ALESSI, Giuseppe
Nato a Castrogiovanni (oggi Enna) il ìs febbr. 1774 da Saverio, commerciante, e da Luisa Maddalena, coltivò sotto buona guida gli studi filosofici e letterari e quelli matematici, completandoli poi nell'università di Catania. A 22 anni vestì l'abito sacerdotale e, rientrato a Castrogiovanni, si diede al1'insegnamento delle lettere e poi della filosofia, applicandosi anche allo studio della mineralogia.
Nel 1816 vinse la cattedra di diritto canonico presso l'università di Catania, presentando un lavoro sulle origini di tale diritto condotto con estrema spregiudicatezza sulla base dei risultati più avanzati della storiografia illuministica. Ciò costituì motivo di accusa ad opera di uno dei membri della commissione esaminatrice, tale Santo Amantia (cfr. Memoria degli errori di Religione, di Canonica, di Istoria, di Logica, di Lingua Latina e di Grammatica, commessi dal Rev. Sac. D. G. A.... nel suo scritto di concorso... da umiliarsi a Sua Santità, e a S.R.M...., Catania 1816). Ma l'A. aveva dalla sua le autorità civili, in quanto, nelle conclusioni del suo scritto, rivendicava le prerogative dello stato nei confronti della legislazione ecclesiastica, ricollegandosi così alla tradizione siciliana, che si era formata sul fondamento di una istituzione concreta, l'Apostolica Legazia. Il governo nominò una commissione di tre studiosi, i quali dichiararono infondate le accuse mosse all'Alessi.
A Catania fu attivissimo organizzatore della vita culturale cittadina. Fondò un gabinetto di mineralogia, richiedendo campioni di minerali anche all'estero. Coltivò inoltre lo studio dell'archeologia e delle discipline sussidiarie. Già scelto dal governo borbonico come revisore delle opere destinate alle stampe (si era anche fatto il suo nome come probabile vescovo), fu investito della carica di rettore nel Collegio delle arti. Fu socio dell'Accademia Gioenia e collaborò al Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia. La sua fama valicò le Alpi, e numerosi furono i dotti stranieri che corrisposero con lui e che, di passaggio per Catania, si recarono a visitarlo. Fornì a D. Scinà, che lavorava al Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, numerose notizie riguardanti la città di Catania. Fu insignito da Ferdinando II del titolo di cavaliere del Real Ordine di Francesco I. Morì a Catania, di colera, il 31 ag. 1837: legò libri e manoscritti alla biblioteca pubblica della città.
Fu in Sicilia uno degli ultimi rappresentanti della cultura e della mentalità settecentesca. Ne è prova la varietà articolata dei suoi interessi, per cui alla cultura umanistica tradizionale accoppiò in modo non estrinseco la passione per le scienze naturali, passione che in lui si manifestava soprattutto come insaziabile curiosità per il mondo dei fenomeni. La sua stessa passione per l'archeologia, per gli oggetti antichi considerati come il passato medesimo della natura illuministicamente concepita, si può dire esercitasse, nel quadro della sua attività, una funzione mediatrice e di osmosi fra quei due poli della cultura del tempo. Su questo piano va posta la sua produzione storiografica, in cui l'ansia di "risalire alle origini", comune a numerosi pensatori meridionali dell'epoca e derivante da indubbi influssi vichiani, assume il significato di indagine sulle vicende remote della natura intesa come i bella d'erbe famiglia e d'animali.. In tal senso, si può affermare che identica impostazione presieda alla compilazione della Storia critica delle eruzioni dell'Etna (Catania 1838) e della Storia critica di Sicilia dai tempi favolosi insino alla caduta dell'impero romano (voll. 6, Catania 1834-43), rimasta incompiuta. Risenti dei limiti di una concezione del sapere di cui non avvertì la crisi. Ad un certo momento risultò improduttivo, ai fini della ricerca scientifica, il voler continuare ad immagazzinare una congerie delle più svariate nozioni entro un alveo resosi ormai angusto: lo straordinario sviluppo dei vari rami del sapere esigeva una più razionale divisione del lavoro, una più decisa specializzazione. L'A. finì 'col correre dietro disordinatamente a mille elementi nuovi, senza pervenire a risultati di vera ed organica sintesi in alcuno dei campi pur così infaticabilrnente coltivati.
Delle sue opere, oltre a quelle già citate, si ricordano ancora: Oratio de siculo inventionis genio, sive de claris siculis scientiarum inventoribus, habita in catinensi lyceo, Catanae 1816; Lettere sulle ghiande di piombo inscritte trovate nell'antica città di Enna..., Palermo 1815; Elementi di morale universale; compendio de' doveri dell'uomo considerato in tutti i suoi rapporti, Catania 1820; Discorso su Caronda da Catania e le di lui leggi, Catania 1826; Discorso sulla ricerca e sullo scavo delle miniere metalliche in Sicilia ,Catania 1837; Sui mezzi di ovviare alla pubblica miseria negli anni di sterilità e di penuria,in Giorn. di scienze, lettere ed arti per la Sicilia, Tomo XLI - Anno XI (1833), n. 122, pp. 206-221.
Bibl.: A. Aradas, Elogio del cavaliere canonico G. A...., in Atti dell'Accad. di scienze naturali di Catania, XV (1838), estratto; G. A. Galvagni, Elogio biografico del cavaliere can. G. A., Catania 1838; B. Serio, G. A., in Biografie e ritratti di illustri siciliani morti nel cholêra l'a. 1837, Palermo 1838, pI). 85-100; G. Libertini, L'Università di Catania dal 1805 al 1865,in Storia dell'Università di Catania, Catania 1934, pp. 316, 338.