Abstract
Il presente contributo si propone di esporre, sinteticamente, i criteri di giurisdizione in subiecta materia, e ha come obiettivo quello di rappresentare (i) l’evoluzione dei criteri di giurisdizione che sono con il tempo stati adottati sui diversi piani di normazione (nazionale, europeo ed internazionale) fornendo al tempo stesso (ii) un quadro completo della disciplina alla luce (iii) dei problemi applicativi che sono stati evidenziati dalla prassi giudiziaria. Inoltre, (iv) si cercherà di coordinare le differenti discipline definendo puntualmente il campo di applicazione delle diverse norme per determinare con certezza il residuo campo di applicazione della legislazione interna.
Il reg. CE n. 2201/2003 detta i criteri attributivi della competenza giurisdizionale con riferimento allo scioglimento del vincolo coniugale e alla responsabilità genitoriale. In relazione al campo di applicazione ratione materiae, il regolamento si occupa dei soli procedimenti civili, a carattere giudiziario o non giudiziario – inclusi quelli emessi dalle autorità amministrative – instaurati in uno Stato membro, esclusa la Danimarca, che ineriscano il vincolo matrimoniale, affievolendolo. Restano esclusi i procedimenti riferiti ad unioni non matrimoniali, i provvedimenti che confermano il vincolo coniugale e quella parte dei procedimenti concernenti gli aspetti patrimoniali o personali che discendono dalla sentenza di scioglimento del matrimonio. Con riguardo al limite temporale, il reg. n. 2201/2003 sostituisce, dal 1.3.2005, il reg. CE n. 1347/2000. Per quanto concerne i limiti ratione personae, due sono i titoli, alternativi, che giustificano l’applicazione del regolamento in materia matrimoniale: cittadinanza (definita facendo riferimento al diritto interno dei Paesi membri) e residenza dei coniugi (nozione resa sulla base del sistema e degli scopi dell’ordinamento europeo).
Inoltre, l’art. 7 del regolamento (competenza residua) prevede che solo qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente ai sensi degli artt. 3-5 reg., viene in considerazione la disciplina nazionale (C. giust., 29.11.2007, C-68/07, Kerstin Sundelind Lopez c. Miguel Enrique Lopez Lizazo).
Il regolamento si occupa di disciplinare la competenza in materia di scioglimento del vincolo matrimoniale, utilizzando due criteri di competenza: cittadinanza e residenza abituale dei coniugi. Tali criteri sono «oggettivi», perché tesi ad individuare un legame effettivo tra soggetti in lite e foro e perché nessuno spazio viene lasciato all’autonomia privata, e hanno carattere «esclusivo», nel senso che prevalgono sui criteri di diritto comune (ad eccezione dei casi individuati negli artt. 6 e 7). L’art. 3 individua fori alternativi che fanno riferimento: i) alla residenza abituale dei coniugi o alla loro ultima residenza abituale «comune» (da intendersi nel senso di residenza nell’ambito dello stesso Stato, anche laddove i coniugi vivano separatamente, pur nell’ambito di un medesimo Paese); ii) alla residenza abituale del convenuto o di uno qualunque dei due coniugi se essi presentano domanda congiunta, iii) alla residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto da almeno un anno prima della presentazione della domanda (il termine è ridotto a 6 mesi nel caso in cui l’attore abbia la cittadinanza dello Stato in cui risiede); iv) alla cittadinanza comune dei coniugi.
Il giudice al quale le parti si rivolgono è competente, ex art. 4, anche a decidere in ordine alle eventuali domande riconvenzionali che rientrino nel campo di applicazione del reg. e, laddove abbia statuito sulla separazione, resta competente a convertirla in divorzio (circostanza che non si verifica nell’ordinamento italiano). Un ultimo criterio di competenza è quello individuato nell’art. 20, relativo ai provvedimenti provvisori e cautelari che possono essere disposti tanto in relazione ai procedimenti matrimoniali, tanto in relazione ai procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale. Tali misure possono essere adottate anche da giudici non competenti a decidere nel merito, sempre che ricorra una situazione di urgenza, che il provvedimento sia previsto dalla lex fori e che questo possa incidere su persone o beni situati nello Stato richiesto. Dette misure cessano di avere efficacia laddove l’autorità giurisdizionale competente nel merito abbia adottato i provvedimenti più appropriati.
L’art. 32, l. n. 218/1995 dispone che la giurisdizione italiana, in materia matrimoniale, è quanto mai estesa e può divenire esorbitante fondandosi su (i) la cittadinanza italiana di uno dei coniugi o – elemento che può essere espressivo di un collegamento particolarmente debole – (ii) la celebrazione in Italia del matrimonio.
Entrambi i criteri impiegati si aggiungono a quanto stabilito nell’art. 3: (iii) domicilio o residenza in Italia del convenuto (lascia, pertanto, perplessi quella giurisprudenza di merito – App. Ancona, 2.8.2007, in Giur. it., 2008, 1922 e ss. – che nega il rilievo della litispendenza e del riconoscimento di una decisione già pronunciata all’estero da un giudice competente sulla base dell’art. 3, dichiarando sussistente la sola giurisdizione italiana ai sensi dell’art. 32), nonché (iv) i criteri stabiliti per la competenza territoriale interna, tra i quali compare la residenza dell’attore (cfr. art. 18 c.p.c.; art. 4, l. 989/1970 e C. cost., 23.5.2008, n. 169, in Giust. civ., 2008, 1597). In base a tale disposizione, lo straniero potrà radicare un procedimento in Italia laddove il convenuto non abbia domicilio o residenza in Italia, confermando la possibilità che in Italia vengano trattati procedimenti che con il territorio presentano un collegamento poco significativo (v. Cass. S.U., 3.2.2004, n. 1994, in Foro it., 2004, I, 1063; Trib. Firenze, 27.6.2000, in Giust. Civ., 2000, 2902 e Cass., S.U., 27.11.1998, n. 12056, in Giust. civ. Mass., 1998).
Sotto il profilo della responsabilità genitoriale, il regolamento si occupa dei procedimenti civili, a carattere giudiziario o non giudiziario, che ineriscono la responsabilità genitoriale, instaurati anche disgiuntamente rispetto ai procedimenti di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio (anche laddove i soggetti della controversia non siano i genitori del minore, bensì persone, istituzioni o enti che abbiano la responsabilità di gestire i beni del minore o che lo rappresentino e lo assistano).
Ai sensi dell’art. 1, rientrano nel campo di applicazione del regolamento: (i) il diritto di affidamento ed il diritto di visita; (ii) la tutela, la curatela ed istituti simili; (iii) la designazione della persona o dell’ente avente la responsabilità genitoriale; (iv) la collocazione del minore in famiglia affidataria o istituto (da ultimo C. giust., 26.4.2012, C-92/12 PPU, Health Service Executive c. S.C. e A.C.); (v) le misure di protezione del minore legate all’amministrazione dei suoi beni (applicandosi per l’amministrazione dei beni non funzionale alla protezione del minore il reg. CE n. 44/2001). I criteri di giurisdizione si informano all’interesse superiore del minore, in particolare al criterio di vicinanza: la competenza appartiene anzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente alla data di avvio del procedimento. La nozione di residenza abituale non è precisata dal regolamento, ma la Corte di Giustizia ha chiarito che essa corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare alla luce delle ragioni, delle condizioni e della regolarità del soggiorno che caratterizzano il singolo caso di specie (C. giust., 2.4.2009, C-523/07).
Una volta adito, il giudice competente conserva la giurisdizione anche se il minore acquisisce la residenza abituale in un altro Stato membro (cd. perpetuatio fori). Sono tuttavia necessarie alcune precisazioni in relazione all’ipotesi di trasferimento, lecito o illecito, della residenza del minore da uno Stato membro ad un altro. Con riferimento alla prima ipotesi, l’art. 9 stabilisce che la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della precedente residenza permane per un periodo di tre mesi dal trasferimento, allorché si tratti di modificare una decisione sul diritto di visita resa in detto Stato prima del trasferimento e il titolare del diritto di visita continui a risiedere abitualmente in tale Stato.
Della competenza a pronunciare decisioni inerenti l’illecito trasferimento si occupano, invece, gli artt. 10 e 11 del regolamento. Per «trasferimento illecito» si intende «il trasferimento o il mancato rientro di un minore: a) quando avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro e b) se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi» (v. art. 2, § 11 e cfr. Convenzione dell’Aia del 1980). Il regolamento specifica inoltre che l’affidamento è da ritenersi congiunto allorché uno dei titolari della responsabilità genitoriale non può decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell’altro. Di conseguenza, non solo il trasferimento di un minore da uno Stato membro all’altro da parte del soggetto che non ne abbia l’affidamento, ma anche il suo trasferimento da parte della persona contitolare di tale diritto senza previo consenso dell’altro responsabile, costituisce sottrazione di minore ai sensi della normativa in esame.
L’art. 10 prevede che, in caso di trasferimento illecito o mancato rientro del minore, l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza legittima conserva la competenza giurisdizionale a statuire in materia di responsabilità genitoriale. Lo Stato in cui il minore si trova dopo l’illecito trasferimento acquista la competenza se ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato rientro; ovvero se il minore ha soggiornato in quell’altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente senza che il titolare del diritto di affidamento abbia presentato alcuna domanda di ritorno del minore o, se presentata, l’abbia ritirata.
L’art. 11 precisa le regole che si applicano quando il titolare del diritto di affidamento adisca le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento di rimpatrio del minore in base alla convenzione dell’Aia del 25.10.1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. Quest’ultima attribuisce alle autorità dello Stato di residenza legittima la competenza a pronunciarsi prescrivendo i casi in cui la competenza passa ai giudici dello Stato di illecito trasferimento. Sulla base dell’art. 12 della convenzione, qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto al di fuori del Paese di propria residenza legittima, l’autorità giurisdizionale del Paese in cui il minore si trova ne deve ordinare l’immediato rimpatrio. Due sono i casi in cui l’autorità competente può respingere la domanda di rimpatrio: laddove sia trascorso più di un anno dall’illecito trasferimento del minore senza che sia stata presentata alcuna istanza di ritorno (in tal caso, peraltro, il diniego del rimpatrio non è automatico, bensì soggetto alla prova che il minore si sia integrato nel nuovo Stato di residenza); qualora il minore sia stato condotto in un altro Stato.
L’art. 13 della convenzione dell’Aia stabilisce, poi, che l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore qualora chi si oppone ad esso dimostri: (i) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro; ovvero (ii) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno; ovvero (iii) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici; ovvero (iv) che sussiste un fondato rischio, per il minore, a seguito del ritorno, di trovarsi in una situazione intollerabile; o ancora (v) che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali da rendere opportuno tener conto del suo parere.
Il giudice dello Stato in cui il minore si trova dopo un trasferimento illecito che nega il ritorno del minore deve immediatamente darne comunicazione alle autorità dello Stato di residenza legittima per consentire al giudice d’origine di valutare i motivi e gli elementi di prova alla base dell’emanazione del provvedimento contro il ritorno (C. giust., 11.7.2008, C-195/08 PPU, Inga Rinau).
Resta inteso che, ex art. 11 reg., l’autorità giurisdizionale del Paese di illecito trasferimento non può rifiutare di ordinare il ritorno di un minore sub (iii) qualora sia dimostrato che sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno. Inoltre, anche laddove venga emanato un provvedimento contro il ritorno ex art. 13 della convenzione, il regolamento precisa che il giudice competente ai sensi del regolamento stesso può rendere una successiva decisione che prescriva comunque il ritorno del minore (decisione esecutiva conformemente alla sez. 4 del capo III).
Infine, il giudice richiesto non può negare il ritorno del minore sull'assunto che il giudice del Paese di origine che lo ha ordinato avrebbe, nell’adottare la sua decisione, violato le previsioni di cui all'art. 42 reg. (comprendente il diritto di ascolto del minore e dei genitori durante la procedura che ordina il rientro), poiché l’accertamento della sussistenza di detta violazione compete ai giudici dello Stato membro d’origine (C. giust., 22.12.2010, C-491/10 PPU, Joseba Andoni Aguirre Zarraga c. Simone Pelz).
Ritornando ai criteri di competenza, il criterio generale nelle cause di responsabilità genitoriale è, dunque, quello della residenza del minore. Ma esistono taluni casi in cui detto criterio è superato.
In particolare, laddove si tratti di domande relative alla responsabilità dei genitori presentate congiuntamente a domande relative allo scioglimento del vincolo matrimoniale, la competenza spetta ai giudici indicati nell’art. 5, a condizione che detta competenza sia stata accettata dai coniugi, almeno uno dei quali eserciti la responsabilità genitoriale sul figlio, e che ciò corrisponda all’interesse superiore del minore (art. 12). Peraltro, la competenza del foro matrimoniale cessa non appena la decisione che accoglie o respinge la domanda di scioglimento del matrimonio sia passata in giudicato ovvero il processo sia terminato per un’altra ragione. Il criterio della residenza può, inoltre, essere superato, pur in assenza di un legame con la causa matrimoniale, dalla contraria manifestazione di volontà delle parti in lite nel caso in cui il minore abbia un legame sostanziale con lo Stato scelto e la proroga di competenza corrisponda al suo interesse superiore.
In secondo luogo, il criterio della residenza abituale è superato laddove sia impossibile localizzare la residenza stessa. In tal caso soccorre la volontà delle parti e, in ultima istanza, sono chiamati a decidere i giudici dello Stato membro in cui il minore viene, di volta in volta, a trovarsi (art. 13).
Infine, occorre precisare che tutti i criteri possono essere superati, in via di eccezione, da una valutazione del giudice competente che ritenga un differente foro maggiormente adatto a trattare l’intero caso o una sua parte specifica (art. 15) purché ciò corrisponda all’interesse superiore del minore e il minore abbia un legame particolare con l’altro Stato.
L’art. 14 del regolamento precisa che qualora «nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente a norma degli articoli da 8 a 12 la competenza, in ciascuno Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato». L’art. 37, l. n. 218/1995 stabilisce che le controversie relative a filiazione e rapporti personali fra genitori e figli siano assoggettate alla giurisdizione italiana oltre che nei casi previsti dagli artt. 3 e 9, anche quando uno dei genitori o il figlio siano cittadini italiani o risiedano in Italia. Proprio il riferimento alla residenza distingue l’art. 37 dalle altre disposizioni che la l. n. 218/1995 dedica alla disciplina internazionalprivatistica dell’istituto della filiazione: le norme di conflitto contenute negli artt. 33-36 bis utilizzano, infatti, il criterio della cittadinanza del figlio e/o dei genitori per rintracciare la legge regolatrice dei relativi rapporti.
La recente novella in materia di unificazione dello status di figlio, di cui al d. lgs. 28.12.2013, n. 154, peraltro, non ha inciso sui criteri utilizzati dalla legge per la limitazione della giurisdizione italiana in materia di filiazione, limitandosi ad eliminare ogni distinzione tra la filiazione legittima e naturale.
La diversità della norma dedicata alla giurisdizione è giustificata dall’obiettivo di ampliare l’ambito dei giudizi riferibili ai tribunali nazionali. Nel rinviare alle norme sulla competenza per territorio, l’art. 3 richiama, in particolare, l’applicazione dell’art. 18, co., 2 c.p.c., ai sensi del quale nel caso in cui il convenuto non abbia residenza, domicilio o dimora in Italia o nel caso di dimora sconosciuta, è competente il giudice del luogo in cui risiede l’attore.
Quanto all’identificazione dei limiti applicativi della norma, un primo problema si pone in relazione all’individuazione di quali rapporti l’art. 37 intenda disciplinare: tale norma prende in considerazione i soli rapporti di natura personale senza far riferimento alcuno ai rapporti di natura patrimoniale. Due soluzioni sono ipotizzabili: secondo un’interpretazione fedele alla lettera della norma, l’art. 37 trova applicazione per i soli rapporti di natura personale, dovendosi rinvenire altrove la disciplina relativa a quelli di natura patrimoniale; secondo un’interpretazione sistematica, che considera l’art. 37 in coerenza con l’art. 36 e con altre norme di diritto internazionale privato di famiglia, l’art. 37 trova applicazione anche per i rapporti di natura patrimoniale, malgrado non siano espressamente menzionati. La soluzione più aderente al dato testuale pare preferibile, anche avuto riguardo alle più recenti evoluzioni del diritto internazionale privato europeo, che nell’ambito delle relazioni familiari tende a separare la disciplina dei rapporti di natura personale da quella relativa ai rapporti di natura patrimoniale.
L’art. 37 resta la norma di riferimento per i rapporti di natura personale, ancorché debba essere coordinata con la disciplina contenuta nell’art. 42, che effettua un rinvio in ogni caso alla Convenzione dell’Aia del 1961 alla Convenzione dell’Aia del 1996. La delimitazione del rispettivo ambito di applicazione delle due norme da ultimo richiamate era, in passato, realizzata attraverso l’applicazione del principio di specialità in forza del quale doveva essere assicurata prevalenza all’art. 37. Recentemente, la Cassazione ha chiarito che l’art. 42 e, più precisamente, la disciplina contenuta nella Convenzione dell’Aia del 1961, trova applicazione ogni volta che sia necessario adottare provvedimenti che, pur incidendo sulla potestà dei genitori, perseguono una finalità di protezione del minore (Cass., S.U., 9.1.2001, Schindler c. Pischedda e altro, in Fam. e dir., 2001, 282).
La scelta di prevedere una serie di fori alternativi darebbe vita a problemi di conflitti tra procedimenti e giudicati se non fossero stabilite apposite regole sulla verifica della competenza e sul coordinamento dell’esercizio della funzione giurisdizionale da parte dei giudici appartenenti ai Paesi dell’Unione. Rilevano in particolare le previsioni di cui all’art. 17, secondo il quale il giudice di uno Stato membro davanti al quale sia radicata una controversia per la quale ricorra la giurisdizione di altro foro europeo, deve dichiarare d’ufficio la propria incompetenza anche nell’ipotesi in cui il convenuto si sia costituito in giudizio e non abbia eccepito l’incompetenza del tribunale adito. Con riferimento alla litispendenza, il regolamento individua in maniera autonoma quando un giudizio debba considerarsi instaurato (art. 16: momento del deposito dell'atto di citazione e momento della consegna agli ufficiali giudiziari competenti per la notifica del ricorso).
Per quanto riguarda le liti in materia di scioglimento del vincolo coniugale, si è previsto l’operare della litispendenza anche nelle ipotesi di connessione qualificata, ovvero laddove a fronte dell’identità soggettiva delle parti si abbia una diversità del petitum - separazione, divorzio, annullamento. La previsione si è resa necessaria a fronte delle differenze nella disciplina dello scioglimento e dell’affievolimento del vincolo coniugale tra i diversi Stati che rendono praticamente impossibile l’instaurazione, in Stati differenti, di domande aventi il medesimo oggetto (v. Cass., S.U., 20.7.2001, n. 9884, in Riv. dir. int. priv. proc., 2002, 420).
Per quanto concerne, invece, gli elementi identificativi della stessa causa in materia di responsabilità genitoriale, il criterio della prevenzione opera a condizione che le domande abbiano il medesimo oggetto, il medesimo titolo e vertano sullo stesso minore, a prescindere dall’identità delle parti in lite. L’obiettivo di evitare la pronuncia di sentenze contrastanti in Europa viene, inoltre, perseguito mediante l’attribuzione, alla parte che ha proposto la domanda davanti al giudice successivamente adito, della facoltà di trasferire tale istanza davanti al tribunale preventivamente adito (art. 19).
Il reg. CE n. 4/2009 si applica alle obbligazioni alimentari a carattere transnazionale (i.e. quando elementi soggettivi od oggettivi del rapporto sono localizzati in Stati differenti ovvero quando, a fronte di rapporti interni ad un solo Stato, sia necessario eseguire le relative decisioni in un Paese diverso). La nozione di obbligazione alimentare ricomprende sia le controversie tese a fissare il quantum sia quelle in cui si valuto l’an di un obbligo alimentare (C. giust., 20.3.1997, Jackie Farrell c. James Long) e deve essere intesa in senso ampio, facendovi rientrare le prestazioni dirette a garantire il sostentamento del coniuge bisognoso (C. giust., 27.2.1997, C-220/95, Antonius van den Boogaard c. Paula Laumen). Il regolamento conferma l’orientamento interpretativo di carattere estensivo, laddove precisa di riferirsi «alle obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità» (art. 1). Il creditore è qualunque persona cui sono dovuti, o si presume siano dovuti gli alimenti (cfr. art. 2, § 1, nn. 10 e ss.), incluso l’ente pubblico che agisce in via di regresso.
Per quanto concerne l’ambito di applicazione territoriale, il regolamento vincola oggi tutti gli Stati membri, anche se la Danimarca è vincolata soltanto nella misura in cui il reg. n. 4/2009 ha modificato Bruxelles I. Il regolamento presenta non solo limiti applicativi di carattere oggettivo e geografico, ma anche di carattere soggettivo, consistenti nella semplice localizzazione nel territorio di uno Stato membro di uno dei criteri di competenza di cui agli artt. 3-5, integrati sul punto dall’art. 6 (applicabile in via sussidiaria). Con riferimento ai rapporti che il regolamento instaura con gli altri strumenti comunitari già approvati, rileva l’art. 68: esso è destinato a sostituire tanto il reg. CE n. 44/2001 quanto il reg. CE n. 805/2004 (fatta eccezione per i titoli esecutivi europei, riguardanti obbligazioni alimentari, emessi in uno Stato membro non vincolato dal protocollo dell’Aia del 2007). Esso, invece, non pregiudica l’applicazione del reg. CE n. 1206/2001 né del reg. CE n. 1393/2007. Per quanto concerne i rapporti tra regolamento e altri strumenti internazionali, il primo è destinato a prevalere tra gli Stati membri.
L’art. 3 del regolamento prevede quattro fori concorrenti, equivalenti ed alternativi, in favore dei giudici (i) del luogo ove il convenuto risiede abitualmente, (ii) del luogo ove il creditore risiede abitualmente, (iii) competenti a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone quando la domanda relativa all’obbligazione alimentare è accessoria, salvo che tale competenza sia fondata soltanto sulla nazionalità di una delle parti e (iv) competenti a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale, ai sensi del reg. CE n. 2201/2003, quando la domanda relativa all’obbligazione alimentare è accessoria, salvo che tale competenza sia fondata soltanto sulla nazionalità di una delle parti.
Il regolamento ha poi introdotto la possibilità che le parti, residenti sul suolo europeo o meno, individuino convenzionalmente il giudice competente, scegliendolo fra il giudice (i) dello Stato membro in cui una delle parti risiede abitualmente, (ii) dello Stato membro di cittadinanza di una delle parti, (iii) competente a conoscere delle controversie in materia matrimoniale, in caso di obbligazioni alimentari tra coniugi o ex-coniugi, (iv), dello Stato membro in cui i coniugi hanno avuto l’ultima residenza abituale comune per un periodo di almeno un anno, in caso di obbligazioni alimentari tra coniugi o ex coniugi. Il tribunale scelto dalle parti gode di una competenza esclusiva, salvo le parti dispongano diversamente. La clausola attributiva di competenza è condizionata al rispetto del requisito della forma scritta e, dal punto di vista della validità sostanziale, incontra il limite della maggiore età. Gli effetti di una proroga scritta possono essere ottenuti dal comportamento concludente del convenuto che si costituisce senza eccepire il difetto di giurisdizione del giudice adito (art. 5).
Laddove l’impiego dei criteri enunciati negli artt. 3, 4 e 5 porti a localizzare il rapporto fuori dall’UE, il regolamento stabilisce che la definizione della lite debba essere devoluta ai giudici dello Stato membro di nazionalità comune del creditore e del debitore; qualora neanche in questo modo sia possibile devolvere la cognizione della lite all’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, viene in rilievo la norma sul forum necessitatis che prevede la possibilità che a decidere della controversia sia il giudice di un Paese membro con il quale essa presenti un «collegamento sufficiente» (art. 7).
Preme, inoltre, ricordare che il regolamento contiene una norma atta a prorogare nel tempo la competenza del giudice adito, laddove il medesimo si localizzi nel Paese in cui il creditore ha la propria residenza: quest’ultimo diviene titolare del potere di conoscere anche le successive domande di adeguamento e revisione del credito alimentare (art. 8). La regola conosce tre eccezioni: la prima è fondata sulla volontà, espressa o tacita del creditore. Le ulteriori ipotesi si riferiscono, invece, ai rapporti tra UE e Stati contraenti della convenzione dell’Aia del 2007: se una sentenza viene pronunciata in un Paese contraente della convenzione dell’Aia, la possibilità di rivolgersi al giudice di uno Stato dell’Unione è condizionata al fatto che i tribunali dello Stato terzo non vogliano o non possano modificare i termini della decisione resa in precedenza. Lo stesso accade qualora in uno Stato membro si neghi il riconoscimento o l’esecuzione di una sentenza pronunciata in uno Stato terzo, contraente della convenzione dell’Aia. Infine, l’art. 14 del regolamento dispone che le misure provvisorie e cautelari possono essere richieste alle autorità giudiziarie di uno Stato membro, anche non competente nel merito, purché dette misure siano previste dalla lex fori, e purché siano effettive (C. giust., 17.11.1998, C-391/95, Van Uden Maritime c. Kommanditgesellschaft in Firma Deco-Line et al.).
Nuovamente, la previsione di fori alternativi impone l'analisi della disciplina della litispendenza. Al riguardo, qualunque autorità giurisdizionale adita deve verificare se la propria competenza possa dirsi fondata su di un titolo di giurisdizione individuato nel reg.; in caso contrario dovrà dichiararsi incompetente d’ufficio, a prescindere dalla presentazione di qualunque istanza da parte dei soggetti in lite (art. 10). Analogamente, il giudice successivamente adito deve sospendere d’ufficio il giudizio per dare al giudice previamente adito il tempo di verificare la propria competenza. Se detta verifica dà esito positivo, il giudice successivamente adito si dichiara incompetente; in caso contrario, può proseguire nella trattazione dell’istanza (art. 12).
Soluzione diversa merita il caso in cui le domande contestualmente pendenti non riguardino la stessa causa, ma siano così connesse da esistere un interesse ad istruirle e giudicarle congiuntamente. In tale ipotesi è disposta una mera facoltà, per l’autorità giurisdizionale successivamente adita, di sospendere il giudizio al fine di coordinare la propria decisione con quella pronunciata dal giudice previamente adito. La riunione delle liti in capo ad un solo giudice è possibile, su richiesta di una delle parti, laddove ricorrano tre condizioni, ossia (i) le domande siano pendenti in primo grado, (ii) il giudice adito per primo sia competente a conoscere tutte le domande presentate e (iii) sulla base della lex fori sia possibile disporre la riunione dei procedimenti (art. 13).
Al fine di stabilire quando un’autorità debba considerarsi adita, il reg. CE n. 4/2009 (art. 9) pone una norma assolutamente coincidente con quanto stabilito nel Bruxelles II bis, al quale si rimanda. Nell’ambito del regolamento sono, poi, precisate alcune regole procedurali volte a garantire la salvaguardia del contraddittorio e, dunque, rappresentanti strumento indispensabile per consentire l’abolizione dell’exequatur. Laddove il convenuto, che ha la propria residenza abituale in uno Stato diverso da quello in cui pende l’azione, non compaia, il giudice adito deve sospendere il procedimento finché non sia accertato che il convenuto non sia stato messo nelle condizioni di ricevere la domanda giudiziale o atto equivalente in tempo utile a consentirgli di presentare le proprie difese o che sono stati, comunque, effettuati tutti gli adempimenti del caso. Tale precisazione è sostituita da quanto prescritto nell’art. 19, reg. CE n. 1393/2007 tutte le volte in cui sia stato necessario trasmettere la domanda giudiziale o atto equivalente da uno Stato membro ad un altro, a norma di tale regolamento; qualora detto ultimo regolamento non sia applicabile, verrà in rilievo l’art. 15 della convenzione dell’Aia del 15.11.1965 relativa alla notificazione e alla comunicazione all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale, qualora si sia reso necessario trasmettere all’estero la domanda giudiziale (o un atto equivalente) a norma di tale convenzione.
Reg. CE n. 2201/2003 del Consiglio, del 27.11. 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il reg. CE n. 1347/2000; reg. CE n. 4/2009 del Consiglio, del 18.12.2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari ; art. 32, l. n. 218/1995; art. 37, l. n. 218/1995.
Sul reg. CE n. 2201/2003: Baratta, R., Verso la «comunitarizzazione» dei principi fondamentali del diritto di famiglia, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2004, 573; Baruffi, M.C., Osservazioni sul regolamento Bruxelles II-bis, in Bariatti, S., a cura di, La famiglia nel diritto internazionale privato comunitario, Milano, 2007, 175; Bonomi, A., Il diritto internazionale privato della famiglia e delle successioni: un sorvolo, in Bonomi, A., a cura di, Diritto internazionale privato e cooperazione giudiziaria in materia civile, Torino, 2009, 477; Carbone, S.M.-Queirolo, I., La competenza giurisdizionale e la circolazione delle decisioni in materia civile nell’ambito dello spazio giudiziario europeo, Torino, 2006, 38; Carbone, S.M., Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale. Da Bruxelles I al regolamento CE n. 805/2004, VI ed., Torino, 2009; McEleavy, P., Brussels II Bis: Matrimonial Matters, Parental Responsibility, Child Abduction and Mutual Recognition, in ICLQ, 2004, 503; Mengozzi, P., I problemi giuridici della famiglia a fronte del processo di integrazione europea, in Fam. e dir., 2004, 643; Queirolo, I., Comunità europea e diritto di famiglia: i primi interventi «diretti» in tema di separazione e divorzio, in Familia, 2002, 449; Queirolo, I., Regolamento (CE) 27 novembre 2003, n. 2201 del Consiglio relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, in Preite, F., a cura di, Atti notarili. Diritto comunitario e internazionale. Vol. 4, tomo I, Diritto comunitario, Milano, 2011, 303; Queirolo, I.-Schiano di Pepe, L., Lezioni di diritto dell’Unione europea e relazioni familiari, II ed., Torino, 2010.
Sui temi della responsabilità genitoriale e della sottrazione internazionale di minore: Baruffi, M.C., Il diritto di visita nel diritto internazionale privato e comunitario, Padova, 2005, 146; Baruffi, M.C., La responsabilità genitoriale: competenze e riconoscimento delle decisioni nel regolamento Bruxelles II, in Carbone, S.M., Queirolo, I., a cura di, Diritto di famiglia e Unione europea, Torino, 2008, 257; Carpaneto, L., Reciproca fiducia e sottrazione internazionale di minori nello spazio giudiziario europeo, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2011, 361; Carpaneto, L., Il diritto di visita nel diritto dell'Unione europea, in Preite, F., a cura di, Atti notarili. Diritto comunitario e internazionale. Vol. 4, tomo I, Diritto comunitario, Milano, 2011, 85; Espinosa Calabuig, R., La responsabilidad parental y el nuevo reglamento del "Bruselas II, bis": entre el interés del menor y la cooperacion judicial interestatal (La responsabilità parentale e il nuovo Regolamento "Bruxelles II, bis": tra l’interesse del minore e la cooperazione giudiziaria internazionale), in Riv. dir. int. priv. e proc., 2003, 735; Espinosa Calabuig, R., Custodia y visita de menores en el espacio judicial europeo, Madrid-Barcelona, 2007; Lamont, R., Habitual Residence and Bruxelles II bis: Developing Concepts for European Private International Family Law, in Journal of Private International Law, 2007, 261; Queirolo I., Separazione, annullamento, divorzio e responsabilità genitoriale,: il regolamento CE 2201/2003, in Ferrando, G. a cura di, Il nuovo diritto di famiglia, vol. I, Matrimonio, separazione e divorzio, Bologna, 2007, 1107; Queirolo, I., La sottrazione internazionale di minori tra disciplina europea ed internazionale, in Queirolo, I.- Benedetti, A.M.-Carpaneto, L., a cura di, La tutela dei soggetti deboli tra diritto internazionale, dell'Unione europea e diritto interno, Roma, 2012, 443; Vassalli di Dachenhausen, T., Affidamento dei figli e sottrazione internazionale dei minori, in Ferrando, G., a cura di, Il nuovo diritto di famiglia, volume I, Matrimonio, separazione e divorzio, Bologna, 2007, 1173.
Sul reg. CE n. 4/2009: v. Baruffi, M.C.-Cafari Panico, R., a cura di, Le nuove competenze comunitarie. Obbligazioni alimentari e successioni, Milano, 2009, 125; Castellaneta, M., Leandro, A., Il regolamento CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Le nuove leggi civili commentate, 2009, 1051; Pesce, F., La disciplina processualcivilistica in materia di obbligazioni alimentari tra diritto internazionale pattizio e comunitario, in Carbone, S.M. - Queirolo, I. a cura di, Diritto di famiglia e Unione europea, Torino, 2008, 391; Pesce, F., La tutela del creditore di alimenti nel diritto internazionale privato dell'Unione europea, in Queirolo, I, Benedetti, A.M., Carpaneto, L., a cura di, La tutela dei soggetti deboli tra diritto internazionale, dell'Unione europea e diritto interno, Roma, 2012, 483; Pocar, F. - Viarengo, I, Il regolamento (CE) n. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2009, 805; Trombetta Panigadi, F., Le obbligazioni alimentari, in Persone e Famiglia, De Cesari, P., a cura di, Tratt. dir. priv. eur. UE Ajani-Benacchio, Torino, 2008, 469; Viarengo, I., Le obbligazioni alimentari nel diritto internazionale privato comunitario, in Bariatti, S., a cura di, La famiglia nel diritto internazionale privato comunitario, Milano, 2007, 225; Viarengo, I., La disciplina comunitaria delle obbligazioni alimentari e il rapporto con la nuova normativa convenzionale, in Carbone, S.M., - Queirolo, I., a cura di, Diritto di famiglia e Unione europea, Torino, 2008, 355; Villata, F., Obblighi alimentari e rapporti di famiglia secondo il regolamento n. 4/2009, in Riv. dir. int. priv. proc., 2011, 746.