ARCANGELI, Giuseppe
Nacque a San Marcello Pistoiese, da Cristofano, il 13 dic. 1807; di povera fanúglia, per poter studiare fu avviato alla carriera ecclesiastica nel seminario di Pistoia, dove ebbe maestro il canonico G. Silvestri. Quando questi fu con motu proprio nominato dal granduca rettore dei collegio Cicognini a Prato, vi chiamò l'A., che era cappellano a Incisa Valdamo, per insegnare prima greco, poi "umanità". L'A. poté così perfezionare la propria cultura negli studi storico-linguistico-letterari promossi dal Silvestri e nell'amicizia con i colleghi e awevi, fra cui P. Camici, E. Bindi, A. Vannucci e C. Guasti. Né l'amore ai classici latini e italiani e la conoscenza dell'ebraico preclusero l'A. dallo studio, piuttosto raro allora in Toscana, delle lingue moderne (soprattutto inglese e francese), dall'interesse per i viaggi, la politica, la storia recente e i problemi del nuovo assetto italiano.
Ancora studente nel seminario di Pistoia, fu anti-napoleonico, ma per amore e spirito di libertà; fu classicistico, ma di marca alfieriana, nell'abbozzo inedito della tragedia La battaglia di Filippi; fu municipale pre-neoguelfo nel romanzo storico Ferruccio (e alla tradizione del vinto di Gavinana l'A. si mantenne sempre patriotticamente fedele, come attestano suoi epigrammi latini e italiani e la sua presenza al pellegrinaggio dei 1847).
I viaggi fuor di Toscana, e presto fuor d'Italia, completarono l'educazione dell'A. in senso liberal-moderato e, culturalmente, neo-guelfò. Nel 1834 visitò l'Italia padana, in ispecie la Milano napoleonica. Nel 1837 il mecenatismo d'un gentiluomo russo permise all'A. di essergli compagno in Lombardia, sul Verbano e in Svizzera, dove l'A. studiò i sistemi e gl'istituti di mutua educazione, e conobbe M. Ferrucci, insegnante all'università di Ginevra (l'A. ne tradusse poi l'epigranuna famosissimo per il monumento ad Arminio nella foresta di Teutoburgo). L'anno successivo 1838, l'A. intraprese il viaggio di Roma. Dello stesso anno è la pubblicazione del Saggio di versioni poetiche dal greco e altri versi, ai quali si aggiunse nel '45 la traduzione degl'Inni di Callimaco, dedicata a G. B. Niccolini, mentre la sua esperienza scolastica, le insistenze del canonico Silvestri e il progetto editoriale dell'avv. G. Benini quasi naturalmente lo condussero ad essere col Bindi e col Vannucci fra i più attivi collaboratori dell'Alberghetti di Prato per la nuova collezione di classici latini commentati ad uso delle scuole. Dal '40 in poi l'A. vi pubblicò Virgilio e due volumi di Cicerone (De officiis, De amicitia, De senectute,e il De oratore), premettendovi eruditi ed eloquenti discorsi, lavorati su critici soprattutto francesi, e partecipi di quell'umanesimo, aperto ai problemi della storia e della politica, che fu proprio del neoguelfismo toscano. A ravvivar conoscenze e simpatie francesi nell'A., che già nel '32 aveva incontrato in Prato il Lamennais e il Montalembert, contribuì nel ' 43 il viaggio a Parigi, durante il quale poté conoscere i più operosi fuorusciti italiani, specie l'Amari e gli Arconati, e seguire alla Sorbona i corsi dei maggiori maestri. Soprattutto l'attrasse Ozanam. Indicativa del gusto francese classicizzante dell'A. è la sua versione poetica della Lucrezia del Ponsard, che ne lo lodò in un epigramma latino.
Negli anni 1847-48 l'A., che già godeva di considerazione e di stima tra i letterati del moderatismo liberale toscano, iniziò una fervida attività giomalistica, in senso patriottico-neoguelfo: su L'Alba, La Patria, La Rivista di Firenze, ecc., dove firmava con lo pseudonimo di Lorenzo Selva. Nel gennaio 1848 fu nominato accademico della Crusca, insieme con l'amico Vannucci, col quale doveva tuttavia rompere quando questi divenne democratico e guerrazziano e l'A. subiva, invece, a Prato e sulla stampa, le minacce dei "comitati". Negli anni della restaurazione austro-granducale, trasferitosi a Firenze in qualità di vicesqUetario della Crusca, e pur continuando un'intensa e fortunata attività pubblicistica, l'A. non venne mai meno né ai suoi principí giobertiani (aveva preso parte efficace alle onoranze tributate in Toscana, fra il giugno ed il luglio 1848, al Gioberti), né alle sue amicizie, anche se non conformiste. Benevolmente recensì, per esempio, il giovanile Campanella del semita e liberale Alessandro d'Ancona, ed elogiò il Mai per avere impedito che fosse posta all'Indice l'opera del Rosmini. Propugnò un moderato ritorno alle tradízioni classiche, perché critico dell'intrinseca debolezza morale della poesia pratiana (in questo, dunque, all'unisono col moderatismo lombardo del Tenca), ma fu eloquentissimo amnùmtore, cosa non frequente nella cattolica e puristica 'Iroscana, dell'opera del Manzoni. E precorse il manzoniano Bonghi nelle critiche al giordanismo: donde l'offensiva degli Amici Pedantie la difesa che di lui dettò, dal proprio esilio in Torino, il D'Ancona.
Vittima dell'epidemia di colera che funestò la Toscana, l'A. si spense in Prato il 18 sett. 1855.
Le opere furono raccolte (Firenze, Barbera e Bianchi, 1857) da C. Guasti e da E. Bindi, che vi premise un importante discorso biografico-critico. Uscirono due volumi (che causarono aspre critiche alla memoria dell'A. da parte della Civiltà Cattolica, s. 4, X [6 sett. 18591, pp. 710-18); invece non vide mai la luce il promesso terzo volume sicché non furono ristampate né la recensione danconiana, né quella all'edizione Gussalli dell'epistolario giordaniano (in Arch. stor. ital., n. s. I, 1 [1855], pp. 185-195), che fu tra le cause occasionali della Diceria del Gargani e dell'attacco degli Amici Pedanti alla memoria dell'A.
Bibl.: Necrologi in Giornale Arcadico, vol.CXXXIX (1855), pp. 336-40; in Il Cimento, vol. VI (1855), pp. 594-600; Arch. Stor. Italiano, n. s., vol. II (1855), pp. 245-251; G. Tigri, Della vita e delle opere del prof. abate G. A., Firenze 1856; C. Guasti, Giuseppe Silvestri, Prato 1874, e Carteggio, Prato 1945; O. Salvadori, Su G. A., Roma 1894; A. Chiaippelli, Per G. A., in Nuova Antologia, XXIV(15 sett. 1894), pp. 341-349; C. Masi, Lettere inedite di G. A.,Empoli 1903; C. Masi, Patrioti toscani alla tomba di Napoleone, in Rass. ital. politica, letteraria ed artistica, XXI(1932), pp. 273-286; P. Treves, L'abate G. Tigri e la cultura toscana del '59, in Nuova Riv. Stor., XLIV (1960), pp. 112-152.