Giuristi, tecnici, cittadini e innovazioni costituzionali
Tra le involontarie opportunità aperte dal dibattito sulle riforme istituzionali vi è la possibilità di riflettere sui rapporti tra situazione economica e valori costitutivi della convivenza. Le riforme costituzionali proposte toccano i temi delle autonomie territoriali, della rappresentanza politica e indirettamente dei vertici delle istituzioni e degli spazi delle minoranze. Esse meritano di essere valutate in una prospettiva giuridica non specialistica, che non si limiti a considerare l’organizzazione dei poteri pubblici, la governabilità e l’accelerazione dei tempi di esercizio delle funzioni istituzionali, ma tenga anche conto delle aspettative della collettività e del mutare dei ruoli sociali e professionali dei partecipanti al processo delle riforme istituzionali.
Il dibattito attuale sulle riforme istituzionali ha, senza volerlo, posto interrogativi sulla diversità del ruolo svolto dai giuristi, economisti, costituzionalisti, politici, tecnici e dai comuni cittadini nell’esperienza costituzionale italiana. Il disegno di legge costituzionale n. 2613, secondo la numerazione ad esso data dalla Camera dei deputati, si propone di ridurre i costi di funzionamento delle istituzioni, di renderle più omogenee con quelle di altri Paesi europei e più duttili alle decisioni degli organi dell’UE. L’esame degli atti parlamentari stimola a riflettere sul mutamento dei concetti giuridici di costituzione, scrittura e riforma dei testi costituzionali, sulle aspettative della collettività e sui tentativi di influenzare dall’esterno lo sviluppo delle istituzioni nazionali.
Non si tratta tanto di affermare che il diritto costituzionale debba essere studiato secondo nuove prassi interdisciplinari di ricerca, ma di sottolineare che esso non può continuare a chiudersi su se stesso, in nome di una presunta vocazione dogmatica, che finisce con il negare lo stesso fondamento storico ed economico dei valori costitutivi dell’ordine giuridico e sociale. A quanti reclamano certezze da parte degli specialisti del diritto costituzionale, occorre far comprendere che non basta riformulare le correnti nozioni giuridiche di popolo, consenso popolare, rappresentanza politica, opinione pubblica, adattandole alle nuove dimensioni mondiali dei fenomeni giuridici, economici e politici, ma che è necessario fermarsi a riflettere piuttosto sul mutare dei rapporti reciproci tra politica, diritto, tecnica ed economia. Negli ultimi tempi sono aumentate le voci critiche nei confronti delle innovazioni del diritto internazionale e costituzionale e sono stati sollevati dei dubbi non infondati sul modo in cui economisti e giuristi svolgono i loro ruoli sociali e professionali1.
Nel corso delle discussioni sui progetti di riforma delle istituzioni dell’ultimo decennio si è spesso affermato che le innovazioni non toccherebbero i nodi essenziali dell’ordine costituzionale, facendo valere la considerazione che i “principi fondamentali” della Costituzione non sarebbero formalmente oggetto di proposte di revisione. Le riforme della Costituzione sembrano continuare, da un punto di vista formale, a muoversi nel quadro dei valori della rappresentanza politica, della solidarietà sociale, della tutela del lavoro e delle stesse autonomie territoriali, anche se la loro portata deve essere valutata nel quadro d’insieme dei rapporti sociali ed economici del nostro tempo. Gli interventi dei rappresentanti del potere economico internazionale e dei politici di altri Paesi, che insistono sulla necessità di una riforma delle istituzioni italiane, si caratterizzano per una quasi completa inconsapevolezza della storia sociale, politica e istituzionale del nostro Paese. Si può notare inoltre che alla tendenza dei protagonisti della politica e dell’economia internazionale o sovranazionale di influenzare dall’esterno le riforme istituzionali italiane, corrisponde l’abbandono di ogni velleità di revisione delle istituzioni dell’UE.
È stato affermato che i valori repubblicani avrebbero perduto gran parte del loro vigore per effetto del crollo di quello schieramento di partiti che per lungo tempo ha sostenuto lo Stato parlamentare e pluralista, assumendo il nome di “arco costituzionale”2. Si deve aggiungere tuttavia che, nella retorica giuridica e in quella politica, nonché in quella delle argomentazioni delle corti supreme, i valori testimoniati dalla Costituzione del 1947 continuano a rappresentare un forte punto di riferimento. Alcuni scrittori di storia politica hanno parlato di “seconda repubblica”, per evidenziare il mutamento del modo di intendere i principi costituzionali, culminato negli anni Novanta, sottolineando la perdita di fiducia della collettività nei confronti dei partiti, travolti da scandali riguardanti profili che trascendono i problemi del loro finanziamento.
I tratti di questo mutamento, piuttosto evanescenti da un punto di vista formale, sembrano spesso frutto di letture parziali dell’intero contesto politico ed economico nazionale,mentre, da un punto di vista storico e giuridico, assume unamaggiore rilevanza la progressiva dipendenza del Paese da decisioni internazionali e sovranazionali.
Mi sembra che gran parte degli italiani continui a sperare in un rinnovamento dei valori costitutivi della convivenza, nel rispetto reciproco tra i protagonisti della vita politica, e nella possibilità di porre un argine al carrierismo e alla corruzione politica e amministrativa.
Una prova che l’opinione sociale riflette più di quanto non si creda sui valori costitutivi delle istituzioni politiche si è avuta nel 2006, quando il popolo rifiutò il consenso a un progetto di revisione costituzionale che si ispirava a una concezione verticistica e antiparlamentare delle istituzioni statali.
Particolarmente istruttiva per chi segua le riforme istituzionali in corso è la riflessione che si può trarre dalla vicenda, della quale si è già dato conto nel 2012, quando fu approvata una legge di revisione costituzionale tendente a inserire nella Costituzione italiana il principio del pareggio annuale del bilancio, in adesione a prospettive dottrinarie e economiche di chiara ispirazione ideologica. I contenuti di quella legge costituzionale, che modificava l’art. 81 Cost., per la cui approvazione si fece ricorso al contingentamento dei tempi, avrebbero richiesto un dibattito critico aperto tra diverse opinioni con riferimento alla situazione economica, politica e sociale del Paese e alle conseguenze della modifica del testo costituzionale (si vedano in proposito le considerazioni di Amirante, Luciani, Cervati)3.
Il disegno di legge costituzionale approvato dal Senato reca il titolo significativo: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”; esso prevede l’istituzione di una Camera delle Regioni, l’abolizione delle Province, una riformulazione delle competenze legislative e amministrative delle Regioni, mentre rinvia a future leggi e ai regolamenti parlamentari il compimento di ulteriori riforme istituzionali.
Il disegno di revisione costituzionale tende verso l’obiettivo – inconsueto in questo tipo di leggi e forse più attinente alla contabilità pubblica che al diritto costituzionale – di ridurre i costi per il funzionamento delle istituzioni. Non si ricavano tuttavia dall’insieme degli atti parlamentari indicazioni più specifiche sugli strumenti per eliminare le più gravi disfunzioni amministrative né una valutazione critica dell’attuale stato della spesa pubblica. Solo la prassi successiva potrà in effetti chiarire perciò se i rimedi proposti si saranno rivelati adeguati ad un effettivo contenimento dei “costi di funzionamento” delle pubbliche amministrazioni facendo anche fronte alle reali esigenze del Paese.
2.1 Aspetti procedurali delle riforme
L’abbandono dell’idea che le riforme costituzionali richiedano il ricorso a procedure straordinarie di approvazione più agili di quelle previste dall’art. 138 Cost. rappresenta una novità solo parzialmente apprezzabile, perché essa è accompagnata da un ricorso al contingentamento dei tempi di esame dei testi e dal persistere dell’idea che, per approvare le riforme costituzionali, occorra fare ricorso a meccanismi di semplificazione e riduzione dei consueti tempi di approvazione dei progetti di legge. L’accelerazione dei tempi delle riforme è in contrasto con il convincimento espresso unanimemente dai classici del pensiero liberale, secondo cui quando un’assemblea intenda procedere alla revisione di un testo costituzionale sono consigliabili strumenti procedurali che consentano un dibattito più lungo e articolato rispetto all’esame dedicato allo svolgimento di altre attività parlamentari. Ricordo soltanto che, secondo alcune costituzioni, sarebbe persino imposto lo scioglimento delle assemblee che abbiano deciso di mutare il testo della costituzione al fine di assicurare un controllo popolare sui processi di innovazione costituzionale.
Nelle circostanze in cui sono state discusse le riforme di cui stiamo parlando, si è invece assistito a un sofferto dibattito sulla programmazione dei tempi di approvazione del disegno di legge costituzionale e si è parlato di meccanismi di “ghigliottina”, “canguro” e persino “tagliola”, cui la maggioranza ha fatto ricorso per assicurare l’accelerazione dei tempi di approvazione delle riforme. Le vivaci proteste dell’opposizione hanno espresso il disagio e l’incertezza dei parlamentari dinanzi alle drastiche riduzioni dei tempi di discussione di un disegno di legge che, per il suo contenuto costituzionale, avrebbe meritato una maggiore attenzione e una maggiore partecipazione anche da parte dell’opinione pubblica.
Vorrei incidentalmente osservare che persino la distinzione dogmatica, che in passato aveva suscitato tanto interesse tra i costituzionalisti, tra potestà di revisione costituzionale e potere costituente, sembra attualmente essere stata messa da parte, dal momento che, con ragione, nessuno parla più di potere costituente e che inoltre sono state proposte sempre più spesso leggi di revisione su temi di fondo del diritto costituzionale italiano, anche quando apparentemente riguardano solo singoli articoli della Costituzione (si pensi, ad esempio, ai tentativi messi in atto in passato di modificare la distinzione tra privato e pubblico nell’ambito dell’economia o a quello tendente a mutare in senso verticista la forma di governo repubblicana).
2.2 Aspetti organizzativi e istituzionali
Il dibattito italiano sulle riforme si muove su diversi fronti, che interessano la prassi costituzionale, quella amministrativa, la legislazione costituzionale, quella ordinaria e persino la riforma dei regolamenti delle camere. Dalla lettura dei nuovi testi costituzionali apprendiamo che il nuovo Parlamento della Repubblica sarà composto da una Camera dei deputati e da un Senato (cfr. art. 1, co. 1). Solo il Senato della Repubblica, i cui membri saranno eletti dai consigli regionali, «rappresenta le istituzioni territoriali» e «esercita funzioni di raccordo tra l’Unione europea, lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica». Il “Senato della Repubblica” si ispira lontanamente al Bundesrat tedesco (o a quello austriaco), secondo un metodo di scrittura delle costituzioni che attinge ad una tecnica comparativa, che sembra limitarsi all’inserimento di meccanismi di provenienza estera nel sistema nazionale, prescindendo da una adeguata valutazione degli effetti che potrà produrre l’inserimento nel contesto istituzionale italiano dei meccanismi di importazione4. Si potrebbero anche nutrire dei dubbi sul sistema di nomina da parte delle Regioni dei membri del nuovo Senato, così come sulle funzioni del Senato nei confronti degli enti territoriali, tanto più che non sono mancate pesanti critiche sulle responsabilità delle Regioni per il continuo aumento delle spese pubbliche e per l’elevato livello della corruzione politica.
Il testo del disegno di legge costituzionale tocca alcuni nodi vitali del nostro sistema parlamentare, tra i quali il procedimento legislativo bicamerale, che finora aveva consentito al Senato di svolgere il ruolo di una “Chambre de réflection”, compito molto importante in un Parlamento esposto a facili colpi di mano; il procedimento legislativo tradizionale viene sostituito da procedure complesse che potrebbero essere fonte di controversie interpretative. Le competenze legislative e amministrative delle Regioni vengono infine riscritte, sostituendo l’attuale art. 117 Cost., mentre vengono eliminate le Provincie, enti territoriali storicamente radicati nella tradizione italiana, che non si identifica con le prefetture. Va sottolineata la previsione dell’art. 30 del disegno di riforma che indica puntualmente le competenze esclusive dello Stato, prevedendo una riserva allo Stato delle disposizioni generali e comuni sull’istruzione e sul governo del territorio, con l’aggiunta di una clausola di supremazia in base alla quale «su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale»; è fissata inoltre una riserva allo Stato di prevedere i casi e le forme in cui le Regioni potranno concludere «accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato» nelle materie di propria competenza. Le competenze residuali delle Regioni sono individuate per funzioni e finalità da perseguire; il che lascia immaginare interventi interpretativi della Corte costituzionale diretti a evitare le più gravi sovrapposizioni di competenze.
Il punto più caratterizzante delle riforme costituzionali, più ancora della trasformazione del bicameralismo parlamentare, con l’introduzione di una camera delle regioni, è il radicale depotenziamento del parlamento a tutto vantaggio del governo (si veda l’art. 12 del disegno di legge costituzionale n. 2613 con riferimento alla formazione delle leggi). Si potrebbe dire che si tratta di fenomeni almeno in parte già realizzati nella prassi, ma il significato giuridico del loro inserimento in Costituzione testimonia l’orientamento delle forze politiche verso l’obiettivo di conferire maggiore stabilità a tale spostamento degli equilibri politici, a favore di un modello governativo in cui il presidente del Consiglio e i ministri finiscono per svolgere una funzione di raccordo tra le decisioni della governance dell’economia finanziaria e le restanti funzioni dei poteri pubblici nazionali.
Per tener fede ai valori costitutivi della convivenza degli italiani, occorrerebbe non trasformare i principi e le regole del diritto costituzionale in problemi di costi per il funzionamento delle istituzioni. In particolare che non andrebbero perdute di vista le prospettive storiche e sociali di un Paese che ha sempre cercato di dare significato alle proprie dolorose esperienze giuridiche e politiche e che non può essere tanto facilmente disposto a rinunciare agli spazi del pluralismo e della democrazia.
3.1 La scrittura dei testi costituzionali
Le espressioni “costituzione”, “riforma delle istituzioni”, “scrittura di una legge fondamentale” hanno tutte un’alta valenza storica e teorica, che non può andare completamente perduta né banalizzata per l’intervento delle burocrazie di partito, di quelle comunitarie o dei tecnici della finanza internazionale.
Scrivere o rivedere parzialmente i testi costituzionali significa dare forma scritta a valori che è essenziale ricollegare a un comune modo di sentire. Mi sia consentito di ripetere che l’autentico positivismo moderno non è quello normativo, ma quello attento al divenire economico e sociale, non quello descrittivo dei contenuti imperativi delle disposizioni costituzionali, ma quello in grado di approfondire lo studio critico e storico dei valori che animano le diverse esperienze giuridiche.
I primi giuristi italiani che hanno riflettuto sui problemi della scrittura delle costituzioni e delle carte dei diritti erano consapevoli che il rinnovamento civile del nostro Paese doveva rispondere alle aspirazioni del popolo, alle effettive esigenze della società e non pensavano affatto che la scrittura di una costituzione equivalesse all’abbandono di ogni riflessione etica e teorica sui valori costitutivi e sui principi non scritti dell’ordine giuridico. Di fronte ad uno sviluppo dell’economia internazionale spesso caotico e privo di regole, è fondamentale che non si rinunci a riflettere sui valori costitutivi della convivenza nella loro dinamicità e vitalità, facendo prevalere profili organizzativi o meramente dogmatici.
Quando si parla di riforme istituzionali e di valori giuridici condivisi, è fondamentale il mantenimento di una visione critica, storica e teorica, che non dimentichi che la cultura del giurista non coincide con la ricerca di sempre nuovi precetti formali o di enunciazioni concettuali da irrigidire, ma richiede un’attenzione costante ai problemi reali della convivenza. Le dinamiche della finanza internazionale e le politiche comunitarie non possono travolgere i valori costitutivi della collettività, che pongono al centro dell’intero ordine giuridico repubblicano i fondamentali compiti dei poteri pubblici di difendere i livelli essenziali di vita dei cittadini. Altrimenti si finisce per dare ragione a chi sostiene una nichilistica fine del diritto costituzionale o la sua trasformazione in una disciplina specialistica in cui riescono a orientarsi solo un numero sempre più limitato di esperti e dirigenti politici o tecnici alla ricerca di vantaggi nelle loro carriere.
3.2 Una nuova concezione della scrittura delle Costituzioni?
La riflessione degli scrittori italiani meno recenti, in tema di diritto costituzionale, si era sviluppata, soprattutto negli anni che hanno preceduto il fascismo, secondo percorsi di ricerca che presupponevano un discorso teorico, etico e politico molto diverso da quello attuale: questi scrittori erano molto lontani dall’idea di costituire un gruppo di tecnici a disposizione del potere per realizzare le riforme costituzionali.
In questo quadro, la riflessione sulla flessibilità o elasticità delle regole del diritto costituzionale e sul significato della vigenza di un testo costituzionale scritto aveva assunto forme giuridiche che muovevano dall’idea che le dinamiche costituzionali fossero ispirate da complessi equilibri sociali, storici, economici e politici. Tale riflessione non merita di essere banalizzata, essendo più attenta di quanto non avvenga nell’attuale dottrina alle connessioni tra etica, pensiero filosofico, principi dell’ordine giuridico e sviluppi dell’economia, anziché a un’intrinseca imperatività del testo costituzionale e a una mitizzazione del potere costituente. Gli scrittori di quel tempo, lungi dal considerarsi portatori di una dottrina prevalentemente dogmatica e normativa, preferivano approfondire il significato della feconda diversità delle opinioni in tema di principi costituzionali, tenendo conto della prassi, senza trascurare neppure lo studio degli orientamenti psicologici della collettività e dell’opinione pubblica. Rigidità o flessibilità di una costituzione sono concetti storici e non schemi dogmatici suscettibili di essere definiti una volta per tutte. La cultura della flessibilità delle regole del diritto costituzionale si fondava su una relativa stabilità dei valori etici e politici, condivisi da larga parte dell’opinione pubblica, più che sul testo della Costituzione, che si preferiva considerare come non modificabile ad ogni variazione della forma di governo e dei rapporti tra partiti politici. Si trattava di una situazione molto diversa sia da quella degli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana del 1947, sia da quella che si è sviluppata successivamente, dopo l’entrata in vigore dei trattati comunitari. Tentare oggi una difesa della Costituzione del 1947 non può equivalere ad una chiamata alle armi dei soli specialisti dell’ermeneutica costituzionale e dei canoni giurisprudenziali elaborati dalla Corte suprema, ma significa richiamare in primo luogo l’attenzione sul contenuto etico e politico dei valori che ne animano lo spirito, senza dimenticare che trattandosi di valori storici essi non possono essere imposti solo in forza della loro imperatività e rigidità. Occorre opporsi all’idea di ridurre il compito dei costituzionalisti a quello di puri tecnici della scrittura e dell’interpretazione di regole di “grado costituzionale”, accettando la concezione che le regole costituzionali siano soggette a un processo di continua revisione testuale, sulla base delle sollecitazioni che provengono dalle esigenze dell’economia finanziaria o dal mutare degli accordi tra i partiti politici. Il compito attuale dei costituzionalisti dovrebbe essere piuttosto quello di richiamare l’attenzione di tutti i consociati, degli storici, dei politici, di tutti i giuristi e degli stessi economisti, così come di ogni intellettuale, sull’effettivo significato delle trasformazioni costituzionali che si intendono introdurre nel testo della Costituzione.
Occorre insistere sui gravi pericoli di abuso insiti nella prassi dell’inserimento di nuove regole costituzionali nella struttura di un testo che dovrebbe testimoniare solo i profondi mutamenti dei valori costitutivi dell’ordine giuridico, così come sui rischi di un eccessivo snellimento delle procedure di adozione delle riforme. Alla retorica mediatica delle riforme, ridotte ormai a puri espedienti comunicativi, diretti a rassicurare gli interlocutori internazionali, oltre che a tentare di suscitare consenso da parte degli elettori, sembra difficile contrapporre un discorso tendente a sviluppare l’approfondimento del contenuto dei valori costitutivi della convivenza. Un serio discorso sulle riforme non dovrebbe mirare solo alla pura ricerca di congegni organizzativi, sempre più lontani dalla vita dei cittadini, ma ad un profondo rinnovamento civile, etico e razionale dei principi della convivenza sociale. Vorrei ricordare l’insegnamento di un grande giurista del nostro tempo, Alessandro Giuliani, che, in un celebre scritto intitolato ll modello di legislatore ragionevole (1974)5, afferma: «la struttura portante della legislazione» (compresa ovviamente la scrittura delle disposizioni costituzionali) «è garantita dal livello di razionalità e di moralità di una certa epoca», proponendo così una riflessione sulle coordinate storiche e sociali in cui dovrebbe inserirsi la valutazione dei nuovi equilibri politici e istituzionali.
1 Guarino, G., Il governo del mondo globale, Firenze, 2000; Amirante, C., Dalla forma Stato alla forma mercato, Torino, 2000; Amoroso, B.-Jespersen, J., Per una rifondazione del progetto europeo, Roma, 2014; Picone, P., Capitalismo finanziario e nuovi orientamenti dell’ordinamento internazionale, in Diritti umani e diritto internazionale, VIII, Bologna, 2014, 5 ss.,; Borrelli, G., Tra ‘governance’ e guerre: i dispositivi della modernizzazione politica alla prova della mondializzazione, in Controdiscorsi, n. 1, Napoli, 2004, 7 ss.
2 Baldassarre, A., La caduta del paradigma antifascista, in Problemi del socialismo, 1980, ha parlato, fin dall’inizio degli anni Ottanta, della fine dello schieramento che aveva sostenuto la concezione pluralista e antiautoritaria del diritto costituzionale italiano. Sulla distinzione tra prima e seconda repubblica, si vedano anche gli scritti che sottolineano il mutamento istituzionale in seguito alla riforma elettorale in senso parzialmente maggioritario; Rescigno, G.U., A proposito di prima e seconda Repubblica, in Studi parl., 1994, 5 ss.; e, tra gli storici, Crainz, G., Il Paese mancato, Roma, 2003, 581 ss., Colarizzi, S.-Gervasoni,M., La tela di Penelope. Storia della seconda Repubblica 1989-2011, Bari, 2014, 10 ss. Prima della riforma elettorale in senso parzialmentemaggioritario, Labriola, S., Storia costituzionale, Napoli, 1995, passim, aveva affermato che la storia costituzionale italiana va periodizzata seguendo le dinamiche dei partiti politici.
3 Amirante, C.,Dalla forma Stato alla forma mercato? Prove di dialogo tra economisti, giuristi e storici, in Amirante, C.- Gambino, S.,Weimar e la crisi europea, Cosenza, 2013, 237 ss.; Id., Costituzionalizzazione del diritto internazionale e decostituzionalizzazione del diritto interno?, in Nova iuris interpretatio, 2013, 47 ss.; Luciani, M., Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini, in Astrid, 2013, n. 3; Cervati, A.A., A proposito dei valori costitutivi del processo di integrazione europea, in Scritti in memoria diAlbino Saccomanno, a cura di P. Stancati, Roma, 2013, 165; Id. Riforme costituzionali e principi in tema di sfera pubblica e interessi privati, in Aperta contrada, 2012.
4 Cfr. Cerrone, F., Annotazioni sui progetti di revisione costituzionale: procedimento legislativo, riforma del bicameralismo e del titolo V della Costituzione, in www.federalismi.it, 2014, n. 12. V. Schefold, D., Audizione Camera dei deputati, I Commissione.
5 Giuliani, A., Il modello di legislatore ragionevole. Riflessioni sulla Filosofia italiana della legislazione, in Legislazione, profili giuridici e politici, a cura di M. Basciu, Atti del XVII Congresso nazionale della Società italiana di filosofia politica e giuridica, Milano, 1992, 14.