AZARI, Giuseppe Antonio
Nacque dopo il 1770, a Re in val Vigezzo (Novara), da Giuseppe Antonio e da Anna Mellerio; trascorse però gran parte della sua vita a Pallanza, sul Lago Maggiore, dove il padre, commerciante e piccolo industriale, esercitava la sua attività. Si laureò poco più che ventenne in giurisprudenza a Pavia; poco dopo - nell'estate del 1796 - entrò, in questa città, in contatto con gli ambienti rivoluzionari locali più decisi e con gli esuli piemontesi al seguito dell'armata francese, con il Giorna, con l'Agnisetta e soprattutto con il Ranza, con i quali, molto probabilmente, era già in rapporto sin prima dell'occupazione francese del Milanese. Ciò che è certo è che l'A. in pochissimo tempo si trovò al centro dei maneggi che questi esuli andavano ordendo per "democratizzare" il Piemonte. La mente e il capo politico del movimento anti-sabaudo era il Ranza, che manteneva anche i collegamenti con il movimento cisalpino e con la Legione lombarda che avrebbe dovuto appoggiare il moto piemontese; l'A. si assunse invece il ruolo di capo militare della insurrezione. Questa fu preparata nell'agosto e nel settembre 1796 con una violenta azione propagandistica anti-sabauda, volta a eccitare gli animi dei Piemontesi contro la monarchia e a dimostrare ai Francesi che questa era venuta meno agli impegni assuntisi con l'armistizio e il successivo trattato di pace di Parigi del 15 maggio '96 (cfr. in particolare i due opuscoli di G. A. Ranza, Il Repubblicano Ranza al Marchese di S. Marzano a Torino,datato 25 agosto, e Risposta del Repubblicano Ranza alle lettere del Capo-rivoluzionario Piemontese, e dei Commissari Saliceti e Garrau alla Municipalità di Pavia,datato 18 settembre). Da un'esplicita posteriore affermazione (1800) del Ranza (Anno patriottico, III, p. 118) sembrerebbe che lo stesso Bonaparte avesse approvato il piano.
L'adesione del movimento clandestino piemontese ai progetti rivoluzionari del Ranza era, verso la metà di settembre, resa ufficialmente nota da una lettera dell'A. al Ranza e da questo pubblicata nell'ultimo foglio della sua Risposta del Repubblicano Ranza alle lettere...(la lettera apparve a firma di un non meglio identificato "Capo-Rivoluzionario Piemontese": che si trattasse dell'A. risulta dall'Apologia del Repubblicano Ranza contro le calunnie e gli attentati del re sardo indirizzata al General Bonaparte l'Italico dal suo ritiro l'8 frimaio V, Milano anno II, p. 6 n).
La morte di Vittorio Amedeo III, il 16 ottobre, fece precipitare la preparazione del movimento rivoluzionario. D'accordo con il Ranza e i giacobini milanesi, fu stabilito che esso avrebbe dovuto avere inizio nella notte tra il 22 e il 23 ottobre a Pallanza ad opera appunto dell'Azari. Contemporaneamente gli esuli piemontesi e la Legione lombarda avrebbero dovuto invadere il Piemonte tra Fondotoce e Pallanza e unirsi agli insorti. Il moto insurrezionale e l'avanzata delle truppe repubblicane si sarebbero dovuti estendere quindi al resto del paese. Il piano insurrezionale fu però scoperto, molto probabilmente in seguito a tradimento: le forze provenienti dal Milanese trovarono, invece degli insorti, le truppe piemontesi e furono respinte in disordine; l'A. fu a sua volta arrestato, senza che riuscisse a distruggere un pacco di documenti estremamente compromettenti. L'arresto avvenne nella notte tra il 22 e il 23 ottobre, non è chiaro se a Pallanza o a Trontano. Tradotto a Novara, il Senato di Torino "a classi unite" condannò il 29 novembre l'A. alla pena di morte per impiccagione, all'abbruciamento del suo cadavere e alla confisca di tutti i suoi beni. La sentenza fu eseguita a Novara il 3 dic. 1796.
Alcuni avanzi delle ceneri dell'A. furono raccolti da un notaio di Maggiora, di sentimenti repubblicani, M. Minazzoli. Un altro repubblicano, Giulio Albertazzi, di Vogogna, fu sospettato di essere stato autore del tradimento che aveva portato al fallimento dell'insurrezione e all'arresto dell'A.; l'accusa non fu però sostenuta da prove convincenti; l'Albertazzi fu poi fucilato nell'aprile 1798 per aver partecipato ai nuovi moti repubblicani di quei giorni.
La "congiura dell'Azari" ha nella storia del triennio rivoluzionario 1796-99 grande importanza, sia perché costituì il proemio dei moti della val d'Ossola del 1798 (che ne ricalcarono la formula militare-insurrezionale), sia soprattutto per il suo carattere squisitamente giacobino avanzato. Da questo secondo punto di vista essa si collega strettamente alla famosa esperienza rivoluzionaria di Alba di alcuni mesi prima (di cui pure fu anima il Ranza). Dai documenti sequestrati all'A. e dagli "appelli" preparati per essere diffusi tra le popolazioni piemontesi (integralmente pubblicati dopo l'esecuzione dell'A. dal Ranza nell'opuscolo La congiura di Palanza [sic] e l'assassinio d'Azari vendicati dalle menzogne del senato di Torino,s.l.n.d., ma Milano 1797, nonché in Anno patriottico,III, pp. 96-118) questo carattere giacobino avanzato (robespierrista) e per taluni aspetti (quelli religiosi, dovuti più direttamente al Ranza) evangelico-giacobino è evidentissimo. Negli "appelli" ai popoli del Piemonte in genere e in particolare a quelli dell'Alto Novarese, Oleggio, Maggiora e Fara sottoscritti tutti a nome della Commissione Rivoluzionaria Provvisoria Lepontina dall'A. (che, con evidente reminiscenza classica, si firma Azari Giunio "capo della forza armata rivoluzionaria lepontina") non solo si dice che l'insurrezione di Pallanza era l'"inizio" della Repubblica Italiana e si annunzia la convocazione di una prossima "Convenzione Nazionale Italiana", ma si stabilisce l'entrata in vigore di tutta una serie di provvedimenti economici e sociali di pretto carattere robespierrista: "Primi gl'indigenti, cioé il Gran Popolo saranno da noi sollevati con giusto cambio salutare, poi gli altri in appresso. Da sì bella operazione cominceremo la pubblica felicità, che ci siamo unicamente proposta con la nostra rivoluzione. Saranno soppressi tutti i pesi reali e feudali, cioé le privative di caccia e pesca, di molino, di forno, di pedaggi e di lavori pubblici. Non più decime, non più imposizioni di sale, vino, carne, corame, polvere e piombi; non più dogane interiori nel paese, ma solo ai confini". Oltre a ciò il nuovo regime rivoluzionario avrebbe confiscato i beni della casa reale, degli aristocratici, degli "straricchi", "avari" ed "egoisti" per distribuirli prima agli indigenti e poi al resto della popolazione, in modo che ogni contadino possedesse un suo campo. Altri provvedimenti, infine, stabilivano che fosse immediatamente sospesa la circolazione della carta moneta e il suo progressivo cambio con effettivo e granaglie. Il Ranza e l'A. si proponevano, come si vede, una serie di provvedimenti che andavano anche oltre quelli prospettati ad Alba e come il giacobinismo italiano sotto la tutela francese non avrà più la possibilità e la forza di prospettare.
Fonti e Bibl.: Paris, Bibl. Nat., Dép. des manuscrits italiens, II,1546, ff. 433-37 (carte Custodi); Panteon dei martiri della libertà italiana II, Torino 1861, p. 350; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 sino al 1861, II, Torino 1878, pp. 571-576; G. Roberti, Il cittadino Ranza, Torino 1892, pp. 105-111; A commernorare nel 100º anniversario il supplizio del pallanzese avv. G.A.A., martire per la libertà,Pallanza 1896; G. Sforza, L'indennità ai giacobini piemontesi perseguitati e danneggiati (1800-1802), Torino 1908, p. 128; A. De Regibus, I moti repubblicani dell'Ossola e del Lago Maggiore,Pavia 1922, pp. 17-22; A. Galante Garrone, Primo giacobinismo piemontese, in Il Ponte, V(1949), p. 961; A. Saitta, Filippo Buonarroti, I, Roma 1950, pp. 25, 34; F. Cognasso, Novara nella sua storia, in Novara e il suo territorio, Novara 1952, pp. 451 s.