudice amministrativo, erano più agevoli da tracciare: in effetti, la normale corrispondenza tra la natura pubblica dell’attività svolta dall’agente ed il suo organico inserimento nei ranghi della pubblica amministrazione e, di conseguenza, la più agevole demarcazione di confini tra l’agire dell’amministrazione in forza della potestà pubblica ad essa spettante e per le finalità tipicamente a questa connesse ed il suo agire iure privatorum, erano tutti elementi che facilitavano l’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione in esame.
La più recente evoluzione dell’ordinamento ha reso, ora, questi confini assai meno chiari: la pubblica amministrazione, infatti, spesso persegue le proprie finalità istituzionali mediante l’utilizzo di strumenti tipicamente privatistici ovvero affidandone la realizzazione direttamente a soggetti privati. In quest’ottica anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione, per evitare il rischio di un sostanziale svuotamento o comunque di un grave indebolimento della giurisdizione della corte contabile in materia di responsabilità, hanno inteso privilegiare un approccio più “sostanzialistico”, ritenendo che, quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la pubblica amministrazione, intendendosi, però, come tale non solo il rapporto organico o il rapporto di impiego, ma qualunque relazione funzionale con quest’ultima che si caratterizzi per il fatto che un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione medesima, sia investito, anche di fatto o temporaneamente, purché in modo continuativo, del compito di porre in essere, in sua vece, un’attività ad essa istituzionalmente spettante ovvero ad essa strumentale, senza che a tal fine rilevi la natura giuridica dell’atto di investitura (che può essere un provvedimento, una convenzione o un contratto) o la natura del soggetto che la riceve, che può essere una persona giuridica o fisica, privata o pubblica8.
E così, l’affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio pubblico integra una relazione funzionale incentrata sull’inserimento del soggetto medesimo nell’organizzazione funzionale dell’ente pubblico e ne implica, conseguentemente, l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, a prescindere dalla natura privatistica dello stesso soggetto e dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto9, anche se l’estraneo (che può essere anche una società di capitali) venga investito solo di fatto dello svolgimento di una data attività in favore della pubblica amministrazione10 ed anche se difetti una gestione del danaro secondo moduli contabili di tipo pubblico o secondo procedure di rendicontazione proprie della giurisdizione contabile in senso stretto11. Nella medesima ottica, a partire dal 2003, le Sezioni Unite hanno ritenuto che spettasse alla Corte dei conti, dopo l’entrata in vigore della legge 14.1.1994, n. 20 (il cui art. 1, al co. 4, prevede che «la Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza»), la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto la responsabilità dei funzionari di enti pubblici economici anche per i danni conseguenti allo svolgimento dell’ordinaria attività imprenditoriale e non soltanto per quelli cagionati nell’espletamento di funzioni pubbliche o comunque di poteri pubblicistici, sul rilievo che l’attività amministrativa si configura non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e si esercitano poteri autoritativi ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato: con la conseguenza – si è precisato – che, nell’attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento – pubblico o privato – nel quale si colloca la condotta produttiva del danno12.
Il punto è, allora, stabilire se ed entro quali limiti tale conclusione valga anche nel diverso caso degli amministratori (e dei sindaci) di società partecipate da un ente pubblico, le quali non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia formato – anche per intero13 – da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico, e sono, come tali, assoggettate, in linea di principio (e con salvezza, quindi, delle disposizioni di carattere speciale che ad esse o parte di esse estendono, in specifici settori, determinate norme di diritto pubblico14), alla disciplina dettata dal codice civile15 e dalla legge fallimentare16. Il rapporto tra società ed ente locale è, infatti, di assoluta autonomia: il Comune, invero, salvo che per l’eventuale previsione statutaria del potere di nomina e di revoca degli amministratori ex art. 2449 c.c., non può incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali17 ma può solo avvalersi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti, di nomina comunale, presenti negli organi della società18.
2.1 Le società pubbliche
Il codice civile del 1942 dedica alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici un’apposita sezione del capo della società per azioni, attualmente composta dall’art. 2449, nel testo risultante dalle modifiche apportate (a seguito della pronuncia della Corte giustizia delle Comunità europee, 6.12.2007, C-463/04, Federconsumatori e al. c. Comune di Milano) dall’art. 13 della l. 25.2.2008, n . 3419.
Tali norme, però, salvo che per i profili inerenti alla nomina e alla revoca degli organi sociali, ivi specificamente contemplati, non formano uno statuto speciale delle società a partecipazione pubblica20 né, comunque, disciplinano il tema della responsabilità di detti organi, che resta, quindi, regolato, in linea di principio, dalle norme ordinarie previste dal codice civile21. In tal senso, del resto, depone il comma 2 del citato art. 2449, il quale (con norma che, in difetto di una disposizione che deponga in senso contrario, si applica anche per le società a responsabilità limitata eventualmente partecipate da un ente pubblico) dispone che i componenti degli organi amministrativi e di controllo di nomina pubblica «hanno i diritti e gli obblighi deimembri nominati dall’assemblea».
Così, del resto, dispone l’art. 4, co. 13, del d.l. 6.7.2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica, conv. con la l. 7.8.2012, n. 135, a norma del quale «le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali».
Ciò significa che la responsabilità dei soggetti preposti agli organi di gestione e di controllo delle società pubbliche (pur quando direttamente designati dal socio pubblico) nei confronti della società, dei creditori e dei soci e terzi direttamente danneggiati, è regolata dalle stesse norme (dettate dagli artt. 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis, 2395, 2476 c.c. e 146, co. 2, l. fall.) che disciplinano tali forme di responsabilità per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata22. Il problema è, allora, di stabilire se la giurisdizione relativa a tali azioni spetti al giudice ordinario ovvero se, al contrario, sia in tutto o in parte devoluta alla Corte dei conti.
2.2 Il riparto di giurisdizione nelle azioni di responsabilità
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione – superando l’indistinta affermazione della giurisdizione contabile in tema di responsabilità dell’amministratore di società pubblica pur in caso di pregiudizio arrecato al patrimonio sociale23 – hanno fissato, con la sentenza 19.12.2009, n. 26806, un criterio di riparto incardinato sull’oggettiva direzione del pregiudizio distinguendo a seconda che il danno sia stato arrecato direttamente al patrimonio sociale ovvero al patrimonio del socio pubblico: se il danno riguarda il patrimonio della società, l’azione volta ad ottenere il relativo risarcimento spetta alla giurisdizione del giudice ordinario; appartiene, per contro, alla giurisdizione della Corte dei conti l’azione volta a far valere il risarcimento del danno arrecato in via diretta (e cioè non quale mero riflesso di un danno subito dal patrimonio sociale) all’ente.
La Corte, in particolare, ha evidenziato che, in difetto di norme esplicite in tal senso (e fatta salva la specificità di singole società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis), occorre aver riguardo alla distinzione di fondo tra la responsabilità che gli organi sociali possono assumere nei confronti della società (a norma degli artt. 2392 e ss. e 2476, co. 1, 3, 4 e 5, c.c.) e la responsabilità che essi possono assumere nei confronti di singoli soci o terzi direttamente danneggiati (a norma degli artt. 2395 e 2476, co. 6, c.c.). In quest’ultimo caso, la configurabilità dell’azione del procuratore contabile, in quanto tesa a far valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico quando questo sia stato direttamente danneggiato dall’azione illegittima, non incontra particolari ostacoli24 come nel caso del danno all’immagine dell’ente pubblico che derivi da atti illegittimi posti in essere dagli organi della società partecipata: «danno che può eventualmente prodursi immediatamente in capo a detto ente pubblico, per il fatto stesso di essere partecipe di una società in cui quei comportamenti illegittimi si siano manifestati, e che non s’identifica con il mero riflesso di un pregiudizio arrecato al patrimonio sociale (indipendentemente dall’essere o meno configurabile e risarcibile anche un autonomo e distinto danno all’immagine della medesima società)»25.
Ad opposta conclusione si deve, invece, pervenire nel caso in cui l’azione sia proposta per reagire ad un danno cagionato al patrimonio della società. In tal caso, infatti, non solo non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l’ente pubblico partecipante e l’amministratore (o componente di un organo di controllo) della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall’atto di mala gestio, ma neppure sussiste un danno qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della suindicata società sia socio: il danno arrecato dagli organi della società «al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato, appunto la società, riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci – pubblici o privati – i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nell’unico patrimonio sociale»26. In siffatta ipotesi, quindi, tanto più in mancanza di una espressa disciplina che lo regoli, nessun concorso è configurabile tra l’azione contabile, che non è proponibile, e l’azione sociale di responsabilità, che è proponibile secondo le regole generali. Né rileva – ha continuato la Corte – che il danno sofferto dal patrimonio della società è per lo più destinato a ripercuotersi anche sui soci, incidendo negativamente sul valore o sulla redditività della loro quota di partecipazione.
Ed infatti – con salvezza delle limitate eccezioni introdotte dall’art. 2497 c.c. in tema di responsabilità dell’ente che abbia abusato della direzione e coordinamento27 – il sistema del diritto societario impone di tener distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio da quelli che il socio subisca quale mero riflesso dei danni arrecati alla società: dei danni diretti, cioè di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico-patrimoniale del socio e che non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società, solo il socio stesso è legittimato a dolersi; di quelli sociali, invece, solo alla società compete il risarcimento. Il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, quindi, può dar luogo solo all’azione sociale di responsabilità (ed eventualmente a quella dei creditori sociali) ma non radica – in mancanza di una espressa disposizione normativa (necessaria, in materia estranea alla contabilità pubblica, a norma dell’art. 103 Cost.: cd. interpositio legislatoris) – alcuna azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti: non implica, invero, alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto, e non certo a quello dei singoli soci – pubblici o privati – i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nell’unico patrimonio sociale.
Né, infine, – ha osservato ancora la Corte – l’esclusione dell’ipotizzata giurisdizione del giudice contabile per l’azione di risarcimento di danni cagionati al patrimonio della società partecipata da un ente pubblico provoca il rischio di una lacuna nella tutela dell’interresse pubblico coinvolto nella descritta situazione.
Nell’attuale disciplina della società azionaria – ed in misura ancor maggiore in quella della società a responsabilità limitata – l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, in caso di mala gestio imputabile agli organi della società, non è più riservata all’assemblea dei soci ed alla relativa decisione, assunta secondo le maggioranze ordinarie: a seguito della riforma del diritto societario, infatti, la minoranza qualificata dei soci della società per azioni (art. 2393 bis c.c.) ed il singolo socio nella società a responsabilità limitata (art. 2476, co. 3, c.c.), sono legittimati a proporre, a beneficio esclusivo della società, l’azione sociale di responsabilità. Nella società a partecipazione pubblica, quindi, il socio pubblico è, per lo più, in condizione di tutelare direttamente i propri interessi, promuovendo, in caso di danno al patrimonio della società, l’azione sociale di responsabilità (artt. 2393, 2393 bis e 2476, co. 3, c.c.).
Se non dovesse farlo e se, in conseguenza di tale omissione, l’ente pubblico socio abbia a subire un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente prospettabile l’azione del procuratore contabile nei confronti (non già dell’amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio ed abbia, per l’effetto, pregiudicato il valore della partecipazione28.
Tale orientamento, peraltro, sembra aver avuto un’implicita conferma con l’art. 16 bis, l. 28.2.2008, n. 31, (che ha convertito il d.l. 31.12.2007, n. 248), rubricato Responsabilità degli amministratori di società quotate partecipate da amministrazioni pubbliche, che ha espressamente previsto che «per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario»: a dimostrazione, quindi, che, in tutti gli altri casi, la giurisdizione è affidata, in presenza dei relativi presupposti (quale, in particolare, il danno direttamente inferto al patrimonio dell’ente pubblico socio), alla Corte dei conti29.
In tale prospettiva, a differenza – come detto – del caso del danno diretto, in ipotesi di pregiudizio al patrimonio della società, non si pone alcun problema di concorso tra l’azione esercitata dal pubblico ministero contabile e l’azione sociale di responsabilità, da chiunque promossa, ivi compreso il curatore in caso di fallimento (artt. 146, co. 2, l. fall. e 2394 bis c.c.)30.
2.3 Le società legali
Il criterio di riparto della giurisdizione, fondato sulla incidenza del danno sul patrimonio sociale ovvero su quello del socio pubblico, non è assoluto: non si applica, infatti, in caso di «società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis».
Si tratta delle cd. società legali, caratterizzate da un regime pubblicistico di matrice legale, rispetto al quale l’autonomia privata non esplica ruolo alcuno ovvero esplica un ruolo del tutto marginale.
Il tema della deroga al nuovo criterio di riparto della giurisdizione è più specificamente affrontato in un’ordinanza, sempre delle Sezioni Unite della Cassazione, di pochi giorni successiva alla sentenza sopra indicata, vale a dire l’ordinanza 22.12.2009, n. 27092. In tale decisione la Corte, dopo aver richiamato espressamente il nuovo criterio di riparto della giurisdizione sancito dalla sentenza n. 26806/2009, precisa che la deroga a tale criterio, prevista dalla medesima sentenza con riferimento alle società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis, deve intendersi riferito a quelle società che, nonostante l’abito formale di società per azioni, hanno, in realtà, «natura sostanziale di ente assimilabile a una amministrazione pubblica », con la conseguenza – rileva la Corte – che, per tali società, il danno cagionato alle stesse dai suoi agenti è qualificabile come danno erariale, ed è, quindi, assoggettabile all’azione di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti31.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 25.11.2013, n. 26283, hanno ritenuto che, in deroga al criterio generale, come sopra illustrato, la Corte dei conti abbia giurisdizione sull’azione di responsabilità proposta dalla procura della stessa corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio della società allorché quest’ultima assuma le caratteristiche della società in house, come tale dovendosi intendere – come può desumersi dal quarto comma dell’art. 113 t.u.e.l. (d.lgs. 18.8.2000, n. 267), come riformulato dall’art. 14 del d.l. 30.9.2003, n. 269 (convertito con modificazioni dalla l. 24.11.2003, n. 326) – la società che sia stata costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possono essere soci, che statutariamente svolga la propria attività esclusivamente o comunque prevalentemente in favore degli enti partecipanti, e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici32.
I predetti requisiti, peraltro, devono sussistere contemporaneamente e devono trovare il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale. In ordine al primo, la Corte ha precisato che il capitale sociale può anche far capo ad una pluralità di soci, purché si tratti di enti pubblici, e che occorre pur sempre e comunque che lo statuto inibisca in modo assoluto la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano titolari.
Il requisito della prevalente destinazione dell’attività in favore dell’ente o degli enti partecipanti alla società, pur presentando innegabilmente un qualche margine di elasticità, postula in ogni caso che l’attività accessoria non sia tale da implicare una significativa presenza della società quale concorrente con altre imprese sul mercato di beni o servizi e che l’eventuale attività accessoria, oltre ad essere marginale, rivesta una valenza meramente strumentale rispetto alla prestazione del servizio d’interesse economico generale svolto dalla società in via principale.
Il requisito del controllo analogo, infine, sussiste quando l’ente pubblico socio abbia – non già, semplicemente, il potere di svolgere quell’influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria o totalitaria è normalmente in grado di esercitare sull’assemblea della società (e, di riflesso, sulle scelte degli organi sociali)ma, più radicalmente – il potere, previsto dallo statuto (e, quindi, non, ad es., in un patto parasociale), di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house, i cui organi amministrativi sono, quindi, privi di reale autonomia gestionale ed in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica rispetto all’ente pubblico titolare della partecipazione sociale33.
Si tratta – ha osservato la Corte – di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e con un’intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano, secondo le regole dettate dal codice civile, al socio (fosse pure un socio unico), pur quando lo stesso eserciti sulla società, a norma degli artt. 2497 e segg. c.c., un potere di direzione e coordinamento, che attiene all’individuazione delle linee strategiche dell’attività d’impresa ma non arriva al punto di annullare del tutto l’autonomia gestionale della società controllata. Gli amministratori di quest’ultima sono, perciò, tenuti ad adeguarsi alle direttive loro impartite dalla capogruppo ma conservano una propria sfera di autonomia decisionale né, soprattutto, possono prescindere dal valutare se ed in qual misura quelle direttive eventualmente comprimano in modo indebito l’interesse della stessa società controllata ed hanno, quindi, il dovere, se del caso, di discostarsi da tali direttive ove illegittime.
Lo stesso è a dirsi nel caso in cui, in una società a responsabilità limitata, l’atto costitutivo abbia riservato al socio «particolari diritti riguardanti l’amministrazione» (art. 2468, co. 3, c.c.): neppure tali diritti speciali di amministrazione sono equiparabili, in presenza di un amministratore non socio, ad un rapporto di natura gerarchica da cui quest’ultimo sia vincolato, restando comunque intatto il suo primario dovere di perseguire l’interesse sociale, che conserva
pur sempre un qualche grado di autonomia rispetto a quello personale del socio.
Nelle società in house, invece, la subordinazione dei suoi gestori all’ente pubblico partecipante non lascia spazio a possibili aree di autonomia né consente agli amministratori di esprimere un eventuale motivato dissenso34. Le società in house, quindi, rileva la Corte, hanno della società solo la forma esteriore: nella realtà, costituiscono mere articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi.
Gli organi di tali società, in quanto preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, sono, quindi, a differenza degli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, personalmente legati all’ente partecipante da un vero e proprio rapporto di servizio, non diversamente da quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall’ente pubblico ed, al pari di questi, assoggettati, in caso di danni, alla medesima responsabilità e giurisdizione. E se non risulta possibile configurare un rapporto di alterità tra l’ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo, anche la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità, sicché, in siffatta situazione, il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all’ente pubblico. Si tratta, quindi, conclude la Corte, di un danno erariale, che attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità35.
La soluzione offerta dalle Sezioni Unite lascia, peraltro, impregiudicata la questione relativa al concorso, in caso di danno diretto al socio pubblico e/o di danno arrecato al patrimonio della società in house, tra l’azione del pubblico ministero contabile e le ordinarie azioni civili previste dal diritto societario, ove fondate sul medesimo danno, ad iniziativa, rispettivamente, dell’ente socio o della società (ivi compreso, in quest’ultimo caso, il curatore del fallimento, ove ammesso)36.
1 In tal senso, Trib. Napoli, 11.1.2011, in Le Società, 2011, 510 ss. In senso contrario, Trib. Santa Maria C.V., 18.3.2005, in Fallimento, 2006, 190 ss.
2 Cass., 21.7.2010, n. 17121. Trib. Napoli, 11.1.2011, cit., 510 ss. Le norme sulla responsabilità degli amministratori sono, direttamente o indirettamente, richiamate, tra gli altri, per: i liquidatori (art. 2489, co. 2, c.c.); i sindaci (art. 2407 c.c.); i direttori generali nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto (art. 2396 c.c.).
3 Cass., 23.6.2010, n. 15220.
4 Cass., S.U., 6.6.2002, n. 8229.
5 Cass., S.U., 10.3.2014, n. 5491.
6 Cass., S.U., 21.5.2014, n. 11229.
7 Cass., S.U., 23.2.2010, n. 4309.
8 Cass., S.U., 22.9.2014, n. 19891.
9 Cass., S.U., 16.12.2009, n. 26280.
10 Cass., S.U., 19.12.2009, n. 26806.
11 Cass., S.U., 12.10.2004, n. 20132.
12 Cass., S.U., 22.12.2003, n. 19667. In senso conf., Cass., S.U., 14.4.2011, n. 8492. Nel passato, le Sezioni Unite avevano, invece, fondato il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e Corte dei conti alla natura dell’atto adottato dall’amministratore di un ente pubblico economico, per cui gli eventuali danni imputabili ai cosiddetti “atti di organizzazione” ovvero a carattere autoritativo erano devoluti alla cognizione del giudice contabile, mentre quelli derivanti dagli “ordinari atti di gestione”, rispetto ai quali non era configurabile alcun rapporto di servizio con lo Stato, erano attribuiti alla giurisdizione civile: Cass., S.U., 17.7.2001, n. 9649. A tale tesi ha aderito C. conti, Sez. Riunite, 20.10.1992, n. 806.
13 Cass., S.U., 25.11.2013, n. 26283; Cass., S.U., 15.4.2005, n. 7799.
14 Si pensi, tra gli altri, a: l’art. 18 del d.l. 25.6.2008, n. 112, conv. con modif. dalla l. 6.8.2008, n. 133, in tema di reclutamento del personale; l’art. 22, l. 7.8.1990, n. 241, come modificato dall’art. 15 della l. 11.2.2005, n. 15, in tema di accesso ai documenti amministrativi; l’art. 3, co. 26, del d. lgs. 12.4.2006, n. 163, in tema di appalti pubblici.
15 La Relazione ministeriale è, del resto, esplicita: «in questo caso lo Stato medesimo si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici. La disciplina comune delle società per azioni deve, pertanto, applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano diversamente». In dottrina, per tale soluzione, Ibba, C., Azioni ordinarie di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa nelle società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in Riv. dir. civ., 2006, II, 145 ss, 148. Fimmanò, F., Le società in house tra giurisdizione, responsabilità ed insolvenza, Gazzetta Forense, 1/2014, 12 ss, 19. In giurisprudenza, in tal senso: Cass., S.U., 25.11.2013, n. 26283.
16 In caso di insolvenza, infatti, la società a partecipazione pubblica, pur se preposta allo svolgimento di un servizio pubblico, è assoggettata, a norma dell’art. 1, co. 1, l. fall., alle procedure concorsuali del fallimento e del concordato preventivo: in tal senso, Cass., 27.9.2013, n. 22209. Cass., 6.12.2012, n. 21991. Nella giurisprudenza di merito, così hanno giudicato: App. Napoli, 27.5.2013, in Fallimento, 2013, 1290 ss.; App. Napoli, 24.4.2013, in Dir. fall., 2013, 563 ss.; App. Napoli, 15.7.2009, in Fallimento, 2010, 689 ss. In dottrina, in tal senso, Salvato, L., I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2010, I, 619-620. Di Marzio, F., Insolvenza di società pubbliche e responsabilità degli amministratori. Qualche nota preliminare, in Le società pubbliche. Ordinamento, crisi ed insolvenza, a cura di F. Fimmanò,Milano, 2011, 387 ss.; Fimmanò, F., Le società in house, cit., 18, 19. In senso contrario, invece, sull’implicito o esplicito presupposto della neutralità della forma societaria rispetto alla questione della qualificazione dell’ente, cfr., tra gli altri, Trib. Santa Maria C.V., 9.1.2009, in Fallimento, 2009, 713 ss. e Trib. Napoli, 31.10.2012, in Fallimento, 2013, 869 ss, che hanno configurato come enti pubblici soggetti formalmente privati, con conseguente esclusione dal fallimento. App. Torino, 15.2.2010, in Fallimento, 2010, 689 ss ha, invece, ritenuto privato un soggetto formalmente pubblico. In generale, sul punto, cfr. Cass., S.U., 9.5.2011, n. 10063, dove rileva come «…il problema va risolto esaminando caso per caso se la società per azioni sia un soggetto non solo formalmente ma anche sostanzialmente privato ovvero se essa sia un mero modello organizzatorio del quale si avvalga la pubblica amministrazione al fine di perseguire le proprie finalità». D’Attorre, G., La fallibilità delle società in mano pubblica, in Fallimento, 2014, 493 ss. prospetta, invece, l’esonero dal fallimento delle società in mano pubblica che presentino il carattere della necessità, nel senso che la loro esistenza è considerata necessaria dall’ente territoriale in ragione dello svolgimento di determinati servizi pubblici essenziali destinati al soddisfacimento di bisogni collettivi, attesa l’oggettiva incompatibilità tra l’eventuale assoggettamento della società alla procedura fallimentare e la tutela degli interessi collettivi.
17 Cass., 15.10.2013, n. 23381.
18 Ed infatti, in caso di società partecipate, le controversie relative all’impugnazione degli atti societari appartengono al giudice ordinario, spettando, invece, al giudice amministrativo solo le azioni di impugnazione degli atti amministrativi ad essi prodromici, a partire dalla scelta del socio privato: Cass., S.U., 3.11.2009, n. 23200. Cass., S.U., 15.4.2005, n. 7799.
19 L’art. 2450 c.c. è stato, invece, abrogato dall’art 3, co. 1, d.l. 15.2.2007, n. 10, convertito con modificazioni dalla l. 6.4.2007, n. 46.
20 Interessate, piuttosto, da leggi speciali quali, ad es.: l’art. 13, d.l. 4.7.2006, n. 223, nel testo risultante dalla l. conv. 4.8.2006, n. 248; l’art. 1, co. 465 e 466, l. 27.12.2006, n. 296, e l’art. 3, co. 12-17 e 27-29, l. 24.12.2007, n. 244, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 18, d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito dalla l. 28.1.2009, n. 2, dall’art. 71, l. 18.6.2009, n. 69, e dall’art. 19, d.l. 1.7.2009, n. 79, come modificato dalla l. conv. 3.8.2009, n. 102; l’art. 18, d.l. 25.6.2008, n. 112, convertito dalla l. 6.8.2008, n. 113; l’art. 13 d.l. 4.7.2006, n. 223; l’art. 3, co. 27, l. 24.12.2007, n. 244, nel testo modificato dall’art. 71 della l. 18.6.2009, n. 69. 21 Cass., S.U., 25.11.2013, n. 26283.
22 Cass., S.U., 23.2.2010, n. 4309.
23 Su tale orientamento, v. Cass., S.U., 26.2.2004, n. 3899. Nella giurisprudenza contabile, che, a partire dal 2000, ha costantemente affermato la propria giurisdizione in materia di responsabilità di amministratori di società controllate, anche indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni, per i danni causati al patrimonio sociale, v. C. conti, 3.12.2008, n. 532; C. conti, sez. Lombardia, 22.2.2006, n. 114; C. conti, 3.11.2005, n. 356. In tale prospettiva, peraltro, era dubbio se il danno erariale consistesse nella lesione al patrimonio della società, da risarcire per l’intero e da riservare alla società danneggiata, ovvero nel danno arrecato all’ente pubblico quale socio, da risarcire pro quota. Era del pari dubbio se l’azione del pubblico ministero contabile fosse esclusiva, precludendo le azioni di responsabilità ex artt. 2392 ss c.c. innanzi al giudice ordinario o contabile ove fondate sui medesimi fatti illeciti ovvero se, al contrario, l’azione contabile si cumulasse con quelle ordinarie ex artt. 2392 e 2395 c.c. con il rischio, però, o di determinare una duplicazione di risarcimenti per i medesimi danni o, comunque (a fronte dell’impossibilità di risarcire due volte lo stesso danno e della conseguente improponibilità dell’azione proposta dopo l’esito vittorioso della prima: C. conti, 3.11.2005, n. 356), di una soddisfazione prioritaria del socio pubblico rispetto ai soci privati ovvero ai creditori sociali tutte le volte in cui il pubblico ministero contabile abbia proficuamente agito, per il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, prima della società o dei suoi creditori o, in caso di fallimento, del relativo curatore. Nella ricostruzione esposta, infine, restava ferma la giurisdizione ordinaria per le azioni risarcitorie intraprese dal socio privato della società a maggioranza pubblica dirette alla reintegrazione delle lesioni direttamente arrecate al suo patrimonio dagli amministratori a norma dell’art. 2395 c.c.: C. conti, 3.11.2005, n. 356.
24 Cass., S.U., 25.11.2013, n. 26283. Non è mancato, tuttavia, chi ha osservato che la Corte di cassazione, così opinando, abbia affermato, ai fini della giurisdizione contabile in caso di danno diretto, un rapporto di servizio tra l’ente pubblico socio e gli amministratori della società partecipata che, però, ha, in generale, escluso lì dove ha ritenuto che, in caso di società partecipata da un ente pubblico, il rapporto di servizio lega l’ente pubblico alla società partecipata ma non agli amministratori di quest’ultima: sul punto, v. Di Marzio, F., Insolvenza di società pubbliche e responsabilità degli amministratori., cit., 387 ss, 397.
25 Non è chiaro, però, se, in caso di danno diretto al socio pubblico, l’azione del pubblico ministero contabile concorra, pur a fronte della diversa disciplina e dei diversi risultati conseguibili, con l’azione individuale proponibile, innanzi al giudice ordinario, dal socio pubblico danneggiato ex artt. 2395 e 2476, co. 6, c.c. (Cass., S.U., 19.12.2009, n. 26806, in motiv. Fimmanò, F., La giurisdizione sulle “società in house providing”, in Le Società, 2014, 55 ss, 72, nt. 57), salvo che il danno azionato sia già stato risarcito, oppure se, al contrario, l’azione contabile precluda che il danno al socio pubblico possa essere autonomamente azionato dallo stesso innanzi al giudice ordinario.
26 Cass., S.U., 25.11.2013, n. 26283.
27 Che, peraltro, possono riguardare anche gli enti pubblici, purché diversi dallo Stato, a norma del d.l. 1.7.2009, n. 78, conv. con l. 3.8.2009, n. 102: in tema, cfr. Fimmanò, F., Le società in house, cit., 26.
28 In tal senso: Cass., S.U., 22.7.2004, n. 13702, che ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli ex sindaci di un comune socio di una società interamente partecipata dal comune stesso che non avevano deliberato l’azione sociale di responsabilità di cui all’art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori della società. Cass., S.U., 12.10.2011, n. 20941.
29 L’orientamento espresso nella indicata sentenza è stato, in seguito, ribadito da numerose pronunce:Cass., S.U., 25.11.2013, n. 26283 e, da ultimo, Cass., S.U., 9.7.2014, n. 15594.
30 Non sono mancate, peraltro, pronunce che hanno ribadito l’orientamento precedente: cfr. in tal senso Cass., S.U., 9.5.2011, n. 10063. Nella giurisprudenza contabile, la giurisdizione della Corte dei conti è stata riaffermata anche in ipotesi di danno al patrimonio sociale da C. conti, 22.7.2013, n. 568.
31 Si pensi, tra gli altri, ai casi della RAI s.p.a. (Cass., S.U., 9.7.2014, n. 15594, per la quale la Corte dei conti ha giurisdizione sulle azioni di risarcimento del danno cagionato da componenti del consiglio d’amministrazione e da dipendenti perché, nonostante la veste di società per azioni, essa ha natura sostanziale di ente pubblico), della ENAV s.p.a. (Cass., S.U., 9.7.2014, n. 15594) e dell’ANAS s.p.a. (Cass., S.U., 9.7.2014, n. 15594).
32 Sulle società in house, v., per la giurisprudenza comunitaria, cfr., per tutte, C. giust., 18.11.1999, C-107/98, cd. Teckal, che ha escluso la necessità del preventivo ricorso a procedure di evidenza pubblica nel caso in cui società affidataria sia interamente partecipata dall’ente pubblico, eserciti in favore del medesimo la parte più importante della propria attività e sia soggetta al suo controllo in termini analoghi a quelli in cui si esplica il controllo gerarchico dell’ente sui propri stessi uffici (in particolare, v. i punti 50 e 51). Nella giurisprudenza amministrativa, v. Cons. St., 24.9.2010, n. 7092; Cons. St., 8.3.2011, n. 1447; Cons. St., A.P., 3.3.2008, n. 1, per la quale, in particolare, la sussistenza del controllo analogo è esclusa in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria. Nella giurisprudenza contabile, cfr. C. conti, sez. regionale per il controllo della Regione Sicilia, delibera 2.4.2008, n. 14. Nella giurisprudenza costituzionale, infine, cfr. C. cost., 20.3.2013, n. 46, in motiv.
33 Lo strumento che la prassi ha introdotto e che la sentenza in esame sembra avallare è l’introduzione, nello statuto della società, di clausole che prevedono organi atipici, quali, ad esempio, i comitati paritetici formati dai sindaci dei comuni soci o loro delegati, spesso denominati “Comitati di controllo analogo”: la validità di tali clausole è stata affermata da Trib. Mantova, 8.5.2007,in www.ilcaso.it; Cons. St., 28.9.2009, n. 5808; Cons. St., 26.8.2009, n. 5082.
34 Come, in effetti, talvolta consentito da leggi speciali, che prevedono l’adozione di direttive vincolanti: cfr. in tal senso, l’art. 1, co. 9, d.l. 12.7.2004, n. 168, conv. con l. 30.7.2004 n. 191 e l’art. 3, co. 12-16, l. 24.12.2007, n. 244. In senso critico, per l’impossibilità di rinvenire nel diritto societario gli strumenti per articolare il controllo analogo così come preteso dalle Sezioni Unite, v. Salvato, L., Responsabilità degli organi sociali nelle società in house, in Società, 2014, 33 ss, 46; Fimmanò, F., Le società in house, cit., 26, 27, 28, dove aggiunge che, ove si verifichi l’ipotesi di controllo analogo contemplata dalla sentenza a Sezioni Unite, ci troviamo di fronte ad un caso di violazione, in re ipsa, delle regole dettate dal codice civile in tema di eterodirezione e coordinamento (artt. 2497 ss.), che, come è noto, prevedono la responsabilità diretta della società o dell’ente (che, come visto, può essere un ente pubblico, purché diverso dallo Stato) che abbia abusato del potere di direzione e coordinamento verso i soci e i creditori della società eterodirette, se non soddisfatti dalla stessa, nonché, in caso di fallimento, verso il curatore di quest’ultima, in solido con chi abbia preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, con chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
35 L’orientamento delle Sezioni Unite in tema di società “in house” – anticipato da Cass., S.U., 3.5.2013, n. 10299, che però ne aveva escluso la sussistenza nel caso deciso – è stato, in seguito, ribadito, tra le altre, da Cass., S.U., 22.7.2014, n. 16622 e da Cass., S.U., 26.3.2014, n. 7177, la quale ha precisato che la verifica in ordine alla ricorrenza dei requisiti propri della società in house deve compiersi con riguardo alle previsioni contenute nello statuto della società al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita e non a quelle, eventualmente differenti, esistenti al momento in cui risulti proposta la domanda di responsabilità da parte del pubblico ministero contabile. La legislazione più recente, tuttavia, sembra confermare la giurisdizione contabile in caso di danno al patrimonio di società “in house”: art. 25, d.l. 24.1.2012, n. 1, e art. 4, d.l. 6.7.2012, n. 95.
36 Tale conclusione, peraltro, non può non avere conseguenze in ordine alla soluzione del problema interpretativo dell’assoggettamento delle stesse alla dichiarazione di fallimento, essendo evidente, infatti, che, se tali società sono mere articolazioni interne dell’ente pubblico socio, non possono, in caso di insolvenza, essere dichiarate fallite trattandosi, appunto, di enti pubblici (art. 1, co. 1, l. fall.): in tal senso, D’Attorre, G., La fallibilità delle società in mano pubblica, in Fallimento, 2014, 493 ss, 497, 498. In senso contrario, Salvato, L., Responsabilità degli organi sociali, cit., 48 e nt. 84. Nella giurisprudenza di merito, nel senso della esclusione dal fallimento delle società in house, cfr. Trib. Verona, 19.12.2003, Trib. Nola, 30.1.2014, Trib. Napoli, 9.1.2014, tutte in www.ilcaso.it. Nel senso dell’assoggettamento delle società in house alle procedure concorsuali, Trib. Pescara, 14.1.2014, in www.ilcaso.it. In tema, cfr. Fimmanò, F., Le società in house, cit., 34, 35, il quale osserva che la affermata mancanza di alterità soggettiva tra ente pubblico e società in house può determinare una ulteriore conseguenza, vale a dire la responsabilità diretta dell’ente pubblico per le obbligazioni assunte dalla società.