Abstract
L'esercizio di attività processuali in materia civile e commerciale avviene nei limiti indicati da norme nazionali e soprattutto di diritto uniforme europeo. All'uopo vengono seguite due distinte tecniche secondo che il titolo di giurisdizione (da accertare d'ufficio solo in casi determinati, altrimenti rimesso all'eventuale contraddittorio tra le parti) dipenda da una circostanza oggettivamente precostituita di collegamento con l'ordinamento del foro oppure dalla volontà delle parti pregressa all'instaurarsi del processo civile (proroga); alla seconda ipotesi può essere assimilata l'acquiescenza del convenuto che non contesti tempestivamente la carenza di giurisdizione del giudice adito. Per evitare che l'eventuale concorrenza tra più processi civili pregiudichi l'armonia dei giudizi, apposite regole stabiliscono la preminenza del giudice preveniente nell'ipotesi di litispendenza o connessione, ovvero del giudice competente sul merito rispetto a provvedimenti cautelari adottati dal foro esorbitante in materia cautelare.
L’attività giurisdizionale di uno Stato in materia civile integra una funzione pubblicistica, per questo le regole poste per delimitarne la proiezione nello spazio hanno una valenza ‘internazionale’. L’espressione ‘diritto processuale civile internazionale’, che si attaglia a tali regole, ne mette in evidenza lo scopo di coordinare l’attività processuale dello Stato in rapporto a quella di altri Stati. La disciplina sulla giurisdizione include le diverse attività processuali su cui si espleta la funzione giurisdizionale in materia civile a prescindere dalla qualificazione formale dell’organo che di volta in volta ne è investito. Pertanto il diritto processuale civile internazionale, che delimita la sfera di giurisdizione statale, interessa non solo il giudice civile, ma anche il giudice amministrativo o penale, se la loro attività investe diritti civili, ed infine altre autorità che, pur non avendo una connotazione strettamente giurisdizionale, svolgono in alcuni Stati funzioni assimilabili ai primi.
Il diritto processuale civile internazionale distingue invece secondo il tipo di attività processuale ovvero gli effetti della stessa. Nell’ordinamento italiano la distinzione opera anzitutto tra la giurisdizione di cognizione preposta all’accertamento del diritto (generalmente ma non necessariamente) nell’ambito di una lite, la giurisdizione di natura cautelare che in larga misura è strumentale alla prima e la giurisdizione di esecuzione. A ciò si aggiungono altre attività che presentano caratteristiche in parte o in tutto differenti. La giurisdizione fallimentare ha carattere promiscuo poiché la dichiarazione di insolvenza attira nella competenza del giudice che la pronuncia cause ad essa strettamente connesse nonché l’amministrazione e la liquidazione giudiziale dei beni del fallito. La cd. ‘giurisdizione volontaria’ va riferita ai casi in cui sia del tutto autonoma l’amministrazione giudiziale di interessi dei privati e manchi qualunque profilo di accertamento del diritto.
Dal punto di vista del diritto internazionale, la natura diversa delle attività processuali ed i relativi effetti giustificano soluzioni diverse nella delimitazione della giurisdizione statale. La giurisdizione di esecuzione implica un’attività d’imperio che va di norma circoscritta nell’ambito dello Stato in cui essa si svolge e nel rispetto di limiti internazionalmente apprezzati, come quelli posti a tutela dei beni degli Stati stranieri che hanno una destinazione pubblicistica. Anche la giurisdizione cognitiva viene limitata dall’immunità di cui beneficiano gli Stati stranieri per attività inerenti alle loro funzioni pubblicistiche, ma per il diritto internazionale lo Stato del foro non incontra in tal caso limiti spaziali predefiniti. Per questo motivo, la sfera di competenza dello Stato rispetto al contenzioso civile potrebbe essere concettualmente illimitata. Nella tradizione legislativa italiana si sono però sempre formulate regole comuni atte a delimitare questo tipo di competenza giurisdizionale, vuoi ponendo eccezioni alla sfera di giurisdizione assunta come virtualmente illimitata (le cd. regole privative contenute nell’art. 4 c.p.c. 1942), vuoi formulando puntualmente le regole attributive della giurisdizione (come è avvenuto con la l. 31.5.1995, n. 218, di riforma di diritto internazionale privato). Influenzata da diverse circostanze storiche, la normativa ha variamente bilanciato due opposte esigenze: da un lato, il bisogno che l’ordinamento statale avverte di assicurare l’accesso alla giustizia e, dall’altro, il grado effettivo di circolazione che la decisione può avere al di fuori dello Stato in cui è resa. Questo secondo aspetto è divenuto prevalente in considerazione della crescente internazionalizzazione dei rapporti tra privati e del conseguente bisogno di certezza giuridica nello spazio. Per facilitare la libera circolazione delle decisioni si fa sempre più ricorso a regole uniformi sulla giurisdizione di cognizione specie nell’ambito dell’UE. La loro natura ‘internazionale’, vale a dire di delimitazione della sfera di esercizio di una funzione sovrana, non muta sol perché operanti all’interno di uno spazio giudiziario relativamente integrato. E difatti anche il diritto dell’UE considera la determinazione del titolo di giurisdizione quale riferita allo Stato nel suo complesso senza incidere – almeno direttamente – sulla ripartizione della competenza all’interno dello Stato. Vero è che regole sulla competenza giurisdizionale richiamano il legame di un elemento della fattispecie processuale con un determinato luogo interno allo Stato (ad esempio, il luogo di consegna del bene per le controversie in tema di vendita). Ma in tal caso occorre che lo Stato strutturi le proprie norme di competenza territoriale nel modo più congruo per assicurare l’effetto utile richiesto dalla disciplina uniforme europea. Nel contempo, come anche si vedrà più avanti, lo Stato può impiegare il legame con un dato criterio di competenza territoriale per farne un titolo di giurisdizione.
La legge di riforma n. 218/1995 formula le norme sulla giurisdizione civile anche tramite rinvio a norme uniformi di origine internazionale. L’art. 3, co. 2, prima parte, richiama i criteri dettati da una serie di disposizioni contenute nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e «successive modificazioni». Questo strumento venne adottato inizialmente tra i sei Stati allora membri della CE in base a quanto prevedeva l’art. 220 del Trattato CE. Vi hanno fatto seguito altre Convenzioni (cd. ‘di adesione’) resesi necessarie per estendere l’iniziale disciplina uniforme (se del caso modificata) ai nuovi Stati membri. Il rinvio della legge di riforma alla disciplina convenzionale, tuttora in vigore, ne mutua il contenuto rendendola applicabile oltre il suo ambito originario, circoscritto, in linea di principio, alle fattispecie nella quali il convenuto fosse domiciliato in uno Stato membro. Si deve però tener conto che, a partire dal 2000, si è registrata una forte accelerazione del diritto uniforme di matrice europea per effetto della competenza attribuita prima alla CE dall’art. 65 TCE e poi all’UE dall’art. 81 TFUE con riguardo alla cooperazione giudiziaria in materia civile. In relazione alla rispettiva base giuridica, la CE e l’UE hanno adottato vari atti nel campo del diritto processuale civile internazionale, fino a configurare un sistema europeo di diritto processuale civile internazionale, anche se ancora incompleto e non sempre pienamente operante per tutti gli Stati membri in considerazione dei margini di flessibilità che gli stessi Trattati hanno previsto (con appositi Protocolli) per taluni Stati (Regno Unito, Irlanda e Danimarca). La Convenzione di Bruxelles del 1968 venne sostituita prima dal reg. CE n. 44/2001 (Bruxelles I) e poi dal reg. UE n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) che sarà pienamente applicabile dal 10.1.2015 ed al quale si farà di seguito riferimento. Le ultime modifiche sovvenute sono peraltro intese in una logica di continuità con la disciplina precedente (considerando n. 34, reg. n. 1215/2012). La Convenzione di Bruxelles del 1968 resta peraltro formalmente in vigore nei territori d’oltremare di alcuni Stati membri e in rapporto a talune fattispecie ivi localizzate (considerando n. 9, reg. n. 1215/2012). Il reg. n. 1215/2012 detta una disciplina che opera per la materia civile e commerciale. I criteri di giurisdizione indicati dal regolamento valgono anche per le liti regolate seconde procedure di diritto europeo e finalizzate a produrre un titolo esecutivo europeo (reg. CE n. 805/2004, n. 1896/2006 e n. 861/2007: vedi voce Riconoscimento delle sentenze straniere in materia civile e commerciale).
Alla stregua dei testi normativi che l’hanno preceduto, l’art. 1, reg. n. 1215/2012 esclude dal proprio ambito materiale di applicazione le procedure che rientrano in determinati settori della materia civile. Alcuni di questi sono già oggetto di apposita disciplina uniforme europea: il reg. CE n. 1346/2000 per la procedura fallimentare, il reg. CE n. 2201/2003 relativamente alle controversie riguardanti la fase patologica del rapporto matrimoniale nonché la responsabilità genitoriale, il reg. CE n. 4/2009 in materia di alimenti e il reg. UE n. 650/2012 in materia di successioni. I vari atti dell’UE contenenti una disciplina di settore devono essere coordinati ratione materiae con la disciplina uniforme generale, ora costituita dal reg. n. 1215/2012 in modo da non dare luogo né a reciproche sovrapposizioni, né a vuoti normativi.
L’applicazione della disciplina uniforme europea, tanto generale che di settore, beneficia in Italia della garanzia disposta dall’art. 11 Cost. e quindi, nel proprio ambito di efficacia personale e materiale, implica la disapplicazione delle regole di diritto comune con essa confliggenti. L’imponente regolamentazione uniforme europea non ha però del tutto rimosso la disciplina nazionale. Anzitutto, le regole uniformi sulla giurisdizione, pur essendo di diretta applicazione, vanno talora definite ed applicate con l’ausilio di norme processuali interne. Inoltre, vi sono settori della materia civile in cui manca tuttora la disciplina uniforme europea in tema di giurisdizione (capacità, rapporti patrimoniali tra coniugi, arbitrato) e la si deve quindi ricavare dalla disciplina comune.
I criteri uniformi di giurisdizione sono quasi sempre applicabili se una o più parti del processo hanno dati legami personali con uno Stato membro. Nel caso del reg. n. 1215/2012 questa delimitazione ratione personae è costituita dal legame domiciliare del convenuto con uno Stato membro (art. 5); per altre liti civili che rientrano ratione materiae nel regolamento resta applicabile la disciplina comune nazionale sulla giurisdizione: i cd. ‘fori esorbitanti’ nazionali (art. 6) vengono però integrati nella disciplina uniforme che lo stesso regolamento contiene a proposito del coordinamento delle azioni civili nello spazio e della circolazione di decisioni. Una disciplina uniforme per le fattispecie processuali che presentano rapporti con Stati terzi può essere definita o tramite una convenzione internazionale per la cui conclusione l’UE ha competenza esclusiva (C. giust., 7.2.2006, parere n. 1/03, § 173) come è avvenuto con il rinnovo della Convenzione di Lugano tra CE e Paesi EFTA (2007) oppure tramite gli stessi regolamenti dell’UE. Il diritto uniforme europeo ha introdotto una disciplina al riguardo solo in alcuni regolamenti di settore, aggiungendovi peraltro casi eccezionali per giustificare la giurisdizione esorbitante di uno Stato membro (infra, § 3). Il reg. n. 1215/2012, innovando rispetto al precedente reg. n. 44/2001, detta norme sulla litispendenza connessione con Stati non membri. Negli altri casi la disciplina nazionale sui fori esorbitanti opera secondo parametri autonomi di accesso alla giustizia, benché i conseguenti processi civili siano poi inglobati nella disciplina uniforme dell’UE sotto il profilo sia del coordinamento delle azioni civili nello spazio che della circolazione delle decisioni. L’autonomo apprezzamento alla base delle regole comuni vale anche per il rinvio operato dall’art. 3, co. 2, l. n. 218/1995 alla Convenzione di Bruxelles del 1968 e «successive modificazioni»: la giurisprudenza ha ritenuto opportunamente che questo rinvio non si dovesse estendere al reg. CE n. 44/2001 (Cass., 21.10.2009, n. 22239, in Riv. dir. int., 2010, 197 ss.) e dunque lo stesso vale rispetto al reg. n. 1215/2012. In concreto, ciò permette di conservare una disciplina comune sulla giurisdizione che, nella sua originaria ispirazione al modello convenzionale, è maggiormente compatibile con i parametri di giustizia processuale del foro in qualche misura (ulteriormente) sacrificati nella versione regolamentare.
Tanto la disciplina comune che quella europea provvedono a stabilire la sfera di giurisdizione dello Stato con regole attributive della giurisdizione oggettivamente precostituite. La soluzione riflette il convincimento che il titolo di giurisdizione può meglio esplicare un ruolo funzionale all’effettività dei diritti di azione e di difesa delle parti della lite se astrattamente prevedibile. Ciò non esclude soluzioni ritagliate sulla fattispecie concreta. Lo è la regolamentazione della proroga della giurisdizione che rende certo il giudice indicato dalle parti (infra, § 4). Lo è ancor più quella disciplina uniforme di settore che configura in via del tutto eccezionale il foro ‘di necessità’ in uno Stato membro (art. 7, reg. n. 4/2009; art. 11, reg. n. 650/2012): tale soluzione estende la sfera di giurisdizione per assicurare l’accesso alla giustizia nel caso concreto, seguendo un approccio flessibile che si avvicina, anche se con presupposti e finalità diversi, alla dottrina anglosassone del forum (non) conveniens.
L’approccio normativo prevalente resta però la formulazione di circostanze di collegamento che denotano in via astratta un legame della fattispecie processuale con l’ordinamento di uno Stato. Le circostanze di collegamento sono di natura personale se attengono ad un legame qualificato di una o di entrambe le parti con lo Stato del foro. Rientrano in tale categoria il domicilio, la residenza abituale o la cittadinanza delle persone fisiche, cui corrispondono formule in parte equivalenti per le persone giuridiche e le società riferendosi alla sede sociale o statutaria delle stesse. La preferenza verso un dato legame personale rientra nelle valutazioni discrezionali di politica del diritto. Lo stesso diritto dell’UE alterna la scelta a favore del legame domiciliare del convenuto – quasi sistemica nel reg. n. 1215/2012 – con il richiamo alla residenza abituale di una delle parti o di entrambe senza peraltro neppure trascurare il legame di cittadinanza in specie se comune alle parti: nel primo caso, considerata la generalità delle controversie regolate, si privilegia il foro nel quale il convenuto ha migliori opportunità di attrezzarsi per l’esercizio del diritto di difesa; nel secondo caso, si apprezza un legame di prossimità personale maggiormente qualificato rispetto agli interessi sostanziali in giuoco. Questo tipo di considerazioni non è peraltro estraneo al reg. n. 1215/2012, il quale provvede ad enunciare anche una serie di criteri speciali di collegamento giurisdizionale. Taluni di questi sono riferiti a classi di fattispecie circoscritte per l’oggetto della lite traendone la circostanza giustificativa del titolo di giurisdizione in un determinato Stato. Ad esempio, il ‘foro del contratto’ di cui all’art. 7, n. 1, si fonda sul luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio; il ‘foro dell’illecito civile’ ex art. 7, n. 2, si richiama al luogo in cui si è verificato o può verificarsi l’evento dannoso; il ‘foro delle azioni reali e personali’ su beni immobili – configurato nell’art. 24, n. 1 - si incardina nello Stato in cui si trova l’immobile. In altre norme speciali sulla giurisdizione, il reg. n. 1215/2012 indica il legame di residenza abituale della parte attrice per favorirne l’accesso alla giustizia in quello Stato rispetto ad una data tipologia di fattispecie: è il caso degli artt. 10 ss. che disciplinano la competenza giurisdizionale nelle controversie che vertono su contratti di assicurazione, di consumo e di lavoro subordinato in modo da offrire migliori opportunità di azione e di difesa per i contraenti deboli.
Tanto i legami di natura personale che quelli speciali possono essere sia giuridici sia di fatto. I secondi sono quelli che generalmente meglio si prestano ad essere apprezzati in modo uniforme come avviene con il richiamo al luogo in cui si trova l’immobile (art. 24, n. 1) o in cui è avvenuta la consegna del bene venduto (art. 7, n. 1, primo trattino). Talora però il legame di fatto può riguardare una circostanza frammentata nello spazio. In tal caso soccorrono due diverse ipotesi. Una prima possibilità è che si utilizzi il legame in modo parziale nei limiti in cui cioè lo consente la portata del collegamento spaziale. Così nel caso in cui la giurisdizione in materia di illecito civile dipenda dal legame con il luogo in cui si è verificato l’evento dannoso: nell’eventualità che dalla medesima azione siano scaturiti più eventi dannosi localizzati in diversi Stati, la competenza di ciascuno di questi sarà limitata ai soli danni verificatisi nel suo territorio. Una seconda possibilità è di poter commisurare i vari legami plurilocalizzati ed individuare quello prevalente. È quanto solitamente avviene per le fattispecie che giustificano la giurisdizione in forza del legame con lo Stato di residenza abituale di una parte ovvero, per le controversie di lavoro, di prestazione abituale del lavoratore subordinato. L’interprete, in relazione ad una persona che divida la propria vita, anche lavorativa, in due o più Stati, deve individuare quello in cui il legame sia di fatto prevalente, commisurando l’intensità e la qualità dei singoli legami nello spazio: l’esito non può che dipendere da una sintesi degli elementi quantitativi e qualitativi afferenti ai vari rapporti.
I criteri giuridici di collegamento giurisdizionale sono talora relativamente agevoli da applicare, come avviene nel caso della cittadinanza di una o di entrambe le parti. Le difficoltà derivanti dalla presenza di più cittadinanze per la medesima persona vanno risolte in base alle regole di volta in volta pertinenti per risolvere il cumulo di cittadinanze. Se la regola sulla giurisdizione fa riferimento alla cittadinanza «comune» sarà questa a prevalere comunque. Se entrambe le parti (come i coniugi) hanno più cittadinanze in comune, si dovrà optare per quella che è imposta dal diritto positivo dello Stato del foro. L’art. 19, co. 2, l. n. 218/1995 stabilisce la preferenza per la cittadinanza che presenta il collegamento più stretto, a meno che non vi sia la cittadinanza italiana tra quelle in conflitto alla quale andrebbe comunque data la prevalenza. Il diritto uniforme europeo opera secondo criteri propri. Il regolamento CE n. 2201/2003, che vieta discriminazioni tra cittadini dell’UE (art. 59 § 2, lett. b), indica tra i criteri alternativi di giurisdizione la competenza dello Stato membro del quale entrambi i coniugi abbiano la cittadinanza (art. 3 § 1, lett. b): la Corte di giustizia ha ritenuto che questo titolo, di per sé non discriminatorio, sia invocabile dal singolo coniuge anche se il collegamento con lo Stato di comune cittadinanza non sia effettivo (C. giust., 16.7.2009, C-168/08, Hadadi, § 51 ss.).
Sorgono questioni più complesse di interpretazione qualora la circostanza di collegamento giurisdizionale si insinui in una vicenda processuale già in atto. Emblematica al riguardo è la disciplina sulla connessione ‘attributiva’. L’art. 8, n. 1, reg. n. 1215/2012 consente, in caso di pluralità di convenuti, di estendere la competenza del giudice già adito ad altre liti che siano connesse con la prima, purché lo giustifichino ragioni di armonia dei giudizi: l’apprezzamento del giudice adito circa la propria competenza sulle questioni connesse comporta una valutazione prognostica sul possibile esito ‘incompatibile’ di liti disgiunte.
La prevedibilità del titolo di giurisdizione è meno controversa se il giudice competente sia indicato di comune accordo dalle parti della lite mediante la cd. ‘proroga della giurisdizione’. Nella sua tradizionale forma espressa, la proroga avviene con un’intesa sottoscritta tra le parti di un dato rapporto giuridico che impegna loro a riconoscere la competenza di un determinato giudice su future liti inerenti a quello stesso rapporto; se si tratta di un contratto, tale intesa è perlopiù oggetto di una clausola detta, appunto, di proroga della competenza. Salvo eccezioni in specie a tutela del contraente debole, la proroga può essere espressa anche dopo che sia sorta la lite. Sempre ex post può riscontrarsi la cd. ‘proroga tacita’: come si vedrà nel paragrafo seguente, tale effetto si riscontra nella condotta processuale del convenuto che, costituitosi in giudizio, non eccepisca tempestivamente la carenza di giurisdizione del giudice adito.
L’ambito operativo della proroga espressa (detta anche ‘elezione del foro’) dipende dal modo in cui il diritto processuale civile internazionale intende riconoscere alle parti il diritto di disporre della giurisdizione. L’art. 4 l. n. 218/1995 non pone limiti per la proroga a favore del giudice italiano se non quelli imposti dal rispetto di obblighi internazionali od europei di diritto uniforme. Più cauta invece la stessa normativa circa la possibilità di una proroga a favore del giudice o arbitro straniero se ne derivi la deroga alla competenza oggettivamente precostituita del giudice italiano: per l’art. 4, co. 2, deve trattarsi di «diritti disponibili». Questa espressione va intesa ai sensi della lex fori ed assunta nel suo significato strettamente sostanziale senza dare risalto ai limiti che il diritto processuale civile pone per la deroga alla competenza territoriale. Il diritto uniforme europeo stabilisce condizioni maggiormente favorevoli con l’art. 25 reg. UE n. 1215/2012, che non richiede alcun legame significativo della fattispecie processuale con l’ordinamento del foro prorogato. I regolamenti di settore dell’UE in tema di giurisdizione alternano una netta preclusione al foro prorogato – inconcepibile per il reg. CE n. 1346/2000 in materia fallimentare – con la sua valorizzazione in modo variamente condizionato. L’art. 4 reg. CE n. 4/2009 in materia di alimenti consente la proroga della giurisdizione a favore del giudice di uno Stato membro se vi sia un legame personale qualificato con una delle parti o con entrambe, ovvero se lo stesso giudice sia competente a conoscere della controversia matrimoniale rispetto alla quale la lite in materia di alimenti ha natura accessoria. In materia successoria, l’art. 5 reg. UE n. 650/2012 consente la proroga a favore del giudice di uno Stato membro se il de cujus aveva già formulato la propria optio juris a favore della legge di quello Stato. Nonostante i dichiarati intenti riformatori di introdurre la proroga espressa in materia matrimoniale, il reg. CE n. 2201/2003 non contiene tuttora alcuna disposizione al riguardo. Si intravede una forma surrettizia di proroga solo nel caso dell’art. 3, § 1, lett. a), quarto trattino, che considera utilizzabile la domanda congiunta di entrambi i coniugi per adire il giudice dello Stato in cui uno solo ha la residenza abituale.
Per esigenze di prevedibilità del titolo di giurisdizione fondato sulla proroga del foro, sia il diritto comune che il diritto uniforme europeo concordano sulla forma scritta dell’accordo tra le parti. Per favorire l’utilizzo della proroga, l’art. 25, § 1, lett. b) e c), reg. n. 1215/2012 indica ulteriori e meno rigorose forme quali convenute tra le parti del rapporto ovvero seguite in un dato settore del commercio internazionale.
Sussistendo i requisiti richiesti, il giudice prorogato ha competenza esclusiva sulla lite, sempre che le parti non abbiano espresso indicazioni diverse. La competenza del foro prorogato non riguarda solo il merito della lite, ma dovrebbe estendersi alla verifica della validità dell’accordo di proroga. Per limitare le opportunità di ricorso, anche in chiave abusiva, ad altri fori unicamente per contestare la validità dell’atto di proroga, il reg. n. 1215/2012 ha introdotto una modifica alla regola sulla litispendenza stabilendo che «qualunque autorità giurisdizionale di un altro Stato membro sospende il procedimento fino a quando l’autorità giurisdizionale adita sulla base dell’accordo dichiara di non essere competente ai sensi dell’accordo» (art. 31, § 2).
La disciplina sui titoli di giurisdizione tende ad avere, specie nel diritto uniforme, un assetto assai analitico che tiene conto delle esigenze di buona amministrazione della giustizia sottese a singole classi di fattispecie transnazionali. Il ‘pendolo’ tra le diverse esigenze delinea scelte variamente articolate nel diritto uniforme europeo, dando luogo ad una pluralità di criteri di collegamento. Il modo in cui questi si coordinano tra loro dipende da scelte normative. Vi sono atti, come il reg. n. 2201/2003, che formulano più titoli di giurisdizione in chiave assolutamente alternativa l’uno all’altro senza che ciò implichi delimitazioni in ordine al tipo di fattispecie. Nel reg. n. 1215/2012 si segue, invece, un approccio diverso. Salvo talune eccezioni tassativamente indicate, la disciplina sulla giurisdizione ivi contenuta si regge sui criteri speciali alternativi al foro generale costituito dallo Stato di domicilio del convenuto (art. 4). Tali criteri, di portata concettualmente circoscritta, sono indicati dagli artt. 7-9 utilizzando legami di diversa natura con l’oggetto della controversia. Secondo la Corte di giustizia, i criteri alternativi si pongono in deroga al valore centrale costituito dal foro domiciliare del convenuto, di modo che la stessa Corte ne ha tendenzialmente prefigurato un impiego restrittivo. Tuttavia la stessa Corte non ha sottovalutato i vantaggi, in termini di buona amministrazione della giustizia, derivanti dall’opportunità di ricorrere a fori speciali che presentano un elevato grado di prossimità con la fattispecie concreta. Così, a proposito di danni plurilocalizzati da una asserita violazione dei diritti della personalità mediante l’impiego della rete, la Corte di giustizia (25.10.2011, cause riunite C509/09 e C161/10, eDate Advertising GmbH, § 52) ha notevolmente ampliato l’utilizzo del foro dell’illecito civile. Nell’espressione «luogo in cui si è verificato l’evento dannoso» di cui all’art. 5, n. 3, reg. n. 44/2001 – ripresa dall’art. 7, n. 2, reg. n. 1215/2012 – vanno inclusi: il luogo, appunto, dell’evento dannoso localizzato, il luogo dell’azione prodromica del fatto dannoso e il centro d’interessi del danneggiato in cui si concentrano i danni. L’ambito di competenza è, però, diverso, poiché solo gli ultimi due (oltre al foro generale del domicilio del convenuto) consentono di formulare una domanda che include la totalità dei danni subiti.
Maggiormente univoca è stata invece l’indicazione restrittiva che la Corte ha dato su altri titoli di giurisdizione che non hanno valenza alternativa rispetto al foro domiciliare del convenuto. È il caso dei regimi esaustivi che disciplinano, in modo autonomo e speciale, i criteri di giurisdizione in controversie su contratti di assicurazione, consumatori e lavoro subordinato. L’orientamento – già enunciato nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e ripreso in modo più ampio prima dal reg. CE n. 44/2001 e poi dal reg. UE n. 1215/2012 – di configurare criteri giurisdizionali in chiave di tutela più favorevole per il contraente ritenuto più debole si spinge fino a consentire solo da parte sua l’accesso alla giustizia nel proprio Stato di residenza abituale (cd. forum actoris). Perciò la Corte di giustizia ha delimitato rigidamente le figure sociali protette e di riflesso anche circoscritto l’impiego ratione personae di tali fori esaustivi. Lo scopo della tutela insito in tale disciplina speciale giustifica tuttavia la sua applicazione anche in fattispecie nelle quali non si è ancora perfezionato il contratto, ma esiste il vincolo a contrarre per il contraente del soggetto debole.
Infine la Corte di giustizia ha seguito un orientamento decisamente restrittivo per i cd. fori esclusivi indicati nell’art. 24 dell’attuale reg. UE n. 1215/2012, dato il legame pressoché assorbente dell’oggetto della lite con un dato ordinamento nazionale. A tutela del carattere esclusivo del giudice nel cui ordinamento si sia provveduto alla registrazione di un brevetto, l’art. 24, n. 4, esclude la competenza di altro giudice per conoscere di questioni che vi rientrano, sia pure a titolo pregiudiziale.
Il diritto europeo pone regole uniformi in tema di accertamento della giurisdizione del giudice adito, dando peraltro alla relativa determinazione efficacia automatica verso altri Stati membri. Il diritto comune, oltre che essere applicabile in via residuale, integra all’occorrenza le regole uniformi.
I due sistemi concordano sulla natura attributiva delle regole concernenti l’esercizio della giurisdizione: ciò implica il diritto – ma anche l’onere – per la parte attrice di indicare il titolo nella domanda. Regole comuni ed uniformi convergono anche sulle modalità di accertamento: valendo il medesimo principio del contraddittorio tra le parti, si dà la possibilità al convenuto – costituitosi in giudizio – di eccepire la carenza di giurisdizione. L’art. 4, co. 1, l. n. 218/1995 stabilisce che tale eccezione va sollevata nel «primo atto difensivo». Stante il principio dispositivo del processo civile, da un lato l’attore può indicare un ulteriore titolo di giurisdizione nel corso del processo e, dall’altro, la condotta del convenuto può determinare la cd. ‘proroga tacita’, vale a dire l’accettazione implicita della competenza in sede processuale. Questa regola è pertinente anche per il diritto uniforme europeo.
Vi sono, però, casi in cui il giudice deve operare l’accertamento d’ufficio. Lo richiede il reg. n. 1215/2012 – nell’art. 27 – per i casi in cui l’oggetto della lite rientri in uno dei titoli di competenza esclusiva in base all’art. 24 e – nell’art. 28 – se il convenuto non si sia costituito in giudizio. L’art. 11 della legge di riforma estende tale accertamento a tutti i casi in cui sussistano obblighi internazionali ed europei da rispettare in materia di limiti alla giurisdizione statale.
Sia per il diritto uniforme che per il diritto comune l’accertamento afferisce la verifica di circostanze sussistenti al momento della domanda. Puntuale in tal senso è l’art. 8, prima parte, l. n. 218/1995, di modo che la competenza non viene meno se dopo il relativo accertamento cambino le circostanze adducibili a sostegno dell’iniziale titolo di giurisdizione accertato. Il principio della perpetuatio jurisdictionis è stato ripreso dalla Corte di giustizia. Nella sent. 5.2.2004, C-18/02, DFDS Torline (§ 35 ss.), la Corte ha escluso che la sospensione da parte del convenuto del comportamento illecito all’origine dell’azione di responsabilità extracontrattuale nel foro sottragga al giudice adito la sua competenza. Altra questione è se il titolo di giurisdizione mancasse al momento della proposizione della domanda e si concretizzasse successivamente a favore dello stesso giudice adito. È la formula ‘rovesciata’ della perpetuatio jurisdictions ammessa dall’art. 8, seconda parte, l. n. 218/1995 e che la giurisprudenza fa operare anche in relazione alla disciplina uniforme europea (Cass., 17.7.2008, n. 19603, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, 444). Il richiamo alla circostanza giustificatoria sopravveniente al di fuori della proroga tacita non contrasta con l’effetto utile del regolamento n. 1215/2012, ma può precludere l’avvio successivo della stessa causa dinanzi al giudice originariamente provvisto di competenza solo se il giudice iniziale abbia accertato la propria competenza se del caso per effetto della concorde volontà (anche tacita) delle parti.
La strategia processuale delle parti e il tipo di interessi che costituisce il loro contenzioso possono dipanarsi fino a determinare una moltiplicazione delle liti in più Stati. Per fini di certezza del diritto, il diritto processuale civile internazionale provvede a coordinare le varie azioni civili nello spazio inerenti ad un comune contenzioso transnazionale.
Nel caso in cui le parti abbiano avviato più processi di merito in Stati diversi, il loro possibile coordinamento avviene secondo le distinte regole su litispendenza e connessione che comportano la deroga alla competenza del giudice prevenuto. Nel primo caso, si deve trattare della «stessa causa», vale a dire che le liti devono essere identiche in relazione alle parti, al titolo controverso ed all’oggetto. La regola sulla litispendenza, enunciata negli stessi termini sia nel diritto uniforme europeo (in specie art. 29, reg. n. 1215/2012) sia nel diritto comune (art. 7, co. 1), va intesa in termini piuttosto estensivi in armonia con l’interpretazione che ne ha dato la Corte di giustizia (così, Cass. 28.11.2012, n. 21108). La connessione ‘privativa’ (per distinguerla da quella di natura ‘attributiva’ che estende la competenza del giudice adito: supra, § 3), contemplata dal diritto comune (art. 7, co. 3) in termini meno ampi rispetto al diritto uniforme europeo, va riferita a cause che – pur non essendo identiche – presentano un legame così intenso tra loro da rendere opportuna la concentrazione della competenza in un unico foro per evitare decisioni incompatibili.
Sia per la litispendenza che per la connessione è decisiva la valutazione del giudice sopravvenuto che deve rinunciare alla propria competenza a favore del giudice preveniente. Ma, perché operi tale determinazione, occorre preliminarmente appurare quale sia la lite temporalmente preveniente. L’art. 7 della legge di riforma, ispirandosi alla soluzione originariamente contenuta nella Convenzione di Bruxelles, obbliga il giudice italiano a stabilire il momento preveniente in base al diritto processuale nazionale applicabile distintamente alle liti di raffronto. Il diritto europeo ha invece predisposto al riguardo una regola materiale uniforme, quale ora tra l’altro enunciata dall’art. 32 del reg. n. 1215/2012 e riproposta in altri atti affini. Secondo questa regola materiale uniforme, occorre fare riferimento al momento in cui si è verificato il primo contatto formale tra l’attore e l’autorità giudiziaria (particolarmente puntuale al riguardo l’art. 3, § 3, reg. CE n. 861/2007 e l’analoga disposizione del reg. n. 1896/2006). Il diritto dell’Unione europea si rimette alla disciplina nazionale per stabilire se si sia costituito il ‘contatto’ tra l’attore e l’autorità giudiziaria (English High Court, 3.11.2009, Debt Collection London Ltd v. SK Slavia Praha – Fotbal AS, in International Litigation Procedure, 2010, 124 ss.) e quale ne sia l’eventuale ‘prova’. La validità della data così individuata resta poi subordinata al compimento degli atti necessari per il perfezionamento del rapporto processuale tra le parti. Quindi, per il caso in cui rilevi il deposito della domanda varrà la «data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente è depositato presso il giudice», salvo poi procedere alla necessaria notificazione. Se, invece, la lex fori fa riferimento alla notificazione della domanda, si dovrà tener conto ai fini della prevenienza della «data in cui l’autorità competente ai fini della notificazione lo riceve» e quindi integrarla con il successivo deposito, sempre che necessario per la legislazione nazionale.
Nel caso della litispendenza, appurato anche d’ufficio il carattere prevenuto della propria lite (art. 29, § 1, reg. n. 1215/2012 e, per l’art. 7 l. n. 218/1995, Cass., 28.11.2012, n. 21108), il giudice deve sospendere la propria causa. Per il diritto uniforme europeo il giudice prevenuto declina definitivamente la propria competenza se e quando il giudice preveniente abbia accertato la propria. In questa regola generale rientra anche l’eventualità che sia stato adito un giudice diverso da quello per il quale sussista un accordo o una clausola di proroga tra le parti: per impedire un’azione fraudolenta che miri ad aggirare la competenza esclusiva del foro prorogato (cd. torpedo actions), l’art. 31, § 2, reg. n. 1215/2012 impone ad ogni altra autorità di sospendere «il procedimento fino a quando l’autorità giurisdizionale adita sulla base dell’accordo dichiara di non essere competente ai sensi dell’accordo». Nella disciplina comune (art. 7, l. n. 218/1995) è prevista la sola sospensione, subordinatamente ad una prognosi favorevole di riconoscibilità della futura sentenza straniera; alla stessa ratio si è ispirato il reg. n. 1215/2012, introducendo per la prima volta un’apposita disciplina uniforme sulla litispendenza con Stati terzi (art. 33, § 1, lett. a).
Sulla connessione esistono soluzioni differenti nel diritto uniforme europeo. La regola prevalentemente seguita è quella ora indicata nell’art. 30. reg. n. 1215/2012. Essa è così congegnata: il giudice prevenuto declina definitivamente la propria competenza solo nel caso in cui le cause connesse siano entrambe in primo grado ed il giudice preveniente sia nella condizione obiettiva, ancorché non ancora da lui accertata, di esercitare la propria giurisdizione. Nelle altre ipotesi, compresa quella prevista dal diritto comune (art. 7, co. 3, l. n. 218/1995), il giudice prevenuto sospende la propria causa. Del tutto isolato è l’art. 19 reg. n. 2201/2003 che estende la disciplina sulla litispendenza alla connessione in materia matrimoniale.
La competenza del giudice di merito ad adottare provvedimenti cautelari è acquisita tanto nel diritto comune (art. 10, l. n. 218/1995) che nel diritto uniforme europeo (reg. n. 1215/2012, considerando n. 33). Si profila un’ulteriore esigenza di coordinamento delle azioni civili nello spazio nell’eventualità di provvedimenti cautelari adottati rispetto alla stessa causa dal giudice di un foro diverso da quello competente nel merito. Una simile competenza ‘esorbitante’ è espressamente prevista sia dalla legge di riforma (art. 10) che dal diritto uniforme europeo, quasi sempre con la medesima formulazione quale ora enunciata nell’art. 35, reg. n. 1215/2012 (art. 14, reg. n. 4/2009, art. 19, reg. n. 650/2012); se ne discosta l’art. 20 del reg. n. 2201/2003 con una disciplina più analitica su cui si tornerà in seguito.
Il diritto processuale civile internazionale consente a date condizioni l’utilizzo di questo foro esorbitante ritenendo che esigenze urgenti ma provvisorie di tutela effettiva debbano trovare un accesso alla giustizia anche in Stati diversi da quelli competenti per il merito. Perciò un simile foro esorbitante può giustificarsi solo su base di effettività, tanto che il legame richiesto è imperniato sul carattere immediatamente esecutivo del provvedimento nell’ordinamento del giudice adito. Questo legame esecutivo-territoriale è puntualmente richiamato dall’art. 10 della legge di riforma e si ritrova in vario modo nel diritto uniforme europeo. Lo è in maniera espressa nell’art. 20, § 1, reg. n. 2201/2003 che giustifica il rilascio ad opera del foro esorbitante di «provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati». Analoga specificazione manca nell’art. 35, reg. n. 1215/2012, ma lo si ricava dal considerando n. 33 del medesimo che circoscrive l’efficacia dei provvedimenti provvisori e cautelari di natura esorbitante «al territorio dello Stato membro interessato».
Il rilascio della misura cautelare deve anche tener conto del suo legame strumentale con il giudizio di merito, onde evitare effetti che si rivelassero incompatibili con il suo esito. Un migliore coordinamento tra le due autorità giudiziarie si riscontrerebbe qualora il giudice del foro esorbitante informasse il giudice competente per il merito direttamente attraverso le procedure della rete giudiziaria europea in materia civile. La Corte di giustizia ha già configurato un obbligo del genere, «allorché lo rende necessario la tutela dell’interesse superiore del minore» (C. giust., 2.4.2009, C-523/07, A, § 64 s.); ma la stessa soluzione sarebbe del tutto in armonia con la ratio dell’art. 35, reg. n. 1215/2012. Perciò, a meno che non sia stata avviata la causa di merito (ma il diritto uniforme europeo non fissa un onere del genere: C. giust., 6.3.2003, C-213/01 P, T. Port GmbH, § 19), il provvedimento cautelare esorbitante viene assorbito dalla sentenza di merito ovvero deve essere rimosso se con quella incompatibile. La centralità della decisione di merito è ben evidenziata ancora una volta nell’art. 20, co. 2, reg. n. 2201/2003, in base al quale i provvedimenti provvisori adottati nel foro esorbitante «cessano di essere applicabili quando l'autorità giurisdizionale dello Stato membro competente in virtù del presente regolamento a conoscere del merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati». Il principio è trasponibile anche nell’ambito del reg. n. 1215/2012, tanto che il giudice competente per il merito può legittimamente eludere provvedimenti cautelari rilasciati in un foro esorbitante (già Tribunale Venezia, ord. 19.8.2003, in Riv. dir. int., 2003, 1180 ss.), essendo ora del tutto legittimo escluderne gli effetti nel proprio ordinamento ai sensi del considerando n. 33, prima richiamato. L’art. 669-novies, ult. co., n. 2, c.p.c. prevede in modo puntuale la rimozione del provvedimento cautelare esorbitante adottato nell’ordinamento italiano ed incompatibile con l’esito della sentenza straniera di merito ancorché non definitiva.
Legge n. 31.5.1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato); Conv. Bruxelles, 27.9.1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (l. 21.6.1971, n. 804); reg. CE n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; reg. CE n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il reg. (CE) n. 1347/2000; reg. CE n. 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo per i crediti non contestati; reg. CE n. 1896/2006 che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento; reg. CE n. 861/2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità; reg. CE n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari; reg. UE n. 650/2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo; reg. UE n. 1215/2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione).
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