Vedi Giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani dell'anno: 2014 - 2015 - 2016
Giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani
Obbiettivo di questa sezione è quello di dar conto, brevemente, delle più significative pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo (d’ora in avanti Corte EDU) adottate a seguito di ricorsi individuali proposti avverso lo Stato italiano per presunte violazioni di diritti garantiti dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti umani (CEDU) dal primo ottobre 2014 al settembre 2015.
In tale arco temporale, l’Italia è stata convenuta in giudizio in ben 73 procedimenti dinanzi alla Corte EDU. Venti procedimenti si sono conclusi con la condanna dello Stato italiano, 16 sono stati giudicati inammissibili e 34 hanno portato alla cancellazione della causa dal ruolo. Per 3 volte, infine, la Corte ha rilevato che, nel merito, non c’è stata un’infrazione da parte dell’Italia. Il giudice italiano Guido Raimondi, già vice Presidente della Corte EDU, è stato eletto Presidente a far data dal 31.10.2015.
Le principali pronunce della Corte EDU nei confronti dell’Italia, nell’arco temporale di riferimento, riguardano varie materie convenzionalmente disciplinate tra cui: il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto alla libertà ed alla sicurezza, la proibizione della tortura, la vexata questio del diritto di proprietà e delle espropriazioni indirette, l’equo processo, il diritto alla vita leso da trasfusioni di sangue infetto nonché il divieto di espulsione collettiva di stranieri.
Iniziamo dalle sentenze in materia di vita privata e familiare.
Si tratta delle sentenze Manuello e Nevi c. Italia1, Akinnibosun c. Italia, Paradiso e Campanelli c. Italia e Oliari e altri c. Italia. Nel primo caso, i nonni paterni di una minore di cinque anni hanno presentato ricorso contro la sentenza del giudice italiano che impediva loro di far visita alla nipotina a seguito delle presunte molestie sessuali del padre nei confronti della minore. La Corte, anche a seguito della sentenza del giudice interno che accertava l’insussistenza del reato di molestie, ha riconosciuto una violazione, da parte dello Stato italiano, dell’art. 8 della CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare).
Analogamente, la pronuncia del 16.7.2015, nel caso Akinnibosun c. Italia, ha evidenziato la violazione del succitato art. 8 da parte dello Stato italiano, che aveva sospeso la potestà genitoriale del sig. Akinnibosun, giudicato pericoloso per la figlia, basandosi esclusivamente sui rapporti dei servizi sociali, senza che nessuna condanna definitiva fosse intervenuta a carico del ricorrente.
Nella terza sentenza, del 27.1.2015, Paradiso e Campanelli c. Italia invece, la Corte ha riscontrato una violazione dell’art. 8 a seguito del rifiuto delle autorità italiane di trascrivere l’atto di nascita di un bambino nato in Russia da madre surrogata, dopo che lo stesso aveva trascorso ben sei mesi di vita assieme ai genitori (ricorrenti).
Da ultimo, con la sentenza Oliari e altri c. Italia, del 21.7.2015, la Corte ha rilevato una violazione da parte dell’Italia dell’art. 8 CEDU, dal momento che il diritto italiano non tutela adeguatamente l’unione tra soggetti dello stesso sesso, non riconoscendo alcuna forma di qualificazione giuridica alle unioni omosessuali.
In materia di libertà personale, invece, si segnala la sentenza del 24.3.2015 sul caso Antonio Messina c. Italia, nel quale la Corte ha accertato una violazione dell’art. 5 par.1, lett. a), e 5, par. 5, CEDU, dal momento che il ricorrente ha patito, senza ricevere dallo Stato italiano alcun risarcimento, una detenzione maggiore di quella che avrebbe dovuto subire a norma di legge. Sul medesimo argomento anche nel caso Gallardo Sanchez c. Italia, del 24.3.2015, la Corte ha accertato la violazione, da parte dell’Italia, dell’art. 5, par., 1 lett. f), della CEDU per aver detenuto il ricorrente, in attesa di estradizione, per un lasso di tempo eccessivo.
Nel caso Cestaro c. Italia, deciso il 7.5.2015, invece, la Corte ha ravvisato una violazione da parte dello Stato italiano dell’art. 3 CEDU (Proibizione della tortura) a causa delle violenze mosse dalle forze di polizia al sig. Cestaro in occasione del summit del G8 di Genova del 2001.
In materia di diritto alla vita, nel caso GG e altri c. Italia del 13.11.2014, la Corte ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’art. 2 della CEDU, a seguito di diciannove ricorsi fondati sulla circostanza di avere contratto malattia a seguito di trasfusioni di sangue infetto in ospedali pubblici.
Da segnalare, in tema di tutela del diritto di proprietà di cui all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, le sentenze Chinnici c. Italia (14.5.2015), Mango c. Italia (5.5.2015), Russo c. Italia (5.5.2015), D’asta c. Italia (16.12.2014) e Odescalchi e Lante c. Italia (7.7.2015). Nei cinque casi riconducibili a questa categoria, la Corte ha ritenuto la sussistenza di una violazione del diritto di proprietà a fronte di un indennizzo espropriativo inadeguato in quanto non teneva in considerazione la rivalutazione per l’inflazione (caso Chinnici c. Italia) nonché a causa di espropriazione indiretta: è questo il caso delle sentenze Mango c. Italia, Russo c. Italia, D’asta c. Italia e Odescalchi e Lante c. Italia, nelle quali la Corte ha ritenuto che lo Stato italiano, a seguito di atti di espropriazione indiretta, ha leso il diritto di proprietà così come riconosciuto al predetto art.1, Primo prot. CEDU.
Nella sentenza del 14.4.2015 nel caso Contrada c. Italia, la Corte ha accolto il ricorso ritenendo che la condanna del sig. Contrada, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, fosse contraria al principio di cui all’art. 7 CEDU, nullum crimen sine lege, non essendo il reato in questione, all’epoca dei fatti, già consolidatosi come figura criminis nella giurisprudenza nazionale.
In tema di diritto ad un equo processo, vanno indicate le due sentenze Mongelli e altri c. Italia (19.5.2015) e Schipani e altri c. Italia (21.6.2015). La prima causa, verte sull’art. 6 par. 1 CEDU (Diritto ad un equo processo) declinato sub specie di diritto alla ragionevole durata del processo. Qui, la Corte ha accertato la violazione, da parte dello Stato italiano, del succitato articolo “in ragione del ritardo nel pagamento dell’indennizzo Pinto” nei confronti del ricorrente, mentre la causa Schipani e altri c. Italia si è conclusa con la condanna dello Stato italiano “in ragione del rifiuto non motivato della Corte di Cassazione di sottoporre una questione pregiudiziale alla CGCE”.
Nel caso Ceni c. Italia (16.12.2014), la Corte ha condannato nuovamente lo Stato italiano in quanto la liquidazione del danno da violazione del diritto di proprietà già accertato con sentenza del 4.2.2014, era risultato inadeguato. In proposito, va ricordato che, con sentenza del 4.2.2014, la Corte ha giudicato che l’omissione, da parte dello Stato italiano, di istituire un quadro legislativo adeguato, che prevedesse una protezione minima degli interessi della ricorrente, acquirente di buona fede da una ditta poi dichiarata fallita di un appartamento venduto in corso di costruzione, costituiva una violazione dell’art. 1 del Prot. addiz. CEDU.
Venendo ai tre casi in cui la Corte, giudicando nel merito della questione, non ha ravvisato una violazione della CEDU da parte dell’Italia, va indicato il caso Parrillo c. Italia del 27.8.2015, nel quale la Corte ha affermato che il divieto (contenuto nella l. 19.2.2004, n. 40) di donare embrioni alla ricerca scientifica non integra una violazione dell’art.8 CEDU e il caso Peruzzi c. Italia (30.6.2015), ove la Corte ha affermato che la sanzione accordata dall’Italia al ricorrente, il sig. Peruzzi, per aver effettuato illazioni extragiudiziali sull’operato e l’onore di un magistrato, non integra una violazione dell’art. 10 CEDU sulla libertà di espressione. Da ultimo, il caso Mazzoni c. Italia (16.6.2015), in tema di ragionevole durata del processo ex art. 6, par. 1 CEDU e tutela del diritto di proprietà ex art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, si è conclusa con un rigetto nel merito del ricorso.
Dal quadro fin qui esaminato emergono importanti profili problematici attinenti alla libertà di circolazione ed ai problemi giuridici suscitati dai flussi migratori tuttora in corso.
Sotto il primo profilo, si segnala la sentenza Battista c. Italia, del 2.12.2014, con cui la Corte ha accertato una violazione dell’art. 2 del Prot. n. 4 sulla libertà di circolazione da parte dello Stato italiano, affermando che negare i documenti per l’espatrio ad un soggetto per il solo fatto che fosse inadempiente negli obblighi di mantenimento dei figli a seguito di divorzio integra una violazione dell’articolo in questione.
Sotto il secondo ben più ampio profilo va segnalato il caso Khlaifia e altri c. Italia (1º.9.2015), con cui la Corte ha accertato la violazione degli artt. 5 (Diritto alla libertà e alla sicurezza), 3 (Proibizione della tortura) e13 (Diritto ad un ricorso effettivo) CEDU, nonché dell’art. 4, del IV Protocollo addizionale alla CEDU (divieto di espulsioni collettive di stranieri) da parte dello Stato italiano, per il trattamento di tre migranti clandestini arrivati a Lampedusa nel 2011.
Nel caso Sharifi c. Italia e Grecia, del 21.10.2014, la Corte aveva già condannato l’Italia per avere respinto un gruppo di richiedenti asilo verso un Paese non sicuro, in casu, la Grecia.
1 Tutte le sentenze sono reperibili al sito della Corte EDU, www.echr.coe.int.