Abstract
La voce esamina i rapporti e le relazioni che intercorrono tra pubblica amministrazione e giudice ordinario, prendendo in specifica considerazione le limitazioni poste dall’ordinamento ai poteri di cognizione del giudice ordinario (cd. “limiti interni”). In questa prospettiva verranno esaminati il divieto di annullamento e di modifica degli atti amministrativi, la problematica del potere di disapplicazione, nonché la questione delle azioni esperibili dinanzi al giudice ordinario e delle specifiche regole processuali applicabili allorché sia coinvolta un’amministrazione pubblica.
Mentre l’art. 2, l. 20.3.1865, all. E, individua i diritti soggettivi come criterio attributivo di giurisdizione al g.o. (c.d. limiti esterni), i successivi artt. 4 e 5 della medesima legge indicano i poteri del g.o. nei confronti della p.a., e attiene dunque ai c.d. limiti interni alla giurisdizione.
Ai sensi dell’art. 4, quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso (Carlesi, F., Commento all’art. 4, l. n. 2248/1965, all. E, in Battini, S.- Mattarella, B.G.-Sandulli, A.-Vesperini, G., a cura di, Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, 2007, 189–208; Tassone, S., I poteri del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione, in Caranta, R., a cura di, Il nuovo processo amministrativo, Bologna, 2011, 73-112; Virga, P., La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, IV ed., Milano, 2003).
La disposizione si ispira al principio di separazione dei poteri e di non ingerenza del potere giurisdizionale nelle attività e valutazioni riservate alla pubblica amministrazione.
La previsione in commento stabilisce che:
a) il giudice ordinario può limitarsi a dichiarare illegittimo l’atto amministrativo, senza poterlo annullare, revocare o modificare;
b) il sindacato del giudice è limitato al caso deciso e non ha efficacia erga omnes, in quanto oggetto del sindacato è la lesione di un diritto, non la legittimità dell’atto amministrativo;
c) essendo oggetto del giudizio la lesione di un diritto, il giudice ordinario non può annullare l’atto amministrativo;
d) per la stessa ragione il giudice ordinario non può sindacare il merito dell’atto amministrativo e, dunque, non può revocarlo o modificarlo;
e) dal giudicato discende un vincolo conformativo per la p.a., che è tenuta a annullare, revocare, modificare l’atto amministrativo, se necessario per soddisfare la pretesa dedotta in giudizio;
f) in caso di inottemperanza, soccorre il rimedio del giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo, per ottenere l’esecuzione della sentenza del giudice ordinario.
2. Il divieto di annullamento o modifica degli atti amministrativi.
La regola generale, secondo cui il giudice ordinario non può di regola annullare, revocare, modificare, l’atto amministrativo, non è tuttavia costituzionalizzata.
Infatti l’art. 113, ult. co., Cost., demanda alla legge ordinaria il compito di individuare quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione.
Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, infatti, più volte il legislatore ha direttamente attribuito al giudice ordinario il potere di annullare, o anche di modificare, l’atto amministrativo.
La stessa Corte cost. ha affermato che il principio della disapplicazione ed il relativo limite ai poteri del giudice ordinario di fronte ad un atto amministrativo illegittimo non costituiscono una regola di valore costituzionale, che il legislatore ordinario sarebbe tenuto ad osservare in ogni caso; infatti, resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario − suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze della giustizia e ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali − il conferimento ad un giudice, sia ordinario, sia amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della p.a. o di incidere sui rapporti sottostanti, secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste (C. cost., 23.7.2001, n. 275).
Quando il g.o. ha il potere di annullare l’atto amministrativo si parla di giurisdizione piena del giudice ordinario nei confronti della p.a., e si distingue tra una giurisdizione piena di prima generazione e di seconda generazione.
Appartengono alla prima generazione i casi in cui il giudice emette una pronuncia dichiarativa della sussistenza o meno dei requisiti legislativi; si pensi a:
- annullamento della trascrizione del matrimonio religioso, ex art. 16, l. 27.5.1929, n. 847;
- rettifica degli atti dello stato civile, ex art. 96, d.P.R. 3.11.2000, n. 396;
- pronunce in materia di elettorato attivo e passivo;
- pronunce in materia di iscrizioni e cancellazioni da albi professionali.
Appartengono alla seconda generazione le ipotesi, di più recente introduzione, in cui il legislatore intende superare i tradizionali limiti imposti al g.o. nei confronti della pubblica amministrazione; si pensi a:
- art. 23, l. 24.11.1981, n. 689, in tema di sanzioni amministrative;
- art. 13, d.lgs. 25.7.1998, n. 286, in tema di espulsione prefettizia;
- art. 152, co. 12, d.lgs. 30.6.2003, n. 196, in tema di atti lesivi della privacy, a tenore del quale «con la sentenza il giudice, anche in deroga al divieto di cui all’articolo 4 della legge 20.3.1865, n. 2248, allegato E), quando è necessario anche in relazione all’eventuale atto del soggetto pubblico titolare o responsabile, accoglie o rigetta la domanda, in tutto o in parte, prescrive le misure necessarie, dispone sul risarcimento del danno, ove richiesto, e pone a carico della parte soccombente le spese del procedimento»; anche nella riscrittura di tale rito ad opera dell’art. 10, d.lgs. 1.9.2011, n. 150, perdura la deroga al divieto dell’art. 4, l.a.c.
Viene, poi, in considerazione il pubblico impiego privatizzato, nel cui ambito il giudice ordinario adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati (art. 63, co. 2, d.lgs. 30.3.2001, n. 165).
Ai sensi dell’art. 5, l. n. 2248/1865, all. E, «in questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi» (Buonauro, C., La disapplicazione degli atti amministrativi tra prassi e dottrina, Napoli, 2004; Cannada Bartoli, E., L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950; Cassarino, S., Problemi della disapplicazione degli atti amministrativi nel giudizio civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, 864; Cintioli, F., Giurisdizione amministrativa e disapplicazione dell’atto amministrativo, in Dir. amm., 2003, 43; Cintioli, F., Commento all’art. 5, l. n. 2248/1865, all. E, in Morbidelli, G., a cura di, Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2008, 1156–1196; Cintioli, F., Disapplicazione (diritto amministrativo), in Enc. dir.-Annali, Milano, 2010, vol. III, 269; Giacchetti, S., Disapplicazione? No, grazie, in Dir. proc. amm., 1997, 716; Mattasoglio, F., Commento all’art. 5, l. n. 2248/1965, all. E, in Battini, S.-Mattarella, B.G.-Sandulli, A.-Vesperini, G., a cura di, Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, 2007, 208-227; Romano, A., La disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del giudice civile, in Dir. proc. amm., 1983, 22; Verrienti, L., Commento agli artt. 2, 4, 5, l. n. 2248/1865, all. E, in Romano, A., a cura di, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2001, 8-105).
La norma contempla il c.d. potere di “disapplicazione” dell’atto amministrativo.
In base a tale previsione il giudice ordinario, accertata l’illegittimità dell’atto amministrativo, decide la controversia considerandolo tamquam non esset.
Disapplicare significa, dunque, considerare l’atto, ai fini della controversia in corso, privo di effetti, senza peraltro disporne l’eliminazione: la disapplicazione consente di mantenere immutata l’esistenza dell’atto nell’ordinamento, pur rimanendone impedita la produzione di effetti nel caso concreto.
La ratio della previsione si coglie considerando l’epoca di sua emanazione e il complessivo quadro normativo in cui si inseriva. Infatti, stabilito il divieto, per il giudice ordinario, di annullare, modificare, revocare l’atto amministrativo – in ossequio al principio di separazione dei poteri e di non ingerenza dell’ordine giudiziario negli affari amministrativi – la disapplicazione si poneva come una sorta di strumento compensativo volto a riequilibrare gli scarni poteri del g.o. verso la p.a.
Peraltro, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, e come già osservato, non è più un dato indefettibile l’attribuzione al g.o. del solo potere di disapplicazione, ben potendo il legislatore ordinario conferirgli anche il potere di annullare l’atto amministrativo (C. cost., 23.7.2001, n. 275).
La disposizione fu dunque dettata per il processo ordinario, e per le liti su diritti soggettivi.
Il dato letterale della previsione che si riferisce a «questo, come in ogni altro caso» ha aperto la strada a molteplici interpretazioni.
Secondo una prima tesi, il potere di disapplicazione si riferisce sia all’ipotesi dell’art. 4, in cui l’atto è l’oggetto del giudizio e pertanto viene sindacato in via principale, sia ad “ogni altro caso” e segnatamente a liti tra privato e p.a., ovvero a liti tra privati, in cui l’atto amministrativo viene in considerazione in via incidentale, come presupposto o antecedente della lite principale.
Secondo una diversa ricostruzione, non vi è spazio per la disapplicazione quando l’atto è oggetto di sindacato principale davanti al giudice ordinario: infatti, il giudice ordinario ha giurisdizione o in caso di condotte materiali della p.a., o in caso di atti emessi in carenza di potere, ossia atti nulli, come tali di per sé privi di effetti. Non vi sarebbe perciò necessità di “disapplicazione”, che postula un atto efficace, ancorché illegittimo.
Sicché, l’unico vero ambito della disapplicazione sarebbe quello in cui l’atto amministrativo forma oggetto di sindacato incidentale davanti al g.o.
In giurisprudenza si assiste ad una dequotazione della disapplicazione in via principale e ad una tendenza a ritenere che l’unico vero campo di applicazione della disapplicazione sia quella del sindacato incidentale (Cass., sez. III, 22.2.2002, n. 2588).
In ogni caso, la disapplicazione riguarda le liti su diritti soggettivi, davanti al g.o., e non le liti su interessi legittimi, ed essa non comporta alcuna possibilità di doppia tutela, nel senso che laddove vengano in considerazione interessi legittimi, attribuiti alla giurisdizione del g.a., il privato non può rivolgersi al g.a. per ottenere tutela risarcitoria invocando la disapplicazione dell’atto illegittimo, non tempestivamente impugnato davanti al g.a. (Cass., S.U., 30.11.2009, n. 25097; Cass., sez. lav., 6.3.2009, n. 5588).
Quanto alla natura giuridica della “disapplicazione” si discute se si tratti di un istituto processuale, ovvero di un istituto sostanziale che dà luogo ad un peculiare stato di invalidità dell’atto, la “inapplicabilità” (Mattasoglio, F., Commento all’art. 5, l. n. 2248/1965, all. E, cit., 213 s.).
Sembra preferibile ritenere che si tratti di istituto processuale e che i tipi di invalidità dell’atto restino quelli classici della nullità/carenza di potere illegittimità/cattivo uso del potere.
Anche nei casi di atti amministrativi che il legislatore attribuisce alla giurisdizione del g.o. perché ritenuti inidonei a “degradare” il diritto a interesse, i vizi dell’atto restano quelli classici di nullità o illegittimità, anche ove in ipotesi al g.o. non sia attribuito il potere di invalidare l’atto, ma solo di disapplicarlo.
In definitiva, non esiste una terza categoria di vizi dell’atto (la inapplicabilità), afferendo la disapplicazione solo al tipo di poteri giudiziali esercitabili nei confronti di un atto viziato, secondo le classiche categorie di vizi dell’atto.
Approfondendo il discorso sulla disapplicazione in via “principale”, occorre indagare in quali casi l’atto amministrativo è l’oggetto principale del giudizio davanti al giudice ordinario, e se si possa parlare, in tali casi, di una disapplicazione in senso proprio.
Allo scopo, occorre collegare il potere di disapplicazione con l’ambito della giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione.
Si è già visto che il giudice ordinario ha giurisdizione anzitutto quando la p.a. pone in essere comportamenti materiali non collegati all’esercizio di un potere pubblico e quando agisce iure privatorum.
In tali ipotesi, non vi è alcun atto amministrativo quale oggetto principale del giudizio, e conseguentemente non vi è alcuno spazio per la disapplicazione.
Il giudice ordinario ha poi giurisdizione quando la p.a. abbia agito in “carenza di potere”, ponendo in essere atti inesistenti o nulli.
In siffatta ipotesi, l’atto, essendo inesistente o nullo, è ex se privo di effetti, sicché è improprio parlare di disapplicazione, anche se tale terminologia viene adottata in giurisprudenza (v. Cass., sez. I, 26.11.2008, n. 28214, che parla di disapplicazione di atti adottati in assoluta carenza di potere).
Secondo una opinione, un residuo spazio per la disapplicazione in via principale vi sarebbe per i casi di “carenza di potere in concreto”, ma si tratta di ipotesi recessive, per le quali la giurisdizione va probabilmente assegnata al giudice amministrativo: il caso più importante è quello dell’espropriazione fuori termine, della quale si dibatte se la giurisdizione spetti al g. a. o al g.o. (Cass., S.U., 23.12.2008, n. 30254; Cons. St., A.P., 30.7.2007, n. 9).
Vanno poi considerate quelle ipotesi in cui al giudice ordinario è attribuita giurisdizione su atti amministrativi che si ritengono inidonei a degradare i diritti soggettivi a interessi legittimi: si pensi alla giurisdizione su sanzioni, o su atti lesivi di diritti incomprimibili, o sulle indennità di espropriazione e requisizione.
In alcune di tali ipotesi, al giudice ordinario è direttamente attribuito un potere di rimuovere l’atto amministrativo (c.d. giurisdizione piena), sicché ancora una volta non vi è spazio per la disapplicazione.
Negli altri casi, residua spazio per la disapplicazione in via principale, come nel caso in cui, nel giudizio di opposizione alla stima, il giudice ridetermina l’indennità di espropriazione, non tenendo conto dell’atto amministrativo.
La disapplicazione in via principale, quando è ammessa, può avvenire in relazione a qualsivoglia vizio di legittimità, e sia in caso di contrasto dell’atto con una legge, sia in caso di contrasto con un regolamento.
Essendo l’atto oggetto di sindacato principale, il potere di disapplicazione viene esercitato su istanza di parte e non d’ufficio.
La disapplicazione in via incidentale ha spazio applicativo nelle liti su diritti soggettivi, insorte tra privato e p.a., o tra privati, e in relazione alle quali l’atto amministrativo non è l’oggetto principale del giudizio, ma un antecedente.
Si pensi ad una lite tra privati per mancato rispetto delle distanze tra proprietà finitime, in cui sullo sfondo sorga in via incidentale la questione di legittimità del permesso di costruire in virtù del quale è avvenuta l’edificazione in violazione delle regole civilistiche sulle distanze.
In questa prospettiva, la giurisprudenza ha affermato che il giudice ordinario può disapplicare l’atto amministrativo quando la valutazione della legittimità del medesimo debba avvenire in via incidentale, ossia quando l’atto non assume rilievo come causa della lesione del diritto del privato, ma come mero antecedente, sicché la questione della sua legittimità viene a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (Cass., sez. III, 22.2.2002, n. 2588).
Quanto ai vizi dell’atto rilevabili in sede di disapplicazione, la tesi preferibile e consolidata è nel senso che il g.o. può sindacare in via incidentale qualsiasi vizio di legittimità, dunque anche l’eccesso di potere, oltre all’incompetenza e alla violazione di legge, fermo restando il divieto di sindacato del merito amministrativo (Cass., sez. II, 22.2.2010, n. 4242; Cass., sez. lav., 26.6.2006, n. 14728; Cass., sez. trib., 23.7.2004, n. 13848).
L’atto può essere in contrasto sia con la legge in senso proprio, sia con un regolamento, essere violativo sia di norme di relazione che di norme di azione.
Qualunque atto amministrativo è suscettibile di disapplicazione, anche un atto generale o un regolamento.
Il potere di disapplicazione incidentale è esercitabile d’ufficio, mentre per la disapplicazione in via principale occorre istanza di parte.
L’art. 21 octies, l. 7.8.1990, n. 241 ha sancito il principio della irrilevanza dei vizi formali dell’atto amministrativo, che non è annullabile per violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, se, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso.
Si pone la questione se il giudice ordinario possa disapplicare un atto affetto da tale tipo di vizi.
Secondo una prima tesi, occorrerebbe previamente stabilire se l’art. 21 octies in commento sia previsione solo processuale o anche sostanziale; se, infatti, è inteso come previsione sostanziale, che ha trasformato i vizi formali da illegittimità a irregolarità, la disapplicazione non è possibile, diversamente se inteso come previsione processuale.
Secondo la ricostruzione preferibile, a prescindere dalla natura sostanziale o processuale dell’art. 21 octies, va considerato che lo stesso impedisce di invalidare un atto affetto da vizi meramente formali.
Se l’atto non può essere invalidato, esso a fortiori non può essere considerato privo di effetti e, dunque, disapplicato.
Sembra, pertanto, corretto ritenere che la previsione in commento si imponga anche al giudice ordinario come limite al potere di disapplicazione.
La giurisprudenza ha ritenuto inammissibile la disapplicazione di un atto amministrativo ad istanza dell’amministrazione che ha dato causa al vizio che ne inficia la legittimità, e che si tradurrebbe in una disapplicazione in peius a sfavore del privato (Cass., sez. lav., 9.3.2010, n. 5703; Cass., sez. lav., 16.6.2009, n. 13941, resa in un contenzioso in cui un ente locale aveva dedotto l’illegittimità della delibera con la quale aveva riconosciuto il compenso ad un proprio dipendente in deroga al tetto fissato dall’art. 18, l. n. 109/1994, che disciplinava, senza possibilità di deroghe, i casi di lavori di progettazione «in proprio» e fuori orario da parte dei dipendenti pubblici).
Quando il giudice amministrativo, in un giudizio impugnatorio, respinge il ricorso, così accertando la legittimità dell’atto, si forma un giudicato sulla legittimità dell’atto, che è da ritenere opponibile nel giudizio civile. Con la conseguenza che il giudice ordinario non poterebbe disapplicare un atto la cui legittimità è stata accertata con forza di giudicato: la giurisprudenza ha affermato che il potere del giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo resta escluso se la sua legittimità sia stata affermata dal giudice amministrativo nel contraddittorio della parte e con autorità di giudicato (Cass., sez. II, 15.2.2007, n. 3390; Cass., sez. I, 8.1.2003, n. 60).
Per converso, se l’atto non è stato impugnato davanti al g.a. ed è perciò divenuto inoppugnabile, esso sarebbe comunque disapplicabile da parte del giudice ordinario, atteso che l’istituto processuale dell’inoppugnabilità concerne la tutela degli interessi legittimi non dei diritti soggettivi (Cass., sez. II, 15.2.2007, n. 3390; Cass., sez. lav., 18.8.2004, n. 16175; Cass., sez. trib., 5.3.2004, n. 4567).
In materia di disapplicazione incidentale si ricorda la seguente casistica:
- contenzioso tra lavoratore e datore di lavoro instaurato dal primo per l’accertamento del diritto all’assunzione, in cui il datore di lavoro contesti la legittimità del provvedimento di avviamento al lavoro; nella specie il provvedimento è stato disapplicato e il diritto all’assunzione negato (Cass., sez. lav., 27.5.2010, n. 12968);
- contenzioso sul collocamento del lavoratore in cassa integrazione, dichiarato illegittimo previa disapplicazione del provvedimento amministrativo di autorizzazione della integrazione salariale (Cass., sez. lav., 9.6.2009, n. 13240);
- contenzioso tra privati in tema di esecuzione di un contratto di cessione delle quote latte, operata al netto della riserva e proposta al fine di determinare a chi spetti l’intestazione della quota di riserva, in cui l’eventuale provvedimento dell’A.I.M.A. di attribuzione in restituzione della quota, laddove ritenuto illegittimo, può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice ordinario (Cass., S.U., 4.2.2009, n. 2635);
- contenzioso nell’ambito di un rapporto di impiego pubblico privatizzato, in cui si contesta la revoca di un incarico, previa disapplicazione dell’atto amministrativo organizzativo di modifica della pianta organica, presupposto del provvedimento di revoca (Cass., S.U., 16.2.2009, n. 3677);
- contenzioso tra privato e p.a. in tema di delimitazione tra demanio e proprietà privata, con possibilità di disapplicazione dell’atto di delimitazione (Cass., sez. II, 11.5.2009, n. 10817);
- contenzioso tra privato e amministrazione finanziaria in cui il giudice tributario può disapplicare i decreti ministeriali di proroga dei termini in conseguenza del mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari (Cass., sez. trib., 2.7.2009, n. 15528);
- nel contenzioso su sanzioni ex l. n. 689/1981, in cui il g.o. ha il potere di annullare o modificare la sanzione, può anche disapplicare in via incidentale gli atti amministrativi che sono il presupposto del provvedimento sanzionatorio (Cass., S.U., 20.10. 2006, n. 22518).
Un tema dibattuto è quello della c.d. disapplicazione da parte del giudice penale (Villata, R., Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi e processo penale, Milano, 1980).
Vengono, anzitutto, in considerazione ipotesi in cui l’atto amministrativo legittimo costituisce elemento costitutivo dell’illecito penale, che consiste nell’inosservanza dell’atto: es. classico l’art. 650 c.p.
Il giudice penale, per accertare se sussiste o meno l’illecito penale di inosservanza di un provvedimento “legalmente dato”, accerta anche la legittimità dell’atto amministrativo.
Se il giudice penale accerta che il provvedimento non è legalmente dato, esclude l’illecito penale.
A rigore, non si tratta di disapplicazione dell’atto amministrativo ma di esercizio dei poteri del giudice penale di accertare la sussistenza o insussistenza dell’illecito.
Peraltro, la giurisprudenza continua a utilizzare in tali ipotesi la categoria logica della disapplicazione: in una ipotesi in cui era contestato il reato di immigrazione clandestina, il giudice penale ha ritenuto che l’ordine di allontanamento fosse illegittimo perché non motivato, lo ha disapplicato ed ha escluso la sussistenza del reato (Cass., pen., sez. I, 8.4.2010, n. 17925).
Altra questione è se il giudice penale possa disapplicare l’atto amministrativo in malam partem (c.d. disapplicazione in peius).
Il caso classico è quello dell’attività edilizia posta in essere dal privato sulla base di un titolo edilizio, che risulti illegittimo.
L’illecito penale consiste nell’attività edilizia posta in essere senza titolo edilizio; si pone la questione se, in caso di attività edilizia sulla base di titolo illegittimo, quest’ultimo possa essere disapplicato dal giudice penale, sicché la fattispecie potrebbe essere equiparata a quella dell’attività edilizia senza titolo.
Secondo una tesi, il potere di disapplicazione ex art. 5, l.a.c. sarebbe esercitabile dal giudice penale anche in peius (disapplicazione di un titolo abilitativo edilizio e accertamento dell’illecito penale di costruzione senza titolo).
Secondo altra tesi, tale disapplicazione in peius violerebbe il principio di legalità e segnatamente la riserva di legge in materia penale.
Le sezioni unite della Cassazione penale hanno osservato che gli artt. 4 e 5, l.a.c., essendo dettati a tutela di diritti soggettivi, non fondano un potere del giudice penale di disapplicare gli atti amministrativi ampliativi, e segnatamente il titolo abilitativo edilizio (Cass., pen., S.U., 17.2.1987, imp. G.).
Il che non impedisce al giudice penale di ravvisare il reato anche in presenza di titolo edilizio, ove si accerti il mancato rispetto, da parte del titolo, delle norme urbanistiche ed edilizie vigenti: al giudice penale non è affidato alcun sindacato sull’atto amministrativo (concessione edilizia), in quanto nell’esercizio della potestà penale è tenuto (solo) ad accertare la conformità tra ipotesi di fatto (opera eseguita) e fattispecie legale; non può ritenersi che il giudice penale debba ugualmente concludere per la mancanza di illiceità penale solo perché sia stata rilasciata concessione edilizia, la quale nel suo contenuto, non è idonea a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell’opera realizzanda, senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle stesse rappresentazioni grafiche del progetto, a seguito della cui approvazione il provvedimento edilizio viene rilasciato (Cass., pen., S.U., 12.11.1993, imp. B.).
Si è così affermato, in materia edilizia, che:
- il giudice penale, allorché accerta l’esistenza di profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo, non pone in essere alcuna disapplicazione riconducibile all’art. 5 l.a.c., né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla p.a., ma procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata, esercitando un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa norma incriminatrice (Cass., pen., sez. III, 13.1.2009, imp. C.);
- ove il giudice rilevi che un’autorizzazione amministrativa risulta contrastante con previsioni di legge o di piano, al fine di ritenere configurabile il reato di lottizzazione abusiva non deve procedere alla disapplicazione del provvedimento amministrativo ma accertare l’abusività della lottizzazione prescindendo da qualsiasi giudizio sulla legittimità del provvedimento (Cass., pen., sez. III, 11.6.2008, n. 37274, imp. V.).
Analogamente, laddove l’illecito penale consista nell’esercizio abusivo di una attività in assenza di titolo amministrativo, l’illecito può essere ravvisato nel caso in cui il titolo sia stato proditoriamente conseguito sulla base di atti o dichiarazioni non veritieri, e in tal caso la giurisprudenza penale parla di “disapplicazione” dell’atto: così, si è affermato che sussiste il fumus del reato di esercizio abusivo di attività finanziaria (art. 132, d.lgs. 1.9.1993, n. 385) – idoneo a legittimare il sequestro probatorio – nel caso in cui il soggetto attivo presenti, all’ufficio italiano cambi, mendaci dichiarazioni in ordine alla disponibilità di capitali di una srl al fine di ottenere l’iscrizione nel registro degli intermediatori finanziari; né rileva che detta società sia stata conseguentemente iscritta nell’elenco di cui all’art. 106 d.lgs. citato, in quanto l’atto amministrativo che ha disposto la detta iscrizione, siccome emesso su presupposti fattuali inesistenti, è suscettibile di disapplicazione ai sensi dell’art. 5 l.a.c. (Cass., pen., sez. V, 20.11.2008, n. 48342, imp. V.).
Sulla scorta degli artt. 4 e 5, l. n. 2248/1865, all. E, sono state ricostruite le azioni esperibili davanti al g.o. nei confronti della p.a.
Non incontrano limiti le azioni di accertamento.
Quanto alle azioni costitutive e di condanna, dal divieto di annullamento, revoca, modifica dell’atto amministrativo, discende che non sono esperibili azioni di annullamento o di condanna dell’amministrazione ad un facere pubblicistico, mentre azioni costitutive e di condanna restano esperibili nel caso in cui la p.a. agisca iure privatorum, o in carenza di potere o sine titulo: es. condanna al risarcimento di un danno da condotta materiale o da inadempimento.
Analogamente le azioni possessorie sono esperibili se la p.a. agisca iure privatorum, o sine titulo e non in relazione a provvedimenti autoritativi con cui la p.a. entri in possesso di beni privati (Cass., S.U., 10.6.2004, n. 11018).
Ancora, sequestri e provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. non sono esperibili per paralizzare l’esercizio di poteri autoritativi.
Si ammette, invece, l’azione di convalida di sfratto se la p.a. detiene un immobile in virtù di un comune contratto di locazione.
Quanto alle azioni esecutive, se si tratta di ottenere un facere pubblicistico, l’azione è quella di ottemperanza davanti al g.a.
Le azioni esecutive davanti al g.o. restano esperibili in relazione a beni patrimoniali disponibili e crediti della p.a., fatti salvi limiti all’esecuzione posti da leggi speciali.
Si ammette anche l’azione ex art. 2932 c.c. per ottenere l’esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, quando l’amministrazione sia tenuta ad una attività vincolata e non discrezionale, a prescindere dalla fonte generatrice dell’obbligo di contrarre, che può essere, oltre che un contratto, la legge o un atto amministrativo (Cass., S.U., 1.10. 2002, n. 14079).
Quando nelle liti davanti al g.o. è parte una p.a., esistono alcune regole processuali comuni afferenti alla competenza territoriale e al patrocinio erariale (art. 25 c.p.c. e art. 6, t.u. Avv. Stato).
Nella cause di lavoro, la p.a. può stare in giudizio personalmente (art. 417 bis, c.p.c.).
Numerosi sono i riti speciali davanti al g.o. nelle cause in cui è parte una p.a., che hanno formato oggetto di una risistemazione ad opera del d.lgs. n. 150/2011.
Il d.lgs. n. 150/2011 ha risistemato tali riti speciali, dettando anche disposizioni comuni.
Il d.lgs. n. 150/2011 non ha formalmente quasi mai abrogato le fonti a quo che contemplavano i riti speciali, ma le ha quasi sempre lasciate in vita come norme attributive di giurisdizione al g.o., e come norme di mero rinvio al d.lgs. n. 150/2011, quanto al rito (v. art. 34, d.lgs. n. 150/2011).
Infatti tale d.lgs. oltre a dettare disposizioni specifiche per ciascun rito speciale, detta anche disposizioni comuni, riconducendo i molteplici riti speciali a tre tipologie, a seconda che ad essi si applichi:
a) il rito ordinario di cognizione, vale a dire il procedimento regolato dalle norme del titolo I e del titolo III del libro secondo del c.p.c.;
b) il rito del lavoro, vale a dire il procedimento regolato dalle norme della sezione II del capo I del titolo IV del libro secondo del c.p.c.;
c) il rito sommario di cognizione: il procedimento regolato dalle norme del capo III bis del titolo I del libro quarto del c.p.c. (art. 1, d.lgs. n. 150/2011).
Il rito del lavoro si applica ai seguenti riti speciali, elencati nel capo II del d.lgs. n. 150/2011:
- opposizione ad ordinanza-ingiunzione (art. 6, d.lgs. n. 150/2011, già artt. 22, 22 bis, 23, l. n. 689/1981);
- opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada (art. 7, d.lgs. n. 150/2011, già art. 204 bis, codice della strada);
- opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti (art. 8, d.lgs. n. 150/2011, già art. 75, co. 9, d.P.R. n. 309/1990);
- opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato (art. 9, d.lgs. n. 150/2011, già art. 1, d.l. n. 8.4.2008, n. 59);
- controversie in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali (art. 10, d.lgs. n. 150/2011, già art. 152, d.lgs. n. 196/2003);
- controversie agrarie (art. 11, d.lgs. n. 150/2011, in precedenza disciplinate dalla l. 2.3.1963, n. 320);
- impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti (art. 12, d.lgs. n. 150/2011, già art. 4, l. 12.2.1955, n. 77);
- opposizione ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato (art. 13, d.lgs. n. 150/2011, già art. 17, l. 7.3.1996, n. 108).
Il rito sommario di cognizione si applica ai seguenti riti speciali, disciplinati nel capo III del d.lgs. n. 150/2011:
- controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato (art. 14, d.lgs. n. 150/2011, già art. 28, l. 13.6.1942, n. 794);
- opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia (art. 15, d.lgs. n. 150/2011, già art. 170, t.u. n. 115/2002);
- controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari (art. 16, d.lgs. n. 150/2011, già art. 8, d.lgs. 6.2.2007, n. 30);
- controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari (art. 17, d.lgs. n. 150/2011, già art. 22, d.lgs. n. 30/2007);
- controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea (art. 18, d.lgs. n. 150/2011, già art. 13, d.lgs. n. 286/1998);
- controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art. 19, d.lgs. n. 150/2011, già art. 35, d.lgs. 28.1.2008, n. 25);
- opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare (art. 20, d.lgs. n. 150/2011, già art. 30, co. 6, d.lgs. n. 286/1998);
- opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio (art. 21, d.lgs. n. 150/2011, già art. 5, l. 13.5.1978, n. 180; art. 30, co. 6, d.lgs. n. 286/1998);
- azioni popolari e delle controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 22, d.lgs. n. 150/2011, già art. 82, co. 1 e 2, d.P.R. 16.5.1960, n. 570, art. 7, co. 2, l. 23.12.1966, n. 1147, art. 19, l. 17.2.1968, n. 108, art. 70, d.lgs. 18.8.2000, n. 267);
- azioni in materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo (art. 23, d.lgs. n. 150/2011, già art. 44, l. 24.1.1979, n. 18);
- impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo (art. 24, d.lgs. n. 150/2011, già art. 42, l. 20.3.1967, n. 223);
- controversie in materia di riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche (art. 25, d.lgs. n. 150/2011, già art. 4, d.l. 22.9.2006, n. 259);
- impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai (art. 26, d.lgs. n. 150/2011, già art. 158 e 158 novies, l. 16.2.1913, n. 89);
- impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (art. 27, d.lgs. n. 150/2011, già art. 63, l. 3.2.1963, n. 69);
- controversie in materia di discriminazione (art. 28, d.lgs. n. 150/2011, già artt. 44, d.lgs. n. 286/1998, 4, d.lgs. 9.7.2003, n. 215, 4, d.lgs. 9.7.2003, n. 216, 3, l. 1.3.2006, n. 67, 55 quinquies, d.lgs. 11.4.2006, n. 198);
- controversie in materia di opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità (art. 29, d.lgs. n. 150/2011, già art. 54, d.P.R. 8.6.2001, n. 327);
- controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento (art. 30, d.lgs. n. 150/2011, che richiama l’art. 67, l. 31.5.1995, n. 218).
Il rito ordinario di cognizione si applica ai seguenti riti speciali, contemplati nel capo IV del d.lgs. n. 150/2011:
- controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso (art. 31, d.lgs. n. 150/2011);
- opposizione a procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici (art. 32, d.lgs. n. 150/2011, già art. 3, t.u. 14.4.1910, n. 639);
- controversie in materia di liquidazione degli usi civici (art. 33, d.lgs. n. 150/2011, già art. 32, l. 16.6.1927, n. 1766).
I tre riti - archetipo, che sono disciplinati dal c.p.c. e sono richiamati dal d.lgs. n. 150/2011, non trovano tuttavia integrale applicazione, in quanto il d.lgs. n. 150/2011 espressamente esclude l’applicazione di alcune disposizioni del c.p.c.
In particolare, quanto al rito del lavoro, è stabilito che non si applicano, salvo che siano espressamente richiamati, gli artt. 413, 415, co. 7, 417, 417 bis, 420 bis, 421, co. 3, 425, 426, 427, 429, co. 3, 431, dal co. 1 al co. 4 e co. 6, 433, 438, co. 2, e 439 c.p.c. L’ordinanza prevista dall’art. 423, co. 2, c.p.c., può essere concessa su istanza di ciascuna parte.
L’art. 431, co. 5, c.p.c., si applica alle sentenze di condanna a favore di ciascuna delle parti.
Salvo che sia diversamente disposto, i poteri istruttori previsti dall’art. 421, co. 2, c.p.c. non vengono esercitati al di fuori dei limiti previsti dal c.c. (art. 2, d.lgs. n. 150/2011).
Quanto al rito sommario di cognizione, è previsto che non si applicano i co. 2 e 3 dell’art. 702 ter c.p.c. Quando la causa è giudicata in primo grado in composizione collegiale, con il decreto di cui all’art. 702 bis, co. 3, c.p.c. il presidente del collegio designa il giudice relatore. Il presidente può delegare l’assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio. Quando è competente la corte di appello in primo grado il procedimento è regolato dagli artt. 702 bis e 702 ter c.p.c. (art. 3, d.lgs. n. 150/2011).
È poi disciplinato il mutamento del rito: quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal d.lgs. n. 150/2011, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza, che viene pronunciata dal giudice, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti.
Quando la controversia rientra tra quelle per le quali il d.lgs. n. 150/2011 prevede l’applicazione del rito del lavoro, il giudice fissa l’udienza di cui all’art. 420 c.p.c. e il termine perentorio entro il quale le parti devono provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria.
Quando dichiara la propria incompetenza, il giudice dispone che la causa sia riassunta davanti al giudice competente con il rito stabilito dalle disposizioni del d.lgs. n. 150/2011.
Gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento (art. 4, d.lgs. n. 150/2011).
È dettata una disciplina comune della tutela cautelare nei riti speciali di cui al d.lgs. n. 150/2011. In particolare, nei casi in cui il d.lgs. n. 150/2011 prevede la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, il giudice vi provvede, se richiesto e sentite le parti, con ordinanza non impugnabile, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione. In caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, la sospensione può essere disposta con decreto pronunciato fuori udienza. La sospensione diviene inefficace se non è confermata, entro la prima udienza successiva, con ordinanza (art. 5, d.lgs. n. 150/2011).
Sul piano della disciplina transitoria, le norme del d.lgs. n. 150/2011 si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso.
Le norme abrogate o modificate continuano ad applicarsi alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011 (art. 36, d.lgs. n. 150/2011).
artt. 2, 4, 5, l. 20.3.1865 n. 2248, all. E;
art. 25, 409, 417 bis, 702 bis, 702 ter, 702 quater, c.p.c.;
art. 2932 c.c.;
art. 21 octies, l. n. 241/1990;
d.lgs. 1.9.2011, n. 150 (tutto).
Buonauro, C., La disapplicazione degli atti amministrativi tra prassi e dottrina, Napoli, 2004; Cannada Bartoli, E., L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950; Carlesi, F., Commento all’art. 4, l. n. 2248/1965, all. E, in Battini, S.-Mattarella, B.G.-Sandulli, A.-Vesperini, G., a cura di, Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, 2007, 189–208; Cassarino, S., Problemi della disapplicazione degli atti amministrativi nel giudizio civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, 864; Cintioli, F., Giurisdizione amministrativa e disapplicazione dell’atto amministrativo, in Dir. amm., 2003, 43; Cintioli, F., Commento all’art. 5, l. n. 2248/1865, all. E, in Morbidelli, G., a cura di, Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2008, 1156–1196; Giacchetti, S., Disapplicazione? No, grazie, in Dir. proc. amm., 1997, 716; Mattasoglio, F., Commento all’art. 5, l. n. 2248/1965, all. E, in Battini, S.-Mattarella, B.G.-Sandulli, A.-Vesperini, G., a cura di, Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, 2007, 208-227; Romano, A., La disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del giudice civile, in Dir. proc. amm., 1983, 22; Tassone, S., I poteri del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione, in Caranta, R., a cura di, Il nuovo processo amministrativo, Bologna, 2011, 73-112; Verrienti, L., Commento agli artt. 2, 4, 5, l. n. 2248/1865, all. E, in Romano, A., a cura di, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2001, 8-105; Villata, R., Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi e processo penale, Milano, 1980; Virga, P., La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, IV ed., Milano, 2003.