ACERBI, Giuseppe
Nacque a Castelgoffredo (Mantova) il 3 maggio 1773, da Giacomo. Compiuti i primi studi a Mantova (dove ebbe come maestro S. Bettinelli), si laureò in legge all'università di Pavia. Di famiglia molto facoltosa, dopo il 1796 poté intraprendere un lungo viaggio nell'Europa settentrionale. Visitata la Germania (dove conobbe il Klopstock, con cui rimase poi a lungo in corrispondenza), si spinse alla fine del 1798 in Svezia e di là, attraverso la Finlandia, sino al Capo Nord, dove giunse nel luglio del 1799. Continuando nelle sue peregrinazioni passò in Inghilterra, e qui pubblicò un lungo resoconto del suo viaggio nelle regioni boreali (Travels through Sweden, Finland and Lapland to the North Cape in the years 1798 and 1799, voll. 2 e 1 atlante, London 1802). La fama della sua opera lo accompagnò nel proseguimento del viaggio in Francia e a Parigi Napoleone volle conoscerlo. Colà F. Marescalchi, rappresentante della Repubblica italiana in Francia, gli offrì di restare come addetto alla sua legazione e l'A. accettò.
Durante la permanenza a Parigi la sua opera venne tradotta in francese (Voyage au Cap-Nord par la Suède, la Finlande et la Laponie... traduit par M. Lavallée, voll. 3 e 2 atlanti, Paris 1804). Molto più tardi fu compendiata in italiano da Giuseppe Belloni, con il consenso dell'A., sotto il titolo: Viaggio al Capo-Nord fatto l'anno 1799 dal Sig. Cav. G. A., Milano 1832 (nella collezione Raccolta de' viaggi più interessanti eseguiti nelle varie parti del mondo, tanto per terra, quanto per mare, dopo quelli del celebre Cook, vol. CXLI della collezione, XLV del terzo biennio). E. Bellorini, in Encicl. Ital., sub voce, parla di una traduzione italiana stampata a Milano, s.a., che non risulta esistente. A Parigi, nel 1803, l'A. si iscrisse alla massoneria. Avendo protestato il governo svedese presso quello francese per osservazioni e giudizi poco rispettosi verso la Svezia contenuti nei Travels, ne derivarono perquisizioni, sequestri e perfino l'arresto dell'autore, benché diplomatico. Indignato del trattamento usatogli dalla polizia francese, l'A. diede le dimissionf dal suo ufficio e si ritirò a Castelgoffredo, dandosi alla cura dei suoi vasti possessi fondiari. Di là non si mosse che dopo la caduta del Regno d'Italia, appartandosi nel frattempo dalla vita pubblica.
Anche nel ritiro di Castelgoffredo, il suo libro gli procurò tuttavia altre noie. Dapprima un certo de Vesvrotte, antico presidente della Corte dei conti di Digione, emigrato e poi tornato in Francia, criticò severamente l'A.; in seguito, alcune riviste francesi affermarono che autore dell'opera non era l'A. ma un altro emigrato francese, Vialart de Saint-Morys, conosciuto dall'A. a Stoccolma. Egli dovette pertanto difendersi dall'accusa e si giovò, per questo, degli ambienti diplomatici coi quali era rimasto in contatto.
Caduto il Regno d'Italia, l'A. si trasferì a Vienna, anche per tentare di riprendere la carriera diplomatica. Ottenne, infatti, la nomina a console austriaco a Lisbona. Tornato a Milano, ebbe dal Bellegarde, presidente della reggenza di governo, l'incarico di assumere la direzione di una rivista culturale che il governo austriaco intendeva far pubblicare a Milano.
Nacque così la Biblioteca italiana, che iniziò le sue pubblicazioni nel gennaio del 1816 con l'A. come direttore e il Monti, il Giordani e il naturalista Breislak, come "compilatori". Attraverso le sue larghe conoscenze, l'A. ottenne la collaborazione dei nomi più noti dell'Italia letteraria del tempo, e anche di qualche illustre rappresentante della cultura europea: come, per esempio, Madame de Staël. Ma, appena dopo un anno di vita, la rivista si trovò in difficoltà economiche. Da qui le prime accuse di slealtà contro l'A., che sembra volesse accentrar tutto nelle sue mani, accuse sostenute specialmente dal Monti e anche dal Tommaseo e dal Cantù. Il Monti non gli perdonò mai di averlo estromesso dal periodico e, allora e poi, rovesciò su di lui un torrente di ingiurie, disseppellendo, tra l'altro, la vecchia accusa di non esser l'A. l'autore della descrizione del viaggio al Capo Nord. Inoltre, la posizione antiromantica che l'A. assunse (dopo un primo momento di simpatia per il nuovo movimento letterario) gli procurò l'inimicizia del gruppo milanese rappresentato dal Conciliatore e, di conseguenza, dei patrioti italiani. La fama dell'A. è ancor oggi legata a queste polemiche; e i giudizi su di lui ne risentirono, sino a quando il Luzio non tentò di riabilitarlo.
L'A. si occupò anche di agricoltura, e ci resta di lui un interessante trattato: Delle viti italiane o sia materiali per servire alla classificazione, monografia e sinonimia preceduti dal tentativo di una classificazione geoponica delle viti, Milano 1825.
L'A., possessore - nel vigneto di sua proprietà della Palazzina presso Castelgoffredo - "della maggior raccolta di viti che forse vantar potesse un privato in Italia", proponendo, a differenza di studiosi francesi, un metodo di classificazione basato su pochissimi caratteri essenziali ed emergenti in ogni specie di uva, contribuì alla scelta di quelle poche qualità di uva che permisero anche all'Italia una produzione di vini tipici pregiati.
L'A. tenne fino al 1826 la direzione della Biblioteca italiana,collaborando ad essa soprattutto con un Proemio annuale, in cui faceva una rassegna dei contributi dati dalla cultura italiana al progresso delle scienze e delle lettere. Nel 1826, superando la diffidenza manifestata dal Metternich di fronte a precedenti analoghe sue richieste, gli riuscì di tornare alla carriera diplomatica, ottenendo la nomina a console austriaco ad Alessandria d'Egitto. Colà si diede a coltivare l'egittologia; i risultati delle sue ricerche giacciono inediti presso la Biblioteca comunale di Mantova. Fu in relazione con i maggiori egittologi del suo tempo e arricchi i musei di Vienna e Pavia con reperti degli scavi egiziani. Comparvero alcune sue Lettere sull'Egitto nella Biblioteca italiana: LII (1828), pp. 3-13; LVI (1829), pp. 137-161; LVIII (1830), pp. 282-285; LIX (1830), pp. 145-164, 289-311. Colpito da una malattia agli occhi, che gli rese poi impossibile continuare gli studi, l'A. nel 1834 abbandonò l'Egitto e si ritirò a Castelgoffredo, dove ricevette la visita dell'arciduca Ranieri, viceré del Lombardo-Veneto.
Ivi morì il 25 agosto 1846.
Fonti e Bibl.: Mantova, Biblioteca comunale, Carte Acerbi; Correspondance de Monsieur J. A. de Castelgoffredo avec Monsieur Vialart Saint-Morys, Milano 1816; A. Luzio, La "Biblioteca italiana" e il governo austriaco, in Riv. stor. del Risorgimento ital., I (1896), pp. 650-711; Id., G. A. e la "Biblioteca italiana", in Nuova Antologia, s. 4, LXIV (1896), pp. 577-598; LXVI (1896), pp. 313-337, 457-488; (ripubblicato in Studi e bozzetti di storia letteraria e politica, I, Milano 1910, pp. 1-107); O. Bustico, Giovita Scalvini e la "Biblioteca italiana" (con 5 lettere a G. A.), in Riv. d'Italia, XIX (1916), pp. 856-864; F. Bonfiglio, Notizie storiche di Castelgoffredo, Brescia 1922, pp. 169-172; Epistolario di Vincenzo Monti, raccolto e ordinato da A. Bertoldi, vol. 6, Firenze 1928-1930, passim; N. Vidacovich, Vincenzo Monti e Paride Zajotti, Milano 1929, pp. 226-233; E. Tedeschi, Un diario di viaggio di G. A. Roma-Napoli, 9 ottobre -12 novembre 1834, Mantova 1933; E. Michel, Esuli italiani in Egitto (1815-1861), Pisa 1958, pp. 29, 35, 49, 50, pp, 53, s6, 64; Encicl. Ital., sub voce Acerbi Giuseppe, Biblioteca italiana.