Giurisprudenza europea e confisca senza condanna
La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo è recentemente intervenuta – dopo quasi tre anni di attesa – a dirimere una serie di questioni originate dalla sottoposizione ai giudici di Strasburgo della disciplina della confisca cd. “urbanistica” italiana. La sentenza, ricchissima di spunti, è l’occasione per riflettere non solo sui temi della confisca sanzionatoria e della confisca senza condanna, ma anche sull’attuale portata delle garanzie convenzionali relative al principio di colpevolezza e alla presunzione di innocenza, anche della persona giuridica.
Con la sentenza G.i.e.m e a. c. Italia, del 28.6.2018, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo mette fine – almeno a livello sovranazionale – a più di dieci anni di incertezze e disorientamenti giurisprudenziali in relazione all’applicazione di un particolare tipo di confisca: quella cd. “urbanistica”, disciplinata dall’art. 44 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380 (t.u. edil.)1. La pronuncia in oggetto, tuttavia, interviene – con l’autorevolezza di una Grande Camera, appunto – su una molteplicità di profili problematici, anche di amplissimo respiro, diversi ed ulteriori rispetto alla mera conformità di questa singola (e tutto sommato periferica) misura ablatoria con il diritto al rispetto della proprietà privata sancito dall’art. 1, Prot. Add., CEDU. Il tratto saliente della vicenda che ci occupa è infatti - come, sin da subito, si vedrà – l’avere sollecitato il sistema multilivello di tutela dei diritti umani a sviluppare e fornire risposte (anche) su temi di tutt’altra rilevanza. Segnatamente: la portata del principio di colpevolezza convenzionale (art. 7 CEDU) – tanto nel suo contenuto “minimo” di divieto della responsabilità per il fatto altrui, quanto in relazione a ipotesi di responsabilità oggettiva – e i suoi rapporti con la presunzione di innocenza (art. 6 CEDU).
Per comprendere come e perché proprio la vicenda della confisca urbanistica sia servita – in più di un’occasione – come banco di prova della tenuta del sistema interno di fronte a plurime esigenze di ordine costituzionale e convenzionale, occorrerà, schematicamente, esaminarne le caratteristiche peculiari.
La misura ablatoria in questione – qualificata nell’ordinamento nazionale come sanzione amministrativa – è disciplinata dall’art. 44, co.2, t.u. edil., il quale laconicamente dispone che: «la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite».
Dalla lettura della norma si evince che: a) la confisca urbanistica è una misura obbligatoria, che investe tanto i fabbricati quanto i terreni su cui essi insistono e che discende automaticamente dall’accertamento del reato di lottizzazione abusiva da parte del giudice penale. Nell’interpretazione giurisprudenziale che la Cassazione ne forniva, inoltre: b) l’accertamento del giudice penale, ai soli fini della confisca in parola, poteva limitarsi all’elemento oggettivo del reato, non essendo necessaria la prova di alcun coefficiente soggettivo in capo all’agente (dolo o, quanto meno, colpa); c) tale accertamento, inoltre, poteva essere contenuto in un provvedimento diverso da quello di formale condanna/assoluzione dell’imputato e, in particolare, all’interno della sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione; d) la confisca urbanistica, infine, poteva essere disposta anche in relazione a fabbricati e terreni di proprietà di persone giuridiche estranee al procedimento penale. Ognuno di questi profili è stato – anche se in momenti diversi – oggetto dell’attenzione della giurisprudenza di Strasburgo. La C. eur. dir. uomo si è infatti occupata della compatibilità convenzionale della confisca urbanistica italiana in (ben) tre diverse occasioni: una prima volta – nel 2007 (sull’ammissibilità2) e nel 2009 (sul merito3) – nella causa Sud Fondi; una seconda volta, nel 2015, nella controversa sentenza Varvara4; e, da ultimo, nella sua più prestigiosa composizione, nel 2018, nella sentenza G.i.e.m. Più precisamente: nella decisione relativa all’ammissibilità della causa Sud Fondi, la Corte di Strasburgo affermava per la prima volta la natura sostanzialmente penale della confisca urbanistica, a dispetto dell’etichetta di sanzione amministrativa apposta su tale misura dalle autorità italiane; nella sentenza relativa al merito della medesima causa, poi, i giudici di Strasburgo – muovendo dall’attrazione della misura in oggetto all’interno della cd. matière pénale – statuivano che la confisca urbanistica non potesse essere disposta in assenza di un coefficiente psicologico che collegasse il fatto di reato alla persona del reo; nella sentenza Varvara, la C. eur. dir. uomo si occupava invece, prevalentemente, del diverso problema della confisca senza condanna, affermando l’illegittimità della pratica di disporre la confisca urbanistica contestualmente al proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione. La Grande Camera G.i.e.m. – come avremo modo di approfondire – torna su tutti questi temi e altri ancora, in parte confermando, in parte smentendo la sua precedente giurisprudenza. Nell’analisi delle questione sopra accennate, prediligeremo – come si vedrà – una trattazione “per problemi” (eccessiva e sproporzionata ingerenza della misura in questione nel diritto di proprietà dell’autore della lottizzazione, natura sostanzialmente penale della confisca “urbanistica”, responsabilità oggettiva, confisca senza condanna, responsabilità per fatto altrui), pur mantenendo – all’interno dei paragrafi destinati a ciascun tema – un rigoso ordine cronologico, anche al fine di osservare quali aspetti della materia possano dirsi oggetto di una consolidata giurisprudenza della C. eur. dir. uomo e quali, invece, siano stati negli anni oggetto di ripensamento.
Innanzi tutto, alcuni punti fermi. La C. eur. dir. uomo ha sempre – nelle sentenze Sud Fondi, Varvara e G.i.e.m. – ritenuto che la confisca urbanistica italiana si ponga in contrasto con l’art. 1, Prot. Add., CEDU, che tutela il diritto alla proprietà privata da ingerenze indebite (perché sprovviste di base legale) o sproporzionate. Proprio questo ultimo requisito – quello della proporzione dell’ingerenza rispetto all’interesse pubblico perseguito (tutela dell’ambiente, del paesaggio ecc.) – è quello rispetto al quale il provvedimento disciplinato dal t.u. edil. appare carente. Abbiamo già avuto modo di sottolineare come la confisca urbanistica sia una misura obbligatoria e, sostanzialmente, rigida: il giudice, infatti, non può decidere di non disporla o di modularla sulla base delle specificità del caso concreto (rinunciando, ad esempio, alla confisca dei terreni su cui le opere insistono o di quelli circostanti). Un provvedimento destinato ad incidere così profondamente sul diritto di proprietà dell’autore della lottizzazione abusiva – sostiene la Corte di Strasburgo – non può essere irrogato sulla base di un mero automatismo; senza, cioè, che il giudice abbia avuto concretamente modo di selezionare, nel novero delle contromisure in grado di salvaguardare il controinteresse pubblico, quella che meno sacrifica il diritto di proprietà del ricorrente. Si tratta, lo ripetiamo, di una valutazione svolta già per ben tre volte, in relazione alla medesima misura, dalla C. eur. dir. uomo e ribadita – da ultimo – in una pronuncia della Grande Camera: può ritenersi dunque, senza dubbio, che essa costituisca un principio di diritto consolidato. Altrettanto consolidata, poi, può ritenersi l’affermazione relativa alla natura di misura sostanzialmente penale – ancorché, come si diceva, formalmente amministrativa – della confisca in questione. La C. eur. dir. uomo si è per la prima volta pronunciata in tal senso nella decisione sull’ammissibilità della causa Sud Fondi e, successivamente, le sentenze Varvara e G.i.e.m. hanno confermato, senza tentennamenti, questa statuizione. Ciò sulla base di un’analisi che – alla luce degli ormai arcinoti criteri Engel – tiene conto: del diretto collegamento fra la misura in questione e la commissione di un fatto costituente reato; della collocazione sistematica della norma in oggetto, inserita all’interno di un capo rubricato “sanzioni penali”; del fatto che la confisca urbanistica venga disposta dal giudice penale, le cui decisioni sono autonome (e possono, addirittura, essere contrastanti) rispetto a quelle della pubblica amministrazione; della finalità essenzialmente punitiva della confisca urbanistica (desunta, in particolar modo, dalla natura obbligatoria della confisca in questione, svincolata da qualsivoglia accertamento circa l’effettivo pregiudizio per l’ambiente rappresentato dalle opere abusive); dalla spiccata gravità e pervasività della misura ablatoria, che si abbatte non solo sulle opere ritenute abusive ma sull’intera area oggetto di lottizzazione. La confisca urbanistica è dunque – sulla base di una ormai consolidata giurisprudenza della C. eur. dir. uomo – una sanzione sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione; ad essa si applicano, di conseguenza, quelle garanzie che in ambito convenzionale sono ricollegate alla cd. matière pénale: in particolar modo – per quel che qui interessa – gli artt. 7 (nulla poena sine lege) e 6 § 2 (presunzione di innocenza) CEDU.
L’attrazione della confisca urbanistica nel novero delle sanzioni “sostanzialmente penali” ai sensi della Convenzione – avvenuta, come si diceva, nella prima pronuncia relativa alla causa Sud Fondi, quella sull’ammissibilità della pretesa dei ricorrenti – ha sin da subito comportato l’emersione di tutta una serie di problematiche relative alla sua disinvolta applicazione da parte dei giudici italiani. Abbiamo infatti avuto modo di osservare come, almeno fino al 2007, la Cassazione ritenesse la confisca urbanistica una misura amministrativa conseguente all’accertamento del mero fatto di lottizzazione abusiva; per disporre il provvedimento in questione, in altri termini, non era necessaria la sussistenza di alcun coefficiente psicologico che collegasse – anche dal punto di vista soggettivo – l’autore al fatto materiale di lottizzazione abusiva. L’esigenza di muovere un rimprovero, almeno di colpa, al soggetto la cui proprietà privata veniva aggredita così pesantemente emerse nella sentenza relativa al merito della causa Sud Fondi. In quell’occasione, infatti, i giudici di Strasburgo si spinsero ad affermare che «l’articolo 7 non menziona espressamente un legame morale fra l’elemento materiale del reato ed il presunto autore. Ciò nonostante, la logica della pena e della punizione così come la nozione di ‘guilty’ (nella versione inglese) e la nozione corrispondente di ‘personne coupable’ (nella versione francese) sono nel senso di una interpretazione dell’articolo 7 che esiga, per punire, un legame di natura intellettiva (coscienza e volontà) che permetta di riscontrare un elemento di responsabilità nella condotta dell’autore materiale del reato, elemento in assenza del quale l’inflizione di una pena sarebbe ingiustificata». Una statuizione di tal genere – estremamente garantista e riecheggiante alcune fondamentali pronunce della Corte costituzionale italiana della fine degli anni ottanta5 – era poi stata, dai giudici di Strasburgo, quantomeno ridimensionata all’interno della successiva sentenza Varvara, il cui § 70 recita: «gli Stati contraenti ... possono, in particolare, sempre in linea di principio e ad alcune condizioni, rendere punibile un fatto materiale o oggettivo considerato di per sé, indipendentemente dal fatto che esso sia doloso o colposo; … L’articolo 7 della Convenzione non richiede espressamente un “nesso psicologico” o “intellettuale” o “morale” tra l’elemento materiale del reato e la persona che ne è ritenuta l’autore». Evidente il passo indietro della C. eur. dir. uomo: da un divieto pressoché assoluto, per i legislatori degli Stati parte, di prevedere ipotesi di responsabilità oggettiva ad una – per quanto cauta – apertura alla possibilità di sanzionare penalmente fatti materiali “considerati nella loro oggettività” e dunque mutilati del requisito della colpevolezza. Ebbene, la riconduzione ad unità dei due passaggi citati – fra loro, inutile negarlo, non coordinati – è svolta dalla Grande Camera nella sentenza G.i.e.m. La C. eur. dir. uomo, in particolar modo, ribadisce in linea di principio quanto enunciato in Sud Fondi: che per l’applicazione di «una pena ai sensi dell’art. 7 si richiede la sussistenza di un nesso di natura psicologica attraverso il quale sia possibile riscontrare un elemento di responsabilità nella condotta dell’autore materiale del reato»; e tuttavia i giudici affermano che – come sostenuto nella sentenza Varvara – gli Stati parte possono eccezionalmente discostarsi da questa regola, prevedendo forme di responsabilità oggettiva fondate su presunzioni di colpevolezza. Tali presunzioni sono – soggiunge la Corte – conformi a Convenzione, nella misura in cui consentono all’autore del fatto di difendersi dalle accuse nei suoi confronti, senza privarlo, dunque, del diritto alla prova contraria e, più in generale, ad esercitare il proprio diritto di difesa (ex art. 6, § 2, CEDU). La soluzione adottata dalla C. eur. dir. uomo – certamente compromissoria e forse non pienamente soddisfacente quanto all’enunciazione astratta del perimetro del principio di colpevolezza convenzionale6 – non è tuttavia produttiva di grandi conseguenze pratiche nella materia che ci occupa. Complice anche la sovrapponibilità della nozione di colpevolezza convenzionale derivante da Sud Fondi rispetto a quella già interiorizzata dai giudici italiani a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, le giurisdizioni nazionali già dal 2009 richiedono – perché si possa disporre la confisca urbanistica – un accertamento tanto dei requisiti oggettivi, quanto di quelli soggettivi del reato di lottizzazione abusiva. Da quasi dieci anni, insomma, la misura in questione è applicata nel pieno rispetto del principio di colpevolezza nazionale – di quello, cioè, derivante dall’applicazione dell’art. 27, co. 1, Cost. come riletto dalla Corte costituzionale italiana – che costituisce in materia, adesso più che mai, il maximum standard.
Il secondo e non meno importante problema venuto alla luce a seguito dell’attrazione della confisca urbanistica italiana nel novero delle sanzioni penali ai sensi e per gli effetti della Convenzione è quello relativo alla possibilità di disporre il provvedimento in questione in assenza di un provvedimento di formale condanna7. Poiché la confisca urbanistica è, per la C. eur. dir. uomo, una pena, essa non può essere inflitta dal giudice – così argomentava la sentenza Varvara, con cui i giudici di Strasburgo si erano espressi sul punto – se non all’interno di un provvedimento che cristallizzi la penale responsabilità del soggetto autore della lottizzazione. Più precisamente – sosteneva la Corte – «la logica della ‘pena’ e della ‘punizione’, e la nozione di ‘guilty’ (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di ‘personne coupable’ (nella versione francese), depongono a favore di un’interpretazione dell’articolo 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di infliggere la pena al suo autore. In mancanza di ciò, la punizione non avrebbe senso … sarebbe infatti incoerente esigere, da una parte, una base legale accessibile e prevedibile e permettere, dall’altra, una punizione quando, come nel caso di specie, la persona interessata non è stata condannata». Una tale statuizione, tuttavia, si presentava come particolarmente problematica nel contesto italiano, nel quale non di rado la confisca urbanistica veniva applicata – a seguito di un accertamento di natura incidentale – unitamente al provvedimento che proscioglieva l’imputato, proprietario dei manufatti, per intervenuta prescrizione del reato di lottizzazione abusiva. Se da un lato, dunque, la C. eur. dir. uomo sembrava orientata verso la necessità che il provvedimento ablatorio fosse contenuto in una sentenza di formale condanna, dall’altro, tuttavia, la Corte costituzionale italiana – investita della questione8 – sembrò opinare diversamente9. I giudici costituzionali, in particolar modo, affermarono come il punto della questione fosse determinare se il giudice europeo «quando ragiona espressamente in termini di ‘condanna’, abbia a mente la forma del pronunciamento del giudice, ovvero la sostanza che necessariamente si accompagna a tale pronuncia … vale a dire l’accertamento della responsabilità … Come si è già ricordato, nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità». Insomma, per la Corte costituzionale la considerazione della forma della pronuncia doveva necessariamente lasciare il passo al requisito, ben più centrale, della sostanza dell’accertamento; ciò, a pena di pregiudicare irragionevolmente la tutela paesaggistico-ambientale del territorio nazionale, a fronte – come si diceva – di un brevissimo termine prescrizionale del reato di lottizzazione abusiva. Anche su questo punto la Grande Camera, nella pronuncia G.i.e.m., fa chiarezza, sconfessando senza mezzi termini quella che sembrava l’interpretazione del requisito della condanna (in senso formale) prescelto da Varvara e aprendo alla possibilità che la confisca urbanistica sia disposta a seguito di un accertamento che abbia le caratteristiche sostanziali della condanna, senza tuttavia necessariamente presentarne la forma. Gli argomenti dei giudici di Strasburgo ricalcano, a ben vedere, quelli della Corte costituzionale, quando la Grande Camera osserva come «sia necessario guardare oltre le apparenze e il linguaggio adoperato e concentrarsi sulla realtà della situazione» e come, pertanto, «la Corte sia legittimata a guardare oltre il dispositivo del provvedimento, e tenere conto della sostanza, essendo la motivazione una parte integrante della sentenza». Nel motivare le ragioni a fondamento del principio di diritto affermato – che l’inflizione della confisca urbanistica anche qualora sia sopraggiunta la prescrizione del reato è compatibile con le garanzie di cui all’art. 7 CEDU, purché tutti gli elementi costitutivi del reato di lottizzazione abusiva siano stati sostanzialmente accertati – la C. eur. dir. uomo da rilievo a tutta una serie di circostanze già messe in luce dai giudici costituzionali. La flessione delle garanzie – innegabile, poiché si ammette che una sanzione sostanzialmente penale venga inflitta a seguito di un accertamento incidentale – si giustifica, in particolar modo, con la riconosciuta necessità per lo Stato italiano di punire gli autori di reati urbanistici in un sistema caratterizzato da una notevole complessità di accertamento degli illeciti in questione, a fronte di un breve termine prescrizionale; ed è controbilanciata – nello schema disegnato dai giudici di Strasburgo – dal requisito fondamentale del rigoroso rispetto, da parte dello Stato parte, delle (altre) garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU. I riflessi del revirement della C. eur. dir. uomo sono, questa volta, destinati a produrre significative conseguenze anche nell’ordinamento interno e a sollevare – così ci pare – non pochi interrogativi; tenteremo di abbozzarne il quadro fra breve, parlando dei profili problematici della disciplina.
Infine, un ulteriore problema discendente dalla qualificazione della confisca urbanistica come sanzione penale ai sensi della Convenzione: la possibilità che contrastanti) rispetto a quelle della pubblica amministrazione; della finalità essenzialmente punitiva della confisca urbanistica (desunta, in particolar modo, dalla natura obbligatoria della confisca in questione, svincolata da qualsivoglia accertamento circa l’effettivo pregiudizio per l’ambiente rappresentato dalle opere abusive); dalla spiccata gravità e pervasività della misura ablatoria, che si abbatte non solo sulle opere ritenute abusive ma sull’intera area oggetto di lottizzazione.
La confisca urbanistica è dunque – sulla base di una ormai consolidata giurisprudenza della C. eur. dir. uomo – una sanzione sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione; ad essa si applicano, di conseguenza, quelle garanzie che in ambito convenzionale sono ricollegate alla cd. matière pénale: in particolar modo – per quel che qui interessa – gli artt. 7 (nulla poena sine lege) e 6 § 2 (presunzione di innocenza) CEDU.
Dopo avere analizzato brevemente l’evoluzione normativa in materia, veniamo ad occuparci delle questioni ancora sul tappeto.
Innanzi tutto, il più scottante dei problemi: cos’è una condanna in senso sostanziale? A quali condizioni, cioè, può rinunciarsi ad un provvedimento che abbia la veste formale di condanna accontentandosi di un accertamento di tipo incidentale che presenti però – è questo il punto – un analogo contenuto di garanzie? La C. eur. dir. uomo – senza scendere, com’è naturale, nelle specificità del procedimento penale italiano – fornisce una (parziale) risposta a questa domanda; si tratta – viene sostenuto – di un provvedimento: a) in grado di contenere un pieno accertamento, oltre ogni ragionevole dubbio, in ordine alla sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, tanto nella sua componente oggettiva quanto in quella soggettiva; b) emesso dal giudice a seguito di un procedimento che abbia rispettato in maniera rigorosa i requisiti del giusto processo come enunciati dall’art. 6 CEDU.
Un indizio di cosa ciò possa voler dire ci proviene poi dalla stessa sentenza G.i.e.m., nella parte in cui condanna lo stato italiano, per violazione proprio dell’art. 6, § 2, CEDU, in un caso in cui la persona fisica nei confronti della quale la Cassazione disponeva la confisca urbanistica – contestualmente alla declaratoria di non doversi procedere per prescrizione – era stata assolta con formula piena in appello.
Proprio alcuni consolidati principi in materia di diritto alla prova inducono i giudici di Strasburgo a ritenere che l’affermazione della colpevolezza dell’imputato nel giudizio di legittimità, senza che egli abbia potuto evidentemente difendersi, costituisca una violazione del giusto processo convenzionale e si riverberi negativamente sulla qualità del provvedimento ablatorio emesso dal giudice, che difetta pertanto dei requisiti necessari per costituire una “condanna sostanziale”.
Il discorso fin qui svolto lascerebbe intendere – ma qui il condizionale è d’obbligo – che una pronuncia di condanna in senso sostanziale (rectius: un accertamento incidentale di responsabilità conforme a Convenzione), adeguatamente motivata, possa essere emessa dal giudice solo in una fase del procedimento che presenti, almeno, i requisiti dell’udienza pubblica e che abbia consentito all’imputato di esplicare a pieno il proprio diritto di difendersi provando10. Il giudice non potrebbe, insomma, legittimamente “convincersi” della colpevolezza dell’indagato in sede di archiviazione – ad esempio – o dell’imputato in udienza preliminare. Viceversa la confisca dei beni abusivamente lottizzati potrebbe essere disposta dal giudice che, all’esito dell’istruttoria in primo grado o in appello, debba prosciogliere l’imputato per intervenuta prescrizione. La questione, insomma, si sposta nettamente sul versante processuale: in tanto si potrà infliggere quella che è, per la Convenzione, pacificamente una sanzione, in quanto si dimostrerà che il procedimento penale a seguito del quale tale pena si infligge – ancorché arrestatosi per il sopravvenire della prescrizione – si sia svolto nel rispetto dei fondamentali principi del giusto processo convenzionale.
Anche immaginando, tuttavia, che la questione della condanna in senso sostanziale non si ponga – perché, ad esempio, il processo si è svolto rapidamente e si è giunti alla pronuncia di una condanna in senso (anche) formale o perché il giudice ha adeguatamente motivato il suo convincimento circa la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva all’esito, ad esempio, dell’istruttoria di primo o di secondo grado – i problemi di conformità a Convenzione della confisca urbanistica non si esauriscono.
Va rilevato infatti – riprendendo quanto esposto in precedenza – che l’istituto di cui all’art. 44 t.u. edil., per come attualmente formulato, è stato costantemente ritenuto dalla C. eur. dir. uomo in contrasto con l’art. 1, Prot. Add., CEDU (diritto alla proprietà privata) perché eccessivamente rigido e rigoroso. In effetti, l’utilizzo del termine «dispone», di per sé piuttosto perentorio, e il chiaro riferimento «ai terreni abusivamente lottizzati e alle opere abusivamente costruite» lascia poco spazio di manovra al giudice, vincolato tanto con riferimento all’an della confisca, quanto con riferimento ai beni da confiscare. L’attuale formulazione della norma, dunque, non sembrerebbe consentire al giudice alcuna valutazione circa l’opportunità di disporre la confisca nel caso di specie o di selezionare, sulla base delle concrete circostanze fattuali, quali manufatti e/o terreni confiscare.
Una tale mancanza di elasticità può tradursi – e si è di regola tradotta nei casi concretamente sottoposti alla Corte di Strasburgo – in una irragionevole compressione del diritto di proprietà dei ricorrenti.
Non sembra peregrino, dunque – in attesa di un auspicabile intervento legislativo sul punto, che consenta una maggiore discrezionalità del giudice, in concreto, almeno circa l’individuazione della misura meno invasiva in grado di salvaguardare il contro-interesse pubblico – raccomandare ai giudici italiani una certa prudenza; un’interpretazione convenzionalmente orientata della norma in oggetto sembrerebbe imporre, già allo stato, di limitare la confisca alle opere effettivamente eseguite e ai terreni su cui esse già insistono, astenendosi – ad esempio – dal confiscare l’intera area oggetto di una progettata, ma non ancora complessivamente realizzata, lottizzazione abusiva.
Pochissime parole, infine, su un’altra problematica – questa, invece, pressoché irrisolvibile senza l’intervento del legislatore11 – che la Grande Camera in materia di confisca urbanistica pone sul tappeto e che è destinata a produrre effetti sistemici nel nostro ordinamento. Ci riferiamo, naturalmente, alla condanna dell’Italia in relazione alle confische urbanistiche disposte su beni di proprietà di persone giuridiche estranee al processo penale; una situazione di estraneità che – come si diceva – è nel nostro sistema fisiologica, non essendo i reati urbanistici inseriti nel novero di quelli che possono costituire il presupposto per la responsabilità della persona giudica ai sensi del d.lgs. 231/2001. L’autorevolezza della fonte da cui tale statuizione promana – la Grande Camera, appunto – lascia intendere che il principio di diritto enunciato debba considerarsi consolidato, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale12, e debba pertanto vincolare tanto il giudice quanto il legislatore italiano. Seri problemi si porranno allora tanto in relazione ai processi in corso e da venire, stante l’inequivoco tenore letterale dell’art. 44 t.u. edil., quanto in relazione alle confische già disposte nei confronti dell’ente all’interno di provvedimenti già passati in giudicato; il tema, delicatissimo, è già stato esplorato in relazione agli affetti – verosimilmente meno eccentrici – di una pronuncia di illegittimità costituzionale sul giudicato e sulla confisca13, e potrebbe oggi ripresentarsi in una veste almeno parzialmente nuova e bisognosa di approfondimento. Non bisogna tuttavia dimenticare che la violazione del principio di colpevolezza qui segnalata dalla C. eur. dir. uomo dipende – e il punto è cruciale – dalla pacifica qualificazione come sanzione sostanzialmente penale della confisca urbanistica. Di talché la pronuncia in questione non è in grado di mettere in discussione, neppure in via di principio, la conformità a convenzione dell’inflizione all’ente estraneo al processo di altri generi di confische, la cui natura eminentemente sanzionatoria non sia stata, da Strasburgo, espressamente riconosciuta.
Note
1 Per una trattazione organica dell’istituto in questione si veda Nicosia, E., La confisca, le confische, Torino, 2012; Balsamo, A., La Corte Europea e la ‘confisca senza condanna’ per la lottizzazione abusiva, in Cass. pen., 2014, 1395 ss.
2 C. eur. dir. uomo, dec. 30.8.2007, Sud Fondi c. Italia.
3 C. eur. dir. uomo, sent. 20.1.2009, Sud Fondi c. Italia.
4 C. eur. dir. uomo, sent. 29.10.2013, Varvara c. Italia.
5 C. cost., 6.11.1998, n. 364 e 13.12.1988, n. 1085.
6 Si veda, in particolar modo, la dissenting opinion del giudice Pinto de Albuquerque, § 242 ss.
7 In questo senso la pronuncia era, del resto, stata autorevolmente letta. Cfr. Viganò, F., Confisca urbanistica e prescrizione: a Strasburgo il re è nudo, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2017, fasc. 34, 277 ss.; Manes, V., La “confisca senza condanna” al crocevia fra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in Dir. pen. cont., 13.4.2015.
8 Da due diversi giudici a quo: Cass. pen., sez. III, ord. 30.4.2013 (dep. 20.5.2014), n. 20636; Trib. Teramo, ord. 17.1.2014, Giud. Tetto.
9 C. cost., 26.3.2015, n. 49.
10 Questa, del resto, la tesi sostenuta in uno dei più completi lavori sul punto. Cfr. Panzarasa, M., Confisca senza condanna?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 1672; Manes, V., La “confisca senza condanna”, cit.
11 In questo senso si veda Bignami, M., Da Strasburgo via libera alla confisca urbanistica senza condanna, in Questione giust., 10.7.2018.
12 C. cost. n. 49/2015, cit.
13 Si veda, da ultimo, Finocchiaro, S., Gli effetti dell’abolitio criminis e della pronuncia di incostituzionalità sul giudicato e sulla confisca, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 5.